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 Le rovine di Valle Christi a Rapallo

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MessaggioTitolo: Le rovine di Valle Christi a Rapallo   Le rovine di Valle Christi a Rapallo EmptyGio Apr 25, 2013 7:00 pm

VALLE CHRISTI - RAPALLO

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Siamo nel XII secolo e Genova è travagliata dalle continue sanguinose contese fra le opposte fazioni che lungamente tormenteranno la vita della Superba. Il governo dei consoli non riesce a contenere le violente discordie e si approda quindi alla nomina di un podestà, chiamato da fuori, nella speranza che sappia superare le divisioni di parte e ricomporre l'armonia.
In uno di questi ripetuti scontri fratricidi, nel 1187 era stato assassinato il console Angelo De Mari, gettando in un dolore sconfinato la sposa Attilia Malfante.

È da questa tragedia che scaturirà, alcuni anni dopo, la nascita del Monastero di Valle Christi alle prime balze della collina su cui già sorgeva la chiesa di San Massimo, con attorno la minuscola parrocchia.
Desiderando reagire al clima di odio imperante e nella appagante visione di un'oasi di serena pace religiosa, l'infelice Attilia Malfante trova condiviso il suo disegno da un'altra nobile genovese, che i documenti indicano solo col nome di Tibia, ma che con molta probabilità era la sorella di Attilia. Entrambe decidono così di far sorgere, nella campagna retrostante Rapallo, ove possedevano terreni, un centro di preghiera e di meditazione che accolga monache di clausura. dell'Ordine dei Cistercensi, con l'intenzione poi di ritirasi esse stesse alla vita monacale.

Un attestato rogato il 3 aprile del 1204 dall'arcivescovo di Genova Ottone II Ghiglini confermerà la donazione del terreno, ponendo così le basi per l'edificazione dell'edificio conventuale, puntualizzando che nulla abbia a ledere i diritti della parrocchia di Rapallo, né quelli delle chiese vicine. Il monastero venne posto sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede, esentandolo così dalle tasse e collette imposte dalla Curia genovese.

Non conosciamo quando i lavori per l'erezione del complesso monastico ebbero inizio e se la prima costruzione ebbe già quelle linee architettoniche che oggi possiamo individuare dai ruderi che ci sono rimasti. È da presumere però che nei tre secoli e mezzo di vita siano stati apportati non pochi ampliamenti e rifacimenti, ma è indubbio, comunque, che l'impronta superba dei maestri comacini che vi operarono è rimasta indelebile, con tutta la sua armonia di linee e suggestività di particolari.

Alla fine dei lavori, intorno al 1206, il monastero verrà affidato - come su espressa richiesta delle due donne genovesi - all'ordine cistercense già presente a Tiglieto (abbazia di Santa Maria alla Croce), a Borzone (abbazia di Sant'Andrea) e a Genova. Proprio al convento genovese di Santa Maria dello Zerbino verrà dato il ruolo di amministrazione del nuovo monastero che - come afferma un documento del 7 aprile 1206 - risulterà essere già abitato da suore.

Le monache di clausura cistercensi insisteranno nel monastero per quasi trecento anni, annoverando, fra di loro, suore dal nome illustre come Carinzia Visconti (nipote del pontefice Gregorio X) e guadagnandosi fama di operosità e santità. Il monastero ebbe un notevole sviluppo e nella chiesa sarà venerata la reliquia di san Biagio, donata alle monache probabilmente da un capitano genovese, al seguito di Gaspare Spinola nella fortunata spedizione del 1380.

Nel 1502 ad abitare il convento rimarranno solo due suore e, poiché nuove norme giuridiche-religiose prevedevano la soppressione di quei conventi monastici con meno di cinque suore, le monache verranno quindi trasferite in monasteri vicini. Dopo un fallito tentativo d'insediamento di monaci cistercensi di Tagliata, il complesso monasteriale verrà riabilitato nel 1508 grazie al nuovo inserimento di un gruppo di religiose di clausura dell'Ordine di Santa Chiara.

La convivenza delle monache nel monastero è resa però difficoltosa a causa dell'accentrato isolamento - ancora oggi il complesso è distante alcuni chilometri dal centro storico rapallese - e dalla insalubrità del luogo, tanto è vero che diciassette religiose su ventidue chiederanno il trasferimento in altri monasteri. Inoltre tra i veri decreti emanati dal Concilio di Trento nella metà del XVI secolo, diverse norme decretarono la necessità dei conventi ad essere il più vicino possibile ai centri abitati, questo a causa delle sempre più frequenti invasioni e sbarchi di pirati saraceni, evento che nel borgo di Rapallo si verificò il 4 luglio 1549.

Il monastero, data la sua notevole lontananza dal più vicino centro sicuro, verrà pertanto dichiarato soppresso (ma non sconsacrato) con un breve pontificio di papa Gregorio XIII del 9 agosto 1572. Tuttavia alcune monache rifiutarono l'allontanamento e solo nel 1573 l'arcivescovo genovese Cipriano Pallavicino poté dichiarare ufficialmente chiuso il monastero. Le cronache narrano che i beni esistenti furono inventariati e venduti; il capo di san Biagio, veneranda reliquia, ed una tela del pittore Domenico Fiasella furono consegnate alla locale basilica dei Santi Gervasio e Protasio. L'intero complesso monastico e le sue terre verranno vendute sempre nel 1572 ad un certo Agostino o Nicolò Bardi, per la somma di 10.155 lire genovesi, con l'obbligo della manutenzione della chiesa, dove avrebbe officiato la funzione religiosa un cappellano.

Non si conoscono ancora oggi i motivi dell'accentuata decadenza del monastero poiché sia nel 1788 che nel 1858 diversi documenti ne attesteranno il discreto stato di conservazione: nel 1788 è in piedi il maestoso campanile, gran parte della chiesa e parte, ancora, del chiostro, formato, tutt'attorno al cortile interno, da piccole doppie colonnine di marmo bianco con sopra archi a sesto acuto; il sindaco rapallese Ambrogio Tasso riporta, in uno scritto del 1858, l'ancora discreta conservazione del complesso accennando l'integrità del chiosco anche trent'anni prima. L'incuria delle autorità ed il malvolere degli abitanti aggravarono il disfacimento del monastero, le cui mura sgretolandosi fornirono materiale per la costruzione di case coloniche, mentre gli edifici attornianti la chiesa ed il chiostro divennero il focolare ed il ricovero per le famiglie dedite al lavoro dei campi.
Nel 1903 l'ormai abbandonato monastero verrà dichiarato monumento nazionale italiano, portando così i primi veri e concreti restauri dell'immobile - ridotto già un rudere - a cura dell'architetto Alfredo d'Andrade.
Ricostruzioni consistenti si notano nel corpo dell'edificio conventuale attaccato al transetto di destra. Questi interventi devono essere stati attuati nel restauro compiuto dal D'Andrade e, forse, anche l'arcone a sesto acuto della portineria-foresteria, sotto cui passava la mulattiera, che appare in mattoni apocrifi. Buona parte del corpo della portineria-foresteria suddetta appare ricostruito, ma ben ricomposto. Qualche sostituzione di elementi lapidei, abbastanza evidente, si rileva nella parte esistente del corpo della chiesa, soprattutto attorno ad alcune finestre.
Il 26 febbraio 1955 l'allora ministro per la Pubblica Istruzione Angelo Raffaele Jervolino dichiarò la zona di Valle Christi di notevole interesse pubblico, ai sensi della legge n. 1497 del 29 giugno 1939.
Oggi è teatro di importanti manifestazioni culturali e teatrali, specie nel periodo estivo, ed inserito all'interno del campo da golf cittadino ed è stato di recente inserito nel panorama dei contenitori culturali.

Gli esterni
Del complesso restano alcuni cospicui avanzi che ne permettono la lettura.

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La chiesa del monastero è in stile gotico-romanico, con pianta a forma di croce latina. L'abside maggiore - rivolto ad est come le altre due presenti - presenta una volta a crociera in conci squadrati, sporgendo poco fuori dal muro perimetrale rispetto alle due absidi laterali. Il fondo dell'abside è piatto, raro esempio rimasto di questa tipologia gotico-cistercense: in Genova si contano rari esempi di tale forma, modificata nei secoli successivi per ospitare un coro più esteso (tra i rarissimi esempi superstiti la chiesa del Carmine a Genova). Quelle laterali contengono due cappelle che si affacciano sul transetto ed hanno una pianta quadrangolare, tipiche nelle chiese cistercensi.

L'elemento di maggior spicco resta la torre campanaria che, alta, ancora oggi svetta con la sua struttura in cotto, fortemente costolata, scandita dagli archetti pensili ed alleggerita su ogni prospetto da trifore marmoree. Termina con l'alta cuspide a quattro falde aperta ciascuna da un incisivo vuoto che concorre ad alleggerire ulteriormente il volume delle coperture. La sua forma che, almeno originariamente, assomiglia molto alla celebre [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]di San Salvatore dei Fieschi nel comune di Cogorno, è impostata sull'incrocio della navata con il transetto: essa sovrasta con la sua solida mole l'edificio sacro di cui restano in elevazione solo le strutture che fanno corpo per sostenere l'alta struttura.

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Il corpo conventuale, in parte diruto e molto deperito, era di tre piani e doveva comprendere un piano terreno per uso agricolo, con cantine ed altro, dispensa, cucine, mensa e, ai piani superiori, alloggi per 20-30 suore, sia per dormitori, che per ambienti di lavoro e preghiera.

Per affascinarci sono sufficienti, infatti, con la loro voce che giunge da un tempo così remoto, il campanile romanico dalla svettante cuspide ottagonale e gli archetti a sesto acuto, le colonnine leggiadre che adornano la cella campanaria, l'abside rimasta pressoché intatta ed i frammenti di mura, che con le vive pietre squadrate mostrano il robusto sviluppo dell'edificio, il pavimento a mattoni corroso ed i gradini sbrecciati che l'erba costantemente s'impegna a conquistare.

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I tre lati della fabbrica conventuale ed il corpo della chiesa chiudevano, all'interno, un chiostro rettangolare con portico a colonnette di marmo bianco, di cui si vede ora solo la forma planimetrica rivelata da residui di fondazioni e da un pozzo. Un altro pozzo o fontana per i viandanti ed i pellegrini, v'era certamente sulla via, dall'altra parte della chiesa, a lato del protiro, ove s'intravedono indizi oltre la stradetta stessa.

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Invece a valle di essa, contro il muro della chiesa, doveva esserci il cimitero, come rilevano le moltissime ossa umane ed una tomba a lastre di pietra grezza; anche a monte si dovette poi estendere detto cimitero come si arguisce da altri resti; altre tombe, sempre in lastre di pietra, sono nel pavimento del portico del chiostro, a ridosso della chiesa e anche nel terreno a fianco dell'abside verso sud.

Gli interni
Il presbiterio e i due lati del transetto sono coperti da volte a crociera in mattoni; le cappelle laterali sono invece chiuse con volte a botte in pietra. La convergenza dei muri laterali delle cappelle crea un effetto prospettico aumentando la profondità dei piccoli ambienti.

Sul perimetro del braccio destro del transetto è costruita la torre nolare, sostenuta da tre archi a sesto acuto e dal muro laterale del transetto verso ovest. I costoloni della crociera sono in mattoni sagomati in rotondo, mentre la chiave di volta è un concio in pietra a forma di croce dai bracci uguali, arrotondati, con due cerchi concentrici al centro e figurine a rilievo sui bracci. L'accesso alla chiesa direttamente dal chiostro era ricavato dentro la navata, sul lato destro, dove si nota ancora un lieve ribassamento del pavimento.
Dell'antica decorazione interna della chiesa rimangono i resti intonacati di una zebratura bianca e nera. Fu sfruttata molto la luce del sole mattutino, grazie alla presenza nell'abside maggiore di un rosone e due finestre.

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La leggenda
L'ubicazione poco soleggiata del convento, che favorisce la crescita di muschi e licheni, e lo stato di semi totale abbandono, esaltano il fascino un po' lugubre delle strutture gotiche, delle volte a crociera basse e buie, della totale assenza di ogni compiacimento decorativo, secondo la ferrea regola cistercense.

Si narra che in tempi molto antichi, una suora, follemente innamorata di un pastore, abbia trasgredito alla regola di castità rimanendo incinta e che per punizione sia stata murata viva, con la sua bambina appena nata, in una cella del convento. Molti asseriscono che nelle notti senza luna un lamento struggente sale dalle antiche pietre e si diffonde nella campagna.


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