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 Boschi - Madonna dell’Unione

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Boschi - Madonna dell’Unione Empty
MessaggioTitolo: Boschi - Madonna dell’Unione   Boschi - Madonna dell’Unione EmptyMar Feb 26, 2013 11:19 am


Boschi - Madonna dell’Unione

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Il nome Boschi è il nome della zona ove si è insediata una piccola Comunità Trappista. Nella valle dell’Ermetta, nel comune di Vicoforte (CN) vi è un agglomerato di case contadine denominato “i boschi”. In effetti, la valle è piena di boschi: in altri tempi castagni da frutto, ora solo bosco ceduo.
Sia per quest’aspetto ambientale, sia per l’appellativo suaccennato, si è ritenuto opportuno mantenere tale nome.
Essendo tutti i monasteri cistercensi dedicati alla Madre di Dio, era ovvio che questo piccolo monastero fosse denominato “Madonna di Boschi”(In seguito si accennerà all'appellativo: “Madonna dell’Unione”)

Nell’estate del 1971 tre monaci del Monastero delle Frattocchie di Roma, invitati da un amico di P. Filiberto Guala, vennero in Piemonte, a S. Biagio – Morozzo (CN).
La comunità di Frattocchie era da anni che ventilava un suo trasferimento in una zona più solitaria: l’aeroporto di Ciampino e la Via Appia, che passa davanti al monastero, sembravano d’ostacolo per la vita monastica della Comunità.
Una tenuta veniva ora offerta, e tre monaci vennero per rendersi conto della possibilità di un trasferimento.
A settembre i tre monaci rientrarono a Frattocchie ma la comunità non accettò l’idea del trasferimento.
P. Guala, per parte sua, non rinunciò alla sua idea di ridar vita a quel Priorato benedettino, da secoli ridotto a cascina; cercò di coinvolgere Lerins, Tamié, Tre Fontane, ma l’idea si dileguò come fumo vista l’impossibilità di provare a riunire tre o quattro monaci di formazione diversa.
P. Filiberto rimase deluso, ma ritornò - almeno per il momento - tranquillo a Frattocchie.

La prospettiva di un monastero cistercense in Piemonte aveva suscitato l’interesse nella gente, nel clero e nei Vescovi piemontesi (allora a Torino c’era il Cardinal Michele Pellegrino, il quale essendo un giorno a Roma venne a Tre Fontane; parlò in Capitolo e suscitò interesse nella parte più giovane della comunità di una vita monastica più semplice e più autentica, meno strutturata).
Il parroco di S. Biagio, don Bongiovanni, con mons. Bono e con il Vescovo di Mondovì mons. Brustia vennero successivamente a Tre Fontane per chiedere a questa Comunità di assumersi l’impegno che Frattocchie aveva declinato.
La comunità di Tre Fontane non aveva problema di trasferimento; vi si viveva, tuttavia, l’esigenza di una vita monastica meno appesantita da una struttura formata da fabbricati secolari.

Inoltre, il dopo Concilio aveva indotto l’Ordine ad aprirsi a nuove esigenze e concedere che due o tre monaci di una comunità vivessero una vita monastica più semplice, pur sempre legata alla comunità. Per questo tipo di esperienza, nuova e inusuale nell’ Ordine Trappista, si trovò uno statuto e un nome: “Annexe”!
Era questa l’idea che animava diversi membri della comunità: dipendenza dall’Abate e dalla comunità, ma in un luogo più semplice.
La questione fu dibattuta nella comunità.
Durante la visita regolare il Padre Immediato (proveniente dalla Trappe) suggerì alla Comunità una votazione. Tale votazione non verteva più sull’opportunità di avere una dipendenza, un’Annexe, bensì sulla scelta di comperare una piccola proprietà con relativa casa colonica!

Alcuni monaci, - due - venuti a Mondovì ai primi di marzo con l’Abate Dom Domenico Turco per riferire la decisione della comunità al Vescovo di Mondovì, fecero presente a mons. Brustia che San Biagio non era stato ritenuto un luogo adatto allo scopo.
Mons. Brustia, molto realista, conoscendo la situazione di San Biagio, rispose: “Scegliete voi il luogo, ma voglio che veniate nella mia Diocesi”.
Dom Domenico Turco, che era originario di Vasco, propose di pranzare dal fratello che durante il pranzo chiese il motivo della nostra presenza a Mondovì. Spiegate le motivazioni, egli ci disse: “So cosa cercate. C’è una casa in vendita che certamente fa al caso vostro”. Terminato il pranzo ci recammo sul luogo.

Vi trovammo due stanze al piano superiore e un locale, a pian terreno, suddiviso in cucina, refettorio, un’altra stanzetta e un corridoio che portava nella cantina.
La stalla attirò la nostra attenzione: usciva un poco dal corpo del fabbricato ed era adattabile ad una futura cappella. Il fienile sopra la stalla poteva essere idoneo per un dormitorio. Servizi non se ne vedevano (non c’erano!).
L’acqua era fornita da un motorino Honda che spingeva un filino d’acqua pseudo-potabile in una vasca dietro la stalla. Per il resto vi era una pompa a mano che consentiva a malapena di tirare su dell’acqua piovana da una cisterna.
Si stipulò subito il compromesso e si acquistò. Nel frattempo – da marzo a maggio – in Comunità emerse chi era più adatto e anche più entusiasta. Il numero era limitato a tre con una possibilità di “mobilità”. Uno dei motivi di quest’Annexe era di offrire la possibilità di una vita monastica più semplificata. Vi era già un monaco di Tre Fontane – Fr. Daniele – che da alcuni anni viveva a Palaia in una casa lasciata arredata (in modo monastico) da una comunità aperta da D. Divo Barsotti, poi scioltasi. Un altro componente del primo gruppo fu Fr. Basilio. Come responsabile dell’Annexe Dom Domenico scelse Padre Bernardo.

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Partimmo con un camioncino sul quale avevamo caricato in precedenza parte degli “arredi” di Daniele il 17 maggio 1972, all’indomani delle elezioni politiche nelle quali il Partito Comunista aveva ottenuto molti voti.
Il viaggio fu abbastanza avventuroso ma comunque, verso le cinque del pomeriggio, arrivammo. Con un po’ di pazienza ci sistemammo per la cena e la notte. L’Eucaristia si era celebrata a Tre Fontane prima di partire.

E la vita cominciò! I tre ‘elementi’ messi assieme manifestarono subito la loro diversità di vedute: uno era paladino della povertà, l’altro desiderava il “digiuno eucaristico” per avere più tempo per il lavoro; P. Bernardo, in relazione con l’Abate, diceva che non c’era bisogno di inventare nulla. La semplicità della vita, a volte la mancanza di mezzi, ci avrebbero indotti (obbligatoriamente!) a prendere sul serio il contenuto della vita cistercense.

I primi due mesi, giugno e luglio, passarono, oltre che a cercare di ordinare un po’ le cose essenziali per vivere, nella coltivazione dell’orto e della vigna, del frutteto, che era ancora efficiente e in produzione.

Ad Agosto Daniele ritornò a Palaia.
A settembre vennero P. Gianmaria e Petruccio un bravo muratore che lavorava alle dipendenze delle Tre Fontane.

La prima cosa da fare era ripulire un po’ la stalla, poi rifarne il pavimento per utilizzarla come chiesa.

La vigilia della festa di Tutti i Santi celebrammo i primi vespri e l’Eucaristia. Mancava sì la porta ma ci si ripiegò con una tenda di sacchi cuciti insieme. Al mattino dopo le vigilie! Si era dovuto usare per il riscaldamento dell’ambiente un contenitore di ferro con delle braci, le quali, in luogo di scaldare, producevano solo fumo.

Il lavoro di adattamento proseguiva. Sennonché forse nel novembre 1972 iniziò a circolare la voce che, non appena Padre Guala avesse sistemato la faccenda della fabbrica del cioccolato delle Frattocchie, egli sarebbe venuto a San Biagio.

Il Vescovo Mons. Brustia, che seguiva con interesse la nostra presenza, venne un giorno a vedere i lavori. Io ero un poco scoraggiato, ma soprattutto arrabbiato. Non dico che presentai la questione a mons. Brustia, ma (posso dire?) lo aggredii dicendogli che avremmo rifatto le valigie e saremmo andati a cercarci un altro luogo. Non era opportuno ripresentare la stessa situazione che già esisteva a Roma con i due monasteri.

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La risposta del Vescovo fu chiara e precisa: “Padre Filiberto vuol venire a San Biagio per un centro di spiritualità. I trappisti per me siete voi e io ho chiesto a voi di venire nella Diocesi di Mondovì. Tra l’altro, aggiunse, la comunità è contraria al progetto di Padre Guala e questi ha chiesto l’exclaustrazione alla Santa Sede per tre anni”.

Incoraggiati da questa risposta del Vescovo, proseguimmo i lavori di adattamento: l’inverno era ormai alle soglie e… fu dura! C’era un po’ di legna lasciata dai contadini, bisognava segarla a mano per tenere accesa l’unica stufa che serviva da cucina.

Boschi non ha mai avuto né voluto né curato la popolarità. In quegli anni del “68 monastico” era apparso un articolo su una rivista (forse Jesus o Famiglia Cristiana) che suonava così: “Piemonte: Umbria del 2000”. Venivano riportate due esperienze monastiche - se ben ricordo - : quella di Padre Charles di Tamié e quella di tre monaci Benedettini di San Paolo Fuori le Mura, esaltando così il coraggio del rinnovamento monastico!

Quando stavo per adattarmi alla vita semplice e cercavo di approfondire il senso della vita monastica, non solo per me ma anche per l’uomo contemporaneo, avvenne quanto non avevo mai pensato e tanto meno desiderato.
Dom Domenico Turco era stato costretto a dare le dimissioni da Abate di Tre Fontane. Il Visitatore – D. Gervasio di Frat-tocchie – venne a Boschi e chiese a me di fare il Superiore a Tre Fontane. Conoscevo bene la situazione di quella Comunità: un Amministratore francese che aveva demandato la conduzione della Comunità al Priore venuto dalla Trappe e il noviziato ridonato a Padre Agostino pure lui della Trappe.
La situazione economica era molto complessa e ingarbugliata. Risposi a D. Gervasio che io non avevo la vocazione per mantenere le mura antiche, se queste non servivano alla vita monastica. Al che mi rispose: “Allora io chiudo il monastero”.

Dopo alcuni giorni di esitazione e un poco di preghiera, accettai. Il 2 febbraio 1974 fui “installato” come Superiore “ad nutum”, per tre anni.
Di Boschi cosa sarebbe avvenuto? Il Visitatore mi assicurò che l’esperienza sarebbe continuata con l’invio, al mio posto, di Dom Domenico. Per il visitatore, non era il problema di tenere aperto Boschi, ma in questo modo egli trovava una sistemazione per Dom Domenico.

I tre anni di P. Bernardo quale Superiore di Tre Fontane non entrano direttamente nella storia di Boschi, anche se hanno inciso in modo non del tutto positivo sulla vita di Boschi.
Nel febbraio 1977 P. Bernardo, finito il mandato di Superiore, chiese al Padre Generale di poter tornare a Boschi per vivere la sua vocazione monastica.

Ivi giunto vi ritrova Dom Domenico con un certo Giovanni Van Wess, un individuo assai curioso. Aveva questi vissuto per anni a Tre Fontane come Oblato, poi a Frattocchie, infine, allontanato definitivamente da Frattocchie e Tre Fontane, era tornato in Olanda. Ma, saputo che Dom Domenico era a Boschi, vi s’installò (il termine è esatto, perché Dom Domenico, remis-sivo com’era, lasciava fare tutto a lui).

Nel Frattempo era arrivato Padre Lino, Scalabriniano, per un periodo di sei mesi e poi con l’intenzione di rimanere in modo definitivo, se questa risultasse essere volontà di Dio.

Inevitabilmente il conflitto con Van Wess si manifestò; lo conoscevo già da Tre Fontane, si era ormai fatto la sua cerchia di amici e si imponeva. Si spostò in un appartamento a Mondovì; i soldi non gli mancavano.

A Tre Fontane era cambiato il Superiore e questi non vedeva con simpatia Boschi, anzi voleva porre fine all’esperienza di un Annexe. Replicai che sarebbe stato possibile, ma era necessario che la Comunità tutta si esprimesse in proposito. Soprattutto era opportuno avvertire il vescovo di Mondovì. Lasciò cadere l’idea di chiudere.

Venne eletto – dopo due anni – un nuovo superiore, P. Angelo di Frattocchie. Questi era stato cappellano a Vitorchiano. Le Suore cercarono di convincere il nuovo superiore a riprendere Boschi come Annexe di Tre Fontane.

Essendo solo superiore “ad nutum” non aveva giurisdizione se non in dipendenza dell’Abate della Trappe. L’Abate della Trappe prese in mano la questione a livello giuridico: P. Bernardo divenne eremita alle dipendenze dell’Abate della Trappe. Nel 1980 P. Lino partì per la Trappe per un anno di noviziato.
Nel frattempo era arrivato Eugenio. P. Angelo, superiore a Tre Fontane, accettò di riprendere come Annexe Boschi ed Eugenio per l’anno di noviziato a Tre Fontane.

Giunto il momento della professione semplice, a Tre Fontane si resero conto che questi non poteva fare professione in comunità e poi vivere a Boschi (era un cavillo, poiché la professione era per la Comunità; il Superiore poteva sempre concedere di vivere nell’Annexe di tale Comunità).
Inoltre, qualcuno non voleva che P. Lino soggiornasse per un anno a Tre Fontane, come da accordi presi. Il programma era chiaro: tenere Eugenio a Tre fontane, far ritornare P. Bernardo in comunità, dimettere P. Lino e così mettere fine a questa esperienza ritenuta da alcuni “provocatoria”, ai limiti, se non fuori, della visione “trappista” nel vivere la vita cistercense.
Il desiderio e il tentativo di riunire l’Annexe a Tre Fontane non ebbe seguito.

Il P.Generale, D. Ambrose, – di passaggio a Boschi – fu da me interpellato se avessi dovuto rifiutare queste due nuove vocazioni. “Assolutamente no” mi rispose. Ma sul piano pratico non fece molto per favorire l’inserimento giuridico di Boschi nell’Ordine.

Boschi era nato come Annexe, quindi con uno statuto giuridico dato dall’Ordine. Ora, nessuno aveva idee chiare sul da farsi. C’era un’evoluzione nell’Ordine e una soluzione giuridica per una tale novità, lo statuto di Annexe, ma nella pratica non si arrivò ad una soluzione.

Ci rivolgemmo a Tamié. Nonostante alcuni aspetti giuridici di non facile soluzione, la Comunità accettò Boschi, quale Annexe, per cinque anni.
Padre Lino, dopo tre mesi di permanenza, fu ammesso con il voto dei monaci di Tamiè ed anche di P. Bernardo, alla profes-sione solenne. Fu in quell’occasione che si decise di dare a Bo-schi il titolo di “Madonna dell’Unione”. Egli quindi poté emet-tere la professione solenne a Boschi nelle mani dell’Abate Dom Jen-Marc, come membro di quella Comunità, pur vivendo a Boschi.
Eugenio fece la professione semplice a Tamié ed in seguito quella solenne a Boschi.
Silvio, arrivato più di recente, fece l’anno canonico di noviziato e la professione semplice a Tamié.

Il Capitolo Generale del 1993, - avendo Tamié terminato il suo impegno con Boschi, e non essendo disposto ad assumere Boschi come Fondazione, affidò all’Abate di Tamié D. Jean Marc a titolo personale – il compito di accompagnarne l’evoluzione. (Per qualcuno “accompagnare” aveva il significato di condurre Boschi fino alla morte, per estinzione!).

In seguito arrivò Giovanni. Si poneva nuovamente il problema del dove fare il noviziato: in quale altro Monastero, egli avrebbe potuto compierlo. Dom Bernardo Olivera, nuovo Abate Generale, di vedute più ampie, ottenne per Boschi un indulto, concesso all’Abate di Tamié, di aprire il noviziato canonico a Boschi.

Nel frattempo la RIM aveva votato una richiesta al Capitolo Generale perché a Boschi venisse riconosciuta l’autonomia di Priorato semplice, pur richiedendo una dispensa sul numero di Professi richiesto a tale scopo dalle Costituzioni.

L’Abate Generale consigliò di dare corso alla costruzione di alcuni ambienti che garantissero una separazione della Comunità dagli ospiti.

Nell’anno 1995 furono sistemati l’ala del Capitolo, lo scrittorio e fu ampliata la Chiesa.

Al Capitolo Generale del medesimo anno fu proposta per la nostra comunità l’autonomia, che venne accordata. Boschi divenne così un Priorato Trappista, con la denominazione di Monastero “Madonna dell’Unione”.
L’Abbazia di Tamié fu scelta dal Capitolo Generale come Casa Madre per Boschi.



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