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MessaggioTitolo: Petra πέτρα   Petra πέτρα EmptyLun Ott 08, 2012 8:33 pm



Petra

GIORDANIA


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Patrimonio dell'umanità dal 1985

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Storia e architettura di Petra

Oggi, sotto la protezione dell’Unesco, che l’ha annoverata tra i siti dichiarati «patrimonio universale dell’umanità», Petra continua a richiamare visitatori che si muovono in un sito in continua crescita, dove l’attività degli archeologi e di chi si occupa di tutela ambientale e artistica sono sempre ferventi.

I Nabatei


Di questo popolo di commercianti, architetti e padroni del deserto, il cui regno è durato per circa 500 anni, non si conosce moltissimo a causa della scarsità di testimonianze scritte. La prima citazione che si fa dei Nabatei risale a Diodoro Siculo (I secolo a.C.) che nella sua Biblioteca storica descrive una spedizione contro gli Arabi Nabatei avvenuta nel 312 a.C. Altre testimonianze della stessa epoca ne parlano come di un popolo nomade che contava non più di 10.000 anime.

Si sa comunque che erano ricchissimi grazie al commercio dell’incenso, della mirra e delle spezie. I Nabatei vengono descritti inoltre come abili conoscitori del deserto e per questo depositari delle informazioni sull’approvvigionamento e l’utilizzo del bene più prezioso, l’acqua. Gran parte dei proventi dei Nabatei provenivano non solo dalla compravendita delle merci, ma anche dalle tasse che esigevano per il passaggio delle carovane che facevano tappa nella loro capitale.

Nelle epoche successive, del popolo del deserto si fanno solo sporadiche citazioni. Bisognerà arrivare al I secolo a.C. e leggere la Geografia di Strabone per apprendere che la tribù nomade ha costituito un embrione di società stanziale, insediatasi in una città opulenta. Ciò fu un riflesso anche del generale stato politico della Grande Siria, della diminuzione del controllo seleucide e dell’aumento delle autonomie di potere locali. Anche i Nabatei, il cui sovrano Aretas II nel 100 a.C. batté moneta propria (segno questo di grande potere e di affermazione), rafforzarono la loro presenza spingendosi oltre i confini del loro regno, verso nord fino alla regione dell’Howran (attuale Siria meridionale). Fu il primo passo del cammino che poi nell’85 a.C. vide i Nabatei giungere fino a Damasco, che si consegnò nelle mani di Aretas III perché potesse difenderla dagli attacchi da parte di tribù che minacciavano il commercio e gli abitanti.

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Aretas III continuò a governare su Damasco fino al 72 a.C. In quel periodo i Nabatei controllavano le piste del Negev che percorrevano per collegare Petra al porto di Gaza. Durante il suo regno, il popolo nabateo venne orientato verso un nuovo tipo di vita e un nuovo indirizzo politico, dovuto alla tendenza verso lo spirito ellenistico. Petra subì l’influenza architettonica, religiosa e culturale dei centri con cui aveva maggiori rapporti, in particolare con Alessandria, principale sbocco del commercio nabateo, da cui attinse non solo stili e tendenze, ma anche artisti e scultori.

L’arrivo dei Romani e la costituzione della Provincia Romana di Siria, con Pompeo, nel 64 a.C., non ebbe particolari conseguenze immediate sui Nabatei, che non subirono gli effetti della generale riorganizzazione. Fu però lo stesso Impero romano, oltre un secolo dopo, a provocare la fine del regno nabateo.

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Quando vennero studiate le correnti e si imparò come sfruttare gli effetti dei monsoni, si aprì una nuova via di mare ai commerci dall’Estremo Oriente. All’improvviso le merci che prima approdavano al Mediterraneo dopo un lungo tragitto terrestre, avevano una via preferenziale via mare che dall’Arabia le portava direttamente alla costa egiziana. Il controllo di queste nuove vie da parte dei Romani colpì drasticamente il commercio nabateo. Fu probabilmente in conseguenza a questi avvenimenti che si dette avvio allo sviluppo dell’agricoltura nella regione del Negev e dell’Howran, dove nel I secolo d.C. venne spostata la capitale nabatea nella città di Bosra. Traiano inoltre, nel 106 d.C. allargò i confini dell’Impero e creò la Provincia Romana d’Arabia, con Bosra capitale. Ciò pose fine definitivamente al potere nabateo, anche se il popolo non venne annientato. Petra sopravvisse secondo il modello delle città orientali romane, cui seguì anche l’influenza del cristianesimo, come risulta dalla presenza di tombe-cattedrali e di chiese.

La persistenza del popolo nabateo almeno fino al IV secolo è documentata dai Papiri di Petra, scoperti nel 1994. Sebbene anche i Crociati fossero giunti a Petra (dove costruirono due fortezze) e successivamente gli Ottomani che lasciarono traccia della loro presenza, il sito, dopo la fine del regno nabateo, rimase nell’ombra per secoli, fino al 1812. Fu un viaggiatore anglo-svizzero, Johann Ludwig Burckhardt (1784 - 1817), che nel 1812, recandosi da Damasco al Cairo, sentì parlare di un'antica città stretta fra montagne impenetrabili e decise di andare a cercarla. Sapeva parlare arabo e così, col nome di Sheik Ibrahim e travestito da commerciante musulmano, raccontò di aver fatto voto ad Allah di sacrificare una capra al profeta Aronne presso la sua tomba in cima a Gebel Haroun, un'alta collina sovrastante la chiacchierata città.
Con una simile storia convinse due indigeni a guidarlo attraverso il siq, un'angusta gola scura con pareti a picco, larga in certi punti poco più di un metro, che si snoda per quasi un chilometro e mezzo tra torreggianti blocchi di arenaria rossa decorati e intagliati. All'improvviso, il siq emerse dall'oscurità e a Burckhardt apparve il primo e più sensazionale monumento della città: il Khazneh, la Casa del Tesoro, una risplendente costruzione nabatea rosso cupo, che ancora oggi contrasta talmente con il paesaggio circostante da sembrare un pezzo di scenario di film abbandonato sul luogo. Là Burckhardt tracciò sui suoi ampi indumenti uno schizzo dell'edificio, poi compì una breve visita attorno alla città e, al cadere delle tenebre, sacrificò la capra ai piedi del tempio di Aronne prima di fare ritorno a Elji, a missione compiuta.
I diari di Burckhardt sulla scoperta di Petra divennero pubblici solo cinque anni dopo la sua morte, nel 1822, suscitando grande clamore soprattutto in Inghilterra.
E Lawrence d'Arabia scrisse…
"Petra è il più bel luogo della terra. Non per le sue rovine […], ma per i colori delle sue rocce, tutte rosse e nere con strisce verdi e azzurre, quasi dei piccoli corrugamenti, […] e per le forme delle sue pietre e guglie, e per la sua fantastica gola, in cui scorre l'acqua sorgiva e che […] è larga appena quanto basta per far passare un cammello […]. Ne ho letto una serie infinita di descrizioni, ma queste non riescono assolutamente a darne un'idea […] e sono sicuro che nemmeno io sono capace di farlo. Quindi tu non saprai mai che cosa sia Petra in realtà, a meno che non ci venga di persona". Queste parole di Thomas Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d'Arabia, rimarcano l'effetto sconvolgente che il "capolavoro totale" di Petra esercita sul visitatore, e chiunque ci sia stato non potrà che confermarle.

I Nabatei parlavano una lingua che derivava dall’arabo del Sud, ma che, scritta, assomigliava all’aramaico. Adoravano una triade di divinità: Dushara, Al Uzza e Itudat. Dushara era il dio supremo, protettore di Petra e dei Nabatei, Al Uzza era la principale divinità femminile, venerata da tutti gli Arabi, mentre Itudat era il dio del commercio e il protettore dei carovanieri.

Nel corso della loro storia furono guidati anche da due regine, Huldu e Shaqilat, entrambe in epoca successiva ad Aretas IV.

Fulgore e declino di Petra


In base alle iscrizioni nabatee rinvenute nel Siq, è stato dedotto che il suo nome in semitico era Reqem. Quello di Petra, infatti, ha origine greca e significa roccia. Petra divenne capitale dei Nabatei nel 311 a.C., dopo la spedizione di Antigone, al potere in Siria, che inviò 4000 soldati e 600 cavalieri per saccheggiare un grande centro nabateo. Si trattava di Sela, che i Seleucidi attaccarono senza successo. Giunti alle porte della città, infatti, gli aggressori trovarono solo donne e bambini perché gli uomini erano partiti con le carovane di mercanzie. Antigone lasciò a Sela suo figlio Demetrio, cui vennero offerti dalla popolazione locale numerosi doni affinché lasciasse la città. Decisosi a partire, sulla via del ritorno si imbatté negli uomini nabatei che sterminarono l’esercito seleucide, salvando la vita solo a Demetrio. In seguito all’avvenimento, i Nabatei si spostarono in un luogo meno facilmente accessibile e si insediarono così a Petra.

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All’inizio del II secolo a.C. Petra era una città già importante. Terreni ricchi e posizione strategica contribuirono alla sua affermazione. Ma lo splendore della città venne raggiunto durante il regno di Aretas IV (dal 9 a.C. al 40 d.C.), quando Petra contava 25.000 abitanti. L’arrivo dei Romani portò un rinnovato slancio artistico e architettonico, subito prima del declino dovuto all’affermarsi di Palmira, nel deserto siriano. L’imperatore Adriano visitò Petra nel 130 d.C. ribattezzandola Petra Adriana. In epoca bizantina Petra si trasformò e tornò a essere ricostruita, pur senza raggiungere i successi del passato. In epoca successiva venne distrutta da vari terremoti e minacciata da tribù di predoni del deserto.

Petra venne completamente isolata in epoca islamica (omayyade e abbaside) perché lontana dalle rotte di Damasco e Baghdad. I due Forti crociati di Habis e al-Wu’eira facevano parte della linea di fortificazioni lungo la rotta da Gerusalemme ad Aqaba. Quando Saladino sconfisse i Crociati a Hattin, Petra ritrovò il suo ruolo di centro carovaniero. In epoca recente Petra è stata abitata dai beduini della tribù dei Bdul, oggi allontanati dalle rovine archeologiche e insediati nel villaggio moderno di Umm Seihun.
Nonostante la riscoperta da parte di Burkhardt fosse avvenuta nel 1812, le prime ricerche archeologiche vennero iniziate solo nel 1924, sotto la supervisione della British School for Archaeology di Gerusalemme. Nel 1993 è stata scoperta una chiesa con manoscritti bizantini del VI secolo e i lavori di scavo e di ricerca continuano inesorabilmente. Nel giro di pochi mesi lo stesso Siq, la gola che permette l’accesso principale al sito, ha cambiato aspetto. Più ampio di prima, ha rivelato nuove decorazioni alle pareti e soprattutto è stato liberato dalla terra e dai detriti che nascondevano completamente l’antica pavimentazione lastricata.

L’antica capitale del regno nabateo si trova a un’altitudine media di circa 1000 metri. Riceve in totale 200 mm di acqua all’anno e quindi è inserita all’interno di un ambiente semi-desertico, un altipiano di arenaria circondato dalle montagne di Shara (che raggiungono un’altezza massima di 1700 metri) e in posizione dominante sulla valle di Araba che collega il Mar Morto con il Mar Rosso. Dallo scarso apporto di acqua piovana si deduce l’ulteriore conferma della maestria dei Nabatei che seppero risolvere il problema dell’approvvigionamento idrico per le migliaia di persone che abitavano la città, realizzando cisterne, canali rupestri e di terracotta.
La roccia di Petra è un’arenaria cambriana formata da strati di diverso colore provocati dall’esistenza di ossidi metallici, di arenaria ordoviciens, con rocce ricche di quarzo e di colore bianco.

Tecniche di costruzione

Alcuni dei monumenti più numerosi e più caratteristici della città di Petra, le tombe, sono state oggetto di profondi studi che hanno rivelato dati determinanti quanto alla tipologia delle tecniche impiegate per la costruzione.

In base alle caratteristiche architettoniche degli edifici funerari, sono stati identificati sette diversi tipi di tombe. Secondo alcuni studiosi tale distinzione è impropria poiché non si tratterebbe di diverse tipologie architettoniche. In base alle loro teorie, lo stile è unico e le varie differenze vanno attribuite solo al fattore temporale e all’epoca di costruzione: con il passare degli anni lo stile si sarebbe affinato dando luogo a correnti diverse e impostazioni nuove. Per altri, invece, si tratta di stili e tecniche diversi, dovuti a una serie di fattori, non ultimo il fatto che gli architetti di Petra avevano subito notevoli influenze esterne, soprattutto ellenistiche e orientali.
I Nabatei infatti vivevano al crocevia delle civiltà, ma sebbene avessero assorbito le caratteristiche delle popolazioni con cui erano a contatto, mantennero comunque un’identità propria che si riconosce nella monumentalità delle costruzioni e nella cura dei dettagli, tanto da dare vita a una vera e propria definizione, la tecnica nabatea.

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Nonostante le sfumature, le differenze di epoca e di realizzazione, in linea di principio si può dire che le tombe venivano realizzate con due tipi di tecniche: una prevedeva l’utilizzo di blocchi di pietra tagliati dalle cave della regione; con l’altra invece i monumenti venivano scavati nella parete della montagna. Nel primo caso la difficoltà maggiore, oltre che nel trasporto del materiale, stava soprattutto nella capacità di tagliare blocchi di pietra dal fianco di una montagna. I Nabatei lo facevano praticando dei fori all’interno dei quali ponevano dei pezzi di legno che successivamente impregnavano d’acqua. Il legno gonfiandosi faceva spaccare la roccia con un taglio netto. Per superare l’altezza delle montagne i Nabatei utilizzavano scale e si servivano di supporti laterali costituiti da buchi lungo la parete della montagna, utilizzati come sostegno per le mani. Nel secondo caso invece, le tombe scavate direttamente nella roccia venivano realizzate con una tecnica scultorea che partiva dall’alto per arrivare al basso. Procedendo in questo senso, il lavoro realizzato non veniva rovinato dall’opera successiva.

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Per scolpire la montagna veniva inizialmente fatto un grosso taglio netto per definire la superficie sulla quale poi si proseguiva con i dettagli. Il lavoro veniva svolto con l’ausilio di impalcature mobili, o a volte con il taglio nella montagna di piattaforme che fungevano da piano d’appoggio e che poi venivano eliminate. All’interno le tombe erano comuni e destinate a un’intera famiglia. Molte delle costruzioni funerarie nabatee avevano la cima inclinata in avanti rispetto al resto della facciata per consentire il drenaggio dell’acqua senza rovinare il lavoro compiuto.

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Dalle numerose immagini di Dushara rinvenute sui monumenti si desume che gli artisti e gli scultori erano gente del posto, devoti alla loro divinità, cui chiedevano benedizione e protezione.

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