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 Le Strade Nuove e il sistema dei Palazzi dei Rolli - 3° Parte

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MessaggioTitolo: Le Strade Nuove e il sistema dei Palazzi dei Rolli - 3° Parte   Le Strade Nuove e il sistema dei Palazzi dei Rolli - 3° Parte EmptyLun Ott 01, 2012 11:26 pm


Le Strade Nuove e il sistema dei Palazzi dei Rolli

ITALIA


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Patrimonio dell'umanità dal 2006


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Palazzo Bartolomeo Lomellini


Il palazzo Bartolomeo Lomellini è oggi sede dell'Istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele II".

L'opera di costruzione durò tra il 1566 e il 1570 da Bartolomeo, fratello del Nicolosio Lomellino di Strada Nuova (oggi palazzo Podestà) e nipote di acquisto di Adamo Centurione. Iscritto nei rolli di Genova dal 1588 al 1664, rimarrà alla famiglia Lomellini sino al 1757, passando poi per linea femminile ai Rostan Reggio, sinché nel 1892 non fu venduto ai Raggio.

Al centro di un nucleo residenziale che, per i grandi vuoti, appare di carattere suburbano essendo fuori dalla cinta del XII secolo ma dentro le mura vecchie (1320-1536), la volumetria originaria sembra adeguarsi alla conca di Vallechiara. Così come del resto appare dal prospetto rubensiano, allungato e armonicamente composto negli assi verticali della quadratura pittorica.

Interessante è anche sapere che la fornitura delle colonne (1566) a cura dei maestri Giacomo Guidetti e Giovanni Lurago, abbia come testimone Bernardino Cantone e giudice della qualità Gio Batta Spinola fratello di quel Tommaso committente di Giovanni Battista Castello per il portale della casa di santa Caterina.

Nonostante l'acquisto della "villa" di San Bernardo dell'Olivella (1581), sarà soltanto dopo il 1775 che Agostino L. incaricherà Emanuele Andrea Tagliafichi di progettarvi un bel giardino assieme a certi ammodernamenti interni che si colgono nelle tavole di M. P. Gauthier o nei resti leggibili di orte e busti marmorei incorniciati da bei stucchi rococò.

Tutto cambierà dopo la vendita delle eredità di Teresa Lomellino fatta dalla marchesa Elisa Rostan Reggio a Edilio Raggio nel 1892, assieme alla villa di Multedo, dichiarata inalienabile secondo il fedecommesso di B. L.

Oggi il mascheramento dovuto alla scala iniziale di raccordo con lo scalone originario, agli adattamenti di una sede scolastica affittata dal Comune nel 1875 come Istituto tecnico commerciale, ai prolungamenti (1908) e al rinnovo neorinascimentale della facciata (ingegner Lodigiani), renderebbero tutto irriconoscibile se non vi fossero le otto tavole dedicategli da Rubens. A iniziare dai due grandi sbancamenti introdotti dal taglio di Strada Nuovissima (1778-1786, oggi via Cairoli) sino a quello della lottizzazione Raggio subito prima dei tunnel veicolari.

Gravi furono anche i danni nella seconda guerra mondiale ai piani superiori, come la scomparsa di un camino monumentale, ma anche della grande decorazione che doveva arricchire una dimora in cui si svolsero le adunanza degli Arcadi, di cui per altro rimane parte di affreschi al piano rialzato (segreteria) con Enea e Didone di mano vicina a Bernardo Castello.

Palazzo Lomellini-Doria Lamba


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Il palazzo Lomellini-Doria Lamba fu incluso nei rolli di Genova dal 1588 al 1664; era però soltanto il nucleo dell'attuale edificio, ristrutturato ed ampliato da Gregorio Pettondi nel 1776 per Gian Tommaso Balbi.

Fu proprio il contemporaneo tracciamento di Strada Nuovissima (1778-1786, oggi via Cairoli), ad opera dello stesso Pettondi, con ingresso dalla salita dei Forni, attraverso l'annessione di due lotti edificati che accrebbe il palazzo alle attuali dimensioni, ottenendo un doppio affaccio su via Lomellini e sulla nuova strada.

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Così l'architetto sceglie una soluzione distributiva, scenografica e complessa, che collega i due atrii e gli ambienti dei piani superiori, "rinnovando i fasti di quell'architettura continua delle scale che si era inventata a Genova nel XVI secolo, che Bartolomeo Bianco aveva moltiplicato nei palazzi di via Balbi.

Il palazzo, dove nel 1798 esisteva ancora la loggia dell'"albergo" Lomellini, è oggi di proprietà della famiglia Doria Lamba e sede di uffici e abitazioni.


Palazzo Giacomo Lomellini


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Il palazzo Giacomo Lomellini è sede dal 1945 del Comando Militare dell'Esercito Italiano in Liguria.

Annesso all'attiguo palazzo De Marini-Spinola della prioria di Sant'Agnese nel 1922, l'edificio viene riedificato dal doge Giacomo Lomellini (1625-1627), accorpando due unità edilizie del patrimonio avuto, tra cui la dimora gentilizia inclusa nei primi rolli dell'ospitalità pubblica.

Eretta tra il 1619 e il 1623, in un'area caratterizzata da una forte espansione residenziale, la dimora esprime un linguaggio tradizionale di ricerca ostentata della simmetria nella pianta e nel prospetto. Nonostante l'esiguità dello spazio dovuta all'edificio retrostante, il palazzo non è privo di un certo gusto scenografico, proponendo, con il suo cortile a triforio, la soluzione aulica di "entrata reale" che culmina contro il muro di fondo in un piccolo ninfeo oggi scomparso, ma in parte visibile nell'edizione rubensiana.

Nel 1927 l'edificio viene ceduto dall'ultimo proprietario, Fausto Patrone, al Municipio di Genova che, per allargare la sezione stradale tra largo della Zecca e piazza della Nunziata, ne demolisce uno spigolo eliminando a ogni piano un salotto e un gabinetto attiguo. Il tamponamento del cortile loggiato, con l'inserimento di due colonne simili a quelle già esistenti e la creazione di nuove volte nel 1923, fu una scelta di Antonio Quinzio, allora direttore dei musei comunali, che eseguì anche la decorazione a grottesche dello scalone di rappresentanza.

Al suo interno è visibile un ammirato ciclo di affreschi di Domenico Fiasella che illustra Storie di Ester: all'importanza della qualità espressiva si affianca quella di un'allusione politica profonda che il committente ha inteso manifestare scegliendola fra i temi biblici.

Palazzo De Marini-Spinola


Il palazzo De Marini-Spinola, che era appartenuto a Cattaneo De Marini, sorge, in un ambito urbano del tutto estraneo all'influenza della famiglia Spinola, a ridosso della più celebre dimora del doge della Repubblica di Genova Giacomo Lomellini (palazzo Giacomo Lomellini al quale è stato annesso nel 1922).

Acquistato da Gio. Luca Spinola nel 1636, il palazzo è inquadrato in un programma edilizio dal senatore Gio. Domenico Seniore che, negli anni settanta del XVII secolo, avvia una progressiva espansione verso nord con l'annessione di alcune unità immobiliari attigue.

Nel 1752 passa in proprietà al Magistrato dei Poveri fino ai primi decenni del XX secolo, quando viene acquistato dal Comune di Genova. Trasformato prima in residenza borghese, poi in Gabinetto di Geologia e Mineralogia della Regia Università di Genova e Scuola Tecnica, l'edificio subisce dalla metà del XVIII secolo agli inizi del XX numerose modifiche che lo privano della sua articolazione plano volumetrica originaria, di cui rimane una caratteristica torretta di servizio su via di Sant'Agnese, senza tuttavia perdere l'immagine di prestigio.

Palazzo Belimbau


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Il palazzo Belimbau o palazzo Antoniotto Cattaneo è oggi sede di dipartimenti dell'Università degli studi di Genova.

Antoniotto Cattaneo terminò la costruzione dell'edificio nel 1594, assumendo poi la forma definitiva nel 1611 per volere di Francesco De Ferraris, che lo unisce a un suo palazzo attiguo.

Nella prima metà del XVII secolo la famiglia Chiavari incarica Lazzaro Tavarone di affrescare la volta del vestibolo con L'incontro di Antonio e Cleopatra e quella del salone al piano nobile con le Imprese di Cristoforo Colombo.

La facciata verso la piazza e lo scalone sono opera dell'architetto Giovanni Battista Pellegrini, che nel 1785 dirige la ristrutturazione dell'edificio per la famiglia Negrotto Cambiaso. La facciata è scandita da una quadratura mista, con un ordine architettonico di gusto classicista e specchiature ad affresco.

Nel 1815 fu residenza di papa Pio VII, prigioniero di Napoleone Bonaparte di passaggio a Genova, come ricorda un'iscrizione posta sul portale di ingresso.

Palazzo Durazzo-Pallavicini o di Gio Agostino Balbi


L'architettura di questo palazzo, ritenuta il tratto d'unione tra i modelli residenziali di Strada Nuova e le soluzioni compositive di via Balbi fu concepita dall'architetto Bartolomeo Bianco per Gio. Agostino Balbi. Le sue capacità tecniche rispondono in pieno alle esigenze del committente che richiede una planimetria tradizionale a "U", nonostante un'area triangolare sia difficile da aggredire.

Elemento architettonico forte della composizione è il nucleo delle scale divergenti sul cortile, separato dallo scalone monumentale: un vero e proprio percorso coperto dalle stanze al piano dei mezzanini.


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Caratteristico è anche l'utilizzo degli spazi esterni che si suddividono a levante e a ponente, consentendo una graduale vista dei giardini pensili lungo la strada.

I problemi finanziari costringono presto il nuovo proprietario, Bartolomeo Balbi, ad affittare una parte del palazzo a Giuseppe Maria Durazzo e nel 1710 a cederlo per intero a Marcello Durazzo.

Nel 1774 l'architetto Emanuele Andrea Tagliafichi è incaricato di ridefinire l'area a monte dell'edificio. Anche in questo intervento la chiave della composizione si ritrova nell'elemento distributivo verticale con l'ideazione di un imponente scalone su due audaci rampe a sbalzo, con una scelta nuovissima per la cultura genovese dell'epoca, molto vicina alla cultura d'oltralpe.

La dimora genovese - arricchita da un archivio monumentale che raccoglie le carte di molte parentele che hanno pesato sulla storia di Genova; mentre la biblioteca e la raccolta di manoscritti volute da Giacomo Filippo Durazzo nel XVIII secolo sono state di recente trasferite nel palazzo Durazzo Pallavicini di Luccoli - appartenne alla famiglia Durazzo alla stessa stregua del Palazzo Reale, ubicato anche esso in via Balbi e principale dimora della famiglia, venduto da Marcello Durazzo al re Carlo Felice nel 1824 e divenuto Museo Statale,del Palazzo Durazzo alla Meridiana, ultima dimora della famiglia Durazzo, alla Villa Durazzo di Santa Margherita Ligure, proprietà comunale e di molti altri edifici appartenuti al Casato genovese.

Bibliografia: Luca Leoncini "Da Tintoretto a Rubens. Capolavori della Collezione Durazzo", catalogo della mostra, Skira Milano 2004; Angela Valenti Durazzo "I Durazzo da schiavi a dogi della Repubblica di Genova" Massetti Editore, Brescia 2004.

Palazzo Gio Francesco Balbi


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Il palazzo Gio Francesco Balbi, Dimora avita della famiglia Balbi, viene ampliata da Gio. Francesco, governatore della Repubblica di Genova, che trasforma il vecchio nucleo con l'annessione di alcuni immobili contigui.

Situato a sud del nuovo asse stradale, in una posizione d'angolo privilegiata, il palazzo si amplia nella prima metà del XVII secolo. L'iniziativa, presa dal figlio Stefano, consente di rettificare il fronte stradale dell'edificio, aprendo un "acrobatico" accorpamento (che anticipa il perimetro attuale) un imponente prospetto loggiato.

Presente ancora nel rollo del 1664 a nome Balbi, giunge per via ereditaria alla famiglia Cattaneo che, nel corso del XVIII secolo, commissiona all'architetto Gregorio Pettondi le decorazioni a stucco della facciata e degli interni.

Proprietà di una società assicurativa, nel corso della seconda guerra mondiale subisce il crollo delle coperture. La ricostruzione è opera dell'architetto Luigi Carlo Daneri che si attiene ai caratteri della composizione originaria, restituendo per analogia elementi strutturali e decorativi.

Palazzo Balbi-Senarega


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Il palazzo Balbi-Senarega è oggi sede dei dipartimenti delle facoltà umanistiche dell'università degli studi di Genova.

Primo edificio a Genova ideato per accogliere due appartamenti uguali e distinti, fondato dai fratelli Giacomo e Pantaleo Balbi: due uomini illustri le cui fortune si fondano principalmente sulle attività finanziarie.

La particolare architettura della dimora, concepita forse dall'architetto Bartolomeo Bianco, non si avvale del facile espediente di accostare specularmente due case (soluzione di età medievale ancora presente nel palazzo Cipriano Pallavicini di piazza Fossatello), ma sovrappone i due appartamenti in modo tale da poter sfruttare l'intera superficie del lotto, peraltro non molto vasto, ed evitare possibili gerarchie tra i proprietari. In comune risultano l'accesso, il piano del portico destinato parzialmente ad ospitare lo scagno e lo scalone.

La peculiare articolazione interna degli appartamenti modifica la disposizione dei mezzanini, che sono sovrapposti ai piani principali e vengono destinati fin dall'origine a essere affittati.

Ereditato da Francesco Maria Balbi, con vincolo di fedecommesso, l'edificio viene rinnovato nel proprio assetto tra il 1645 e il 1665, probabilmente ad opera dell'architetto Pietro Antonio Corradi con un intervento che modifica profondamente la composizione originaria.

L'ampliamento del giardino a valle viene considerato da molti il passaggio ad una più ampia spazialità "barocca" che si incarna in luminosi colonnati; mentre l'addizione delle stanze ai piani superiori trasforma la planimetria, facendole assumere quella caratteristica forma ad "U" che attualmente conserva.

Il palazzo, che contiene pure coerenti e celebri cicli di affreschi di Valerio Castello, Domenico Piola e Gregorio De Ferrari ed è arricchito da un ninfeo restituito agli splendori originari, accoglie alcuni istituti delle Facoltà umanistiche dell'ateneo genovese.

Palazzo Francesco Maria Balbi Piovera


Il palazzo Francesco Maria Balbi Piovera è oggi sede della Facoltà di Lettere dell'università degli studi di Genova.

Ultimo dei palazzi di via Balbi, viene eretto tra il 1657 e il 1665 su iniziativa di Francesco Maria Balbi, personaggio di punta della famiglia (dopo Stefano), impegnato in numerose attività finanziarie e politiche tra cui la nomina di feudatario del borgo alessandrino di Piovera; l'edificio è però più noto come residenza del nipote Costantino Balbi.

Oggetto di profonde alterazioni che iniziano nei primi decenni dell'Ottocento quando il nuovo proprietario, Marcello Durazzo (segretario dell'Accademia Ligustica) incarica l'architetto Nicolò Laverneda e i pittori Michele Canzio, Francesco Baratta e Giuseppe Gaggini di restaurare e decorare il palazzo.

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Trasformazioni più radicali avvengono per volontà di Edilio Raggio, armatore e industriale, che acquista la costruzione dai Gropallo nel 1870, sopprimendo ogni ricordo dello storico complesso dell'Ospedale e Abbazia di Sant'Antonio abate che si affacciava, a mezzogiorno dell'isolato, sulla via Pré.

L'architetto Luigi Rovelli, oltre a demolire nel 1881 la chiesa ricostruita dall'architetto Giovanni Battista Grigo nel 1650, svuota il palazzo di Costantino Balbi per innestarvi un imponente scalone sostenuto da archi rampanti e volte a crociera, integrato da patriottici affreschi umbertini, secondo uno stile neobarocchetto genovese che si manifesterà anche nei prospetti (1890-1891).

Palazzo Reale (Genova)


Il palazzo Reale o palazzo Stefano Balbi è uno dei maggiori edifici storici di Genova. È un polo museale costituito dalla dimora storica, dall'annesso giardino e dalla pinacoteca, la Galleria di Palazzo Reale che costituisce una delle principali quadrerie cittadine.

Situato in via Balbi 10, a poca distanza dalla sede universitaria e dalla stazione ferroviaria di Genova Piazza Principe, fa parte di un importante complesso architettonico sei-settecentesco del quale sono conservati intatti gli interni di rappresentanza, dagli affreschi agli stucchi, dai quadri agli arredi.

La costruzione del palazzo cominciò fra il 1618 e il 1620 ad opera di Stefano Balbi e Gio Francesco Balbi II, la cui potente famiglia - quella dei Balbi - era già coinvolta nel processo di pianificazione e costruzione di altri edifici della via che avrebbe portato lo loro nome.

Tra il 1643 e il 1655 incominciò la seconda fase della costruzione ad opera degli architetti Pier Francesco Cantone e Michele Moncino, con un corpo centrale quadrato e due ali laterali che si prolungavano verso il mare.

Nel 1645 Francesco Maria Balbi assunse l'incarico del progetto, fece costruire il giardino, rinnovò il piano inferiore e commissionò gli affreschi per decorare le stanze e con il cugino Giovan Battista Balbi ne finirono la costruzione.

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Nel 1677 la famiglia Balbi vendette il palazzo alla famiglia Durazzo che lo ampliò con l'incorporazione di un vicino fabbricato (1685) e sopraelevato (1694) e nel 1705 la costruzione fu completamente trasformata da Carlo Fontana, l'architetto ticinese che ne modificò il portale, l'atrio e gli scaloni, aggiunse il cortile e il giardino pensile affacciato su via Prè e il bacino del Porto Vecchio, creando un insieme di grande valore scenografico. E sempre in quegli anni venne incorporato anche il Teatro del Falcone, attivo già da diversi anni.

Nel 1823 gli eredi lo vendettero al re di Savoia che lo adibì a residenza ufficiale e nel 1842 la famiglia reale incaricò lo scenografo genovese Michele Canzio di trasformare alcuni ambienti, come le sale del Trono e delle Udienze e il Salone da Ballo, per adattarle alle nuove necessità di rappresentanza.

Nel 1919 divenne demanio dello Stato.

Il palazzo, nella parte a mare, aveva un'appendice, che i genovesi chiamavano Ponte Reale, che scavalcando la strada carrabile (oggi Via Gramsci) collegava direttamente il palazzo con l'imbarcadero del porto. Questa parte di edificio è stata abbattuta nel 1964 in occasione della costruzione della Strada Sopraelevata


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Il Palazzo Reale conserva i mobili originali di tutta la sua lunga storia ed include mobili genovesi, piemontesi e francesi della metà del XVII secolo fino all'inizio del XX secolo.
Tra gli affreschi più importanti sono da notare La Fama dei Balbi di Valerio Castello e Andrea Sighizzi, La Primavera che spinge lontano l'Inverno di Angelo Michele Colonna e Agostino Mitelli e Giove che Manda Giustizia sulla Terra di Giovanni Battista Carlone.

Con oltre duecento dipinti esposti nei due piani nobili si trovano opere dei migliori artisti genovesi del Seicento come Bernardo Strozzi, il Grechetto, Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccio, Domenico Fiasella insieme a capolavori dei Bassano, Tintoretto, Luca Giordano, Antoon Van Dyck, Ferdinand Voet e Guercino.

Inoltre si può ammirare una collezione di sculture antiche e moderne: tra queste ultime spiccano opere di Filippo Parodi, uno dei massimi esponenti della scultura barocca genovese.

Palazzo Cosma Centurione


Di antica proprietà della famiglia di Cosma Centurione, il palazzo è giunto per via ereditaria al senatore Ansaldo Imperiale Lercari, che contribuisce a conferirgli quell'imponenza che ancora oggi conserva. Sorta lungo un asse viario di persistente importanza cittadina, la dimora risente positivamente della costruzione dell'attigua chiesa e dell'oratorio di San Filippo Neri avvenuta tra il 1674 e il 1755.

Giunto alla famiglia Pallavicini, che ne fa la propria residenza stabile, il palazzo subisce, tra il 1718 e il 1724, il primo completo rinnovamento ad opera dell'architetto Giacomo Viano. Questi interviene sull'originario impianto cinquecentesco, traducendo in un linguaggio spaziale sostanzialmente diverso l'atrio e lo scalone monumentale, nonostante vengano adottate in prevalenza le colonne e i marmi appartenenti alla scala precedente.

A Viano si attribuiscono i prospetti principali verso San Filippo e via Lomellini, scanditi da cornici marcapiano, lesene, timpani e motivi floreali, e la creazione di una galleria, affrescata da Domenico Parodi, Sbarco di Cristoforo Colombo, e decorata da Mutoni: testimonianze architettonica e decorativa di gusto arcadico.

Tra il 1756 e il 1763 il palazzo viene definitivamente ampliato, occupando l'isolato sul retro, e arricchito da un giardino pensile "per dare luce alla fabbrica aggiunta". Autori di questo delicato intervento di ricucitura urbana e architettonica, sostanzialmente finalizzata ad accogliere i diversi appartamenti dei due proprietari, i fratelli Giuseppe e Domenico Pallavicini, sono i capi d'opera Bartolomeo e Giovanni Orsolino.

Palazzo Giorgio Centurione


Nel 1599 è proprietà di Giorgio Centurione mentre la famiglia Doria lo acquisirà nel XVIII secolo.

Parzialmente ricostruito nel XIX secolo (atrio e vano scala) risulta attualmente unito ad altri due edifici retrostanti mediante un ponte che sovrappassa il vico chiuso del Leone e permette l'affaccio su vico dell'Oro.

La facciata presenta una decorazione dipinta con cornici che inquadrano le finestre, timpani semicircolari, architravi con finto mezzanino e specchiature sottofinestra. Portale dorico di marmo con lesene che sorreggono un timpano spezzato semicircolare che ospita una Madonna in trono con Bambino (Regina della città).

Si notano tracce di arme nobiliare abrasa in corrispondenza della chiave dell'arco.

Palazzo Gio Battista Centurione


Battista Centurione inizia i lavori nel 1611 sull'area di case di Adamo Centurione, banchiere armatore e suocero del celebre ammiraglio di Oneglia Andrea Doria.

La progettazione, nonostante una prima attribuzione a Gaspare della Corte, si deve all'architetto Battista Cantone e poi al figlio Filippo Cantone, che realizzano la nuova opera rettificando a spese del suolo pubblico i lotti precedenti.

Iscritto nei rolli di Genova del 1664, rimane alla famiglia Centurione fino al XVIII secolo. Nel 1798 risulta intestato ai Saluzzo-Brignole e nel 1874 verrà acquistato dai Cambiaso che lo tengono ancor oggi.

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Conserva la facciata del XVII secolo pubblicata nella edizione rubensiana. Sul portale è presente un cartiglio con l'iscrizione "SIC NOS NON NOBIS". Originale anche lo scalone voltato, con intonaco "infrascato" alle pareti, che prosegue fino al terzo piano dove la visita è interdetta da un cancello in ferro che separa i piani superiori.

I saloni dei piani nobili conservano ancora affreschi di Domenico Piola, Bacco e Arianna, Giovanni De Ferrari, Trionfo di un guerriero, e di Bartolomeo Guidobono, Carro di Giunone, Metamorfosi, Venere e Adone.

Palazzo Cipriano Pallavicini


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L'edificio viene costruito sul finire del XV secolo come una grande casa a due abitazioni affiancate, di tradizione medievale. Nel 1540 Cipriano Pallavicini, eletto nel 1567 arcivescovo di Genova, affida a un autore tuttora anonimo il disegno di una nuova facciata simile alle case romane ideate da Bramante, con particolare attenzione per lo zoccolo basamentale.

Nel 1584, dopo un breve periodo a nome dei Brignole, il palazzo passa a Francesco Pallavicini che è titolare della prima iscrizione ai rolli nel 1599 così come lo sarà nel rollo successivo del 1614.

Nel XVIII secolo l'edificio passerà ai Grillo, ai Saporiti e, infine, nel 1840 a Federico Rayper, che con robusti investimenti svuota quasi tutto l'involucro per sopraelevarlo e ottenere una redditizia casa ad appartamenti, con una decorazione di moda neoclassica.

Del primo impianto abitativo rimangono il grande portale dei Carlone, conservato da oltre un secolo al Victoria and Albert Museum di Londra e le incisioni rubensiane.

Palazzo Nicolò Spinola


Nato sulle preesistenze medievali delle famiglie Centurione e dei Gentile, il palazzo è frutto di più interventi avvenuti tra la seconda metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento per volere di Nicolò Spinola e dei suoi successori. Nel 1588 la dimora è posta nei rolli di Genova a nome di Gio Battista Spinola, ambasciatore per la Repubblica di Genova in Spagna e attivo promotore del rinnovamento di piazza Banchi.

L'edificio si distingue per la sua scenografica facciata, legata al nome di Ottavio Semino (1560) e di Gio Andrea Ansaldo (circa 1610), i cui affreschi dedicati a Storie epiche e allegorie dovevano esaltare la modesta qualità spaziale della stretta via. Il palazzo, infatti, ha scarsa profondità e deve fare per questo i conti con un'anomala distribuzione in lunghezza dove ogni ambiente diviene passaggio obbligato per accedere a quello successivo.

Nonostante ciò la dimora non rinuncia alla continuità spaziale del sistema atrio-scala che si sviluppa fino al secondo piano, con tutto il repertorio di camere, recamere, sale e salotti, tipico della nuova cultura abitativa. Il portale realizzato da Valsoldo, con erme e volute, riprende i modi che il Bergamasco aveva introdotto nel portale di palazzo Tommaso Spinola in salita Santa Caterina al civico 3.

Nell'Ottocento la dimora appartiene al senatore Agostino Maglione, membro dell'attiva borghesia illuminista, alla cui discendenza si devono gli interventi di ristrutturazione e la divisione in appartamenti che hanno alterato le vesti cinquecentesche e la logica distributiva verticale originaria.

Unito nel dopoguerra a un retrostante edificio affacciato su piazza Pinelli, è passato poi di proprietà al Pio Lascito Picasso.

Palazzo Spinola di Pellicceria o palazzo Francesco Grimaldi


Realizzato per volontà di Francesco Grimaldi nel 1593, viene subito inserito nei rolli e citato nella edizione rubensiana. Si affaccia sulla piazza di Pellicceria, pur conservando l'antico accesso sulla piazza inferiore di Pellicceria.

Il palazzo ospita la famiglia Grimaldi fino al 1641, anno in cui viene ceduto ad Ansaldo Pallavicini (rollo del 1664) per sanare un debito.

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Unica compravendita nella storia del manufatto, caratterizzata da passaggi ereditari ininterrotti, dai Pallavicini ai Doria e infine agli Spinola agli inizi del XVIII secolo. In tale occasione il palazzo viene sottoposto ad una ristrutturazione che riguarda prevalentemente il loggiato al centro dell'edificio e, in prospetto, le quadrature dipinte sostituite con stucchi rococò.

L'edificio possiede i caratteri propri dei palazzi genovesi tardo cinquecenteschi, riconoscibili nel sistema atrio-scala, nel cortile interno e nel loggiato.

E' un palazzo dalla doppia identità di dimora storica e di museo: perfettamente conservato con il suo insieme di arredi, affreschi, argenti, porcellane, fu donato allo Stato italiano nel 1958 dagli ultimi eredi della casata, i fratelli Paolo e Franco Spinola, diventando nel 1959 la Galleria Nazionale di palazzo Spinola. Il palazzo è stato donato allo Stato alla condizione che mantenesse l'aspetto di residenza nobiliare, con il patrimonio di opere d'arte accumulate di generazione in generazione e infatti Palazzo Spinola con tutto ciò che contiene è il risultato di un accrescersi ininterrotto di capolavori nei secoli, a partire dai Grimaldi per arrivare ai Pallavicino, ai Doria, agli Spinola di San Luca e a quelli di Luccoli, con eredità provenienti anche dai Balbi, dai Fieschi e dai Durazzo. Nove grandi famiglie genovesi hanno contribuito a creare una residenza dove alla maestosità dell'impianto architettonico si affiancano lo splendore e la sontuosità degli interni.

A volere questo palazzo nel cuore di Genova, in una zona allora sede di botteghe di pellicciai, era stato Francesco Grimaldi nel 1593. Sua è l'articolazione tardocinquecentesca degli spazi, con i due accessi dalla facciata a monte e da quella a mare, l'atrio dalle forme classiche, lo scalone d'onore, i due piani nobili (una rarità nel resto d'Italia ma non a Genova, dove l'architettura, costretta a privilegiare la verticalità, ha portato all'uso della compresenza di più figli nello stesso palazzo) e i due piani superiori destinati alle camere di uso privato e alla servitù, dove ora è sistemata la Galleria Nazionale della Liguria. L'originario loggiato aperto, documentato da Rubens nel suo volume sui palazzi genovesi del 1622, venne chiuso a metà del XVII secolo e dalla soprastante terrazza nel 1734 fu costruita la galleria degli Specchi, stupefacente capolavoro in purissimo stile rococò.
La visita inizia al piano terreno con la sala dedicata a Paolo e Franco Spinola e all'albero genealogico della casata, proprietaria anche della villa di San Michele di Pagana lasciata in eredità all'Ordine dei Cavalieri di Malta. Si sale quindi al primo piano nobile dove l'assetto decorativo realizzato da Lazzaro Tavarone al tempo dei Grimaldi è stato recuperato all'originario splendore dai restauri del 1992. Le volte affrescate dei soffitti esaltano le imprese della famiglia, dai trionfi di Ranieri Grimaldi agli inizi del XlV secolo alla conquista spagnola di Lisbona del 1580, mentre un gioco illusionistico di inquadrature architettoniche, busti, portali e marmi policromi fa da cornice ai dipinti del secondo proprietario del palazzo, Ansaldo Pallavicino, figlio del doge Agostino e appassionato collezionista d'arte. Qui, tra i cassettoni "a bambocci", gli stipi, le poltrone a rocchetto tipici del Seicento genovese, sono esposte le opere che Ansaldo eredita dal padre o acquista, di Domenico Fiasella, del Grechetto e di Van Dyck, da cui il doge si era fatto ritrarre più volte.

Se il primo piano è chiaramente seicentesco, il secondo è caratterizzato dal gusto aggiornato con i tempi nuovi di Maddalena Doria, moglie di Nicolo Spinola di San Luca, che eredita il palazzo nel 1734. Sarà lei, in un turbinio di lavori con pittori, stuccatori e frescanti, a trasformare questi spazi in una serie di sfarzosi ambienti settecenteschi che culmineranno nella spettacolare galleria degli Specchi, affidando a Giovan Battista Natali, Lorenzo De Ferrari e Sebastiano Galeotti la realizzazione di un nuovo tessuto decorativo a volute, colonne, vasi di fiori e dorature, con affreschi di carattere mitologico e opere di alcuni dei più quotati pittori del tempo.

Il vincolo alla conservazione voluto da Paolo e Franco Spinola non comprendeva gli ultimi due piani del palazzo, danneggiati durante la Seconda guerra mondiale: un moderno allestimento realizzato nel 1992 li ha resi lo spazio ideale per esporre nuove, importanti acquisizioni dello Stato - una cinquantina tra dipinti e sculture - destinate a documentare il patrimonio artistico della regione e a costituire la Galleria Nazionale della Liguria che arricchisce la Galleria di Palazzo Spinola. Due musei, quindi, nella stessa storica dimora, visitabili in un unico percorso. Il sacrificio di Isacco di Orazio Gentileschi arrivato da palazzo Cattaneo Adorno, il Ritratto di Stefano Raggio di Joos van Cleve o quello di Gio Carlo Doria a cavallo di Rubens si trovano così a dialogare con il commovente Ecce Homo di Antonello da Messina o la cornice di Filippo Parodi con il mito di Paride e il Ritratto di Maria Mancini, opere già appartenenti agli Spinola ma qui collocate per motivi di conservazione. Al quarto piano ci sono invece collezioni di porcellane del '600 e 700 che raccontano le raffinate abitudini delle grandi famiglie genovesi e il diffondersi del salottiero rito del caffè e della cioccolata. In una sezione a parte, una preziosa raccolta di antichi tessuti. A concludere la visita è un altro angolo di bellezza, un piccolo terrazzo sui tetti da cui si gode il panorama della città e in lontananza si sente il pulsare della vita intorno all'antica dimora degli Spinola.

Palazzo Gio Battista Grimaldi (vico San Luca)


Il palazzo fu fatto costruire da Gio Batta Grimaldi nel 1610, sulla preesistenza di quattro unità abitative a schiera impostate sopra un portico continuo denominato nel XIII secolo "volte dei Grimaldi". Per favorire la realizzazione del nuovo manufatto, si rende necessario lo sfondamento del vico San Luca.

Presente in tutti i rolli di Genova, l'edificio, compreso nella edizione rubensiana conserva la sua connotazione di palazzo nobiliare moderno, leggibile soprattutto attraverso il sistema atrio-scala, le soluzioni distributive e il prospetto, rimasti invariati fino ad oggi.

Negli ultimi secoli, dopo il doge della Repubblica di Genova Pier Francesco Grimaldi (1773-1775), è stato anche di proprietà delle famiglie Pratolongo, Brignole e Cattaneo di Belforte.

Il buono stato di manutenzione interessa non solo le parti comuni, ma anche gli ambienti privati nei quali sono talora presenti affreschi di pregio, in parte attribuiti a Lorenzo De Ferrari.

Palazzo Gio Battista Grimaldi (piazza San Luca)


La sua storia è legata alla piazza su cui si affaccia, piazza San Luca, dov'è la chiesa gentilizia degli Spinola e dei Grimaldi dal 1188. Nel 1332 si ricostruisce la piazza dopo oltre mezzo secolo di lotte tra le due famiglie e, un secolo dopo, la Gabella Processionum del 1414 associa l'isolato in questione ad uno Spinola.

Quando nel Cinquecento il palazzo assume il carattere attuale con la chiusura dei portici medievali che coronano la piazza, è Gio Batta Grimaldi, già senatore della Repubblica di Genova, il primo ad apparire nei rolli genovesi; ma la successione Spinola-Grimaldi continua ancora nel 1614 quando è uno Spinola ad essere associato al palazzo.

Il prospetto principale sulla piazza, abbellito da poggioli a mensola e da mascheroni oltre che dal sobrio portale seicentesco con l'iscrizione "PARVO BENE", nasconde parzialmente al secondo piano tre colonnine corinzie murate. All'interno, l'atrio e la scala loggiata, che sale parallela alla facciata principale fino al terzo piano, concludono l'immagine del palazzo nobiliare cinquecentesco ricavato su volumi medievali, di cui rimane traccia sul retro dove un portale in pietra nera del XVI secolo, segno di un accesso anteriore alla costruzione del palazzo e oggi inutilizzato, si affaccia sull'angusto vicolo.

Palazzo Stefano De Mari


Il palazzo è attestato in posizione baricentrica tra la sede dell'albergo Spinola e quello dei De Mari di Banchi; costruito nel XVI secolo su preesistenze medievali degli Spinola, è inserito nei rolli dal 1588, associato alla famiglia De Mari.

Stefano De Mari, il nome più frequentemente imbussolato, fu un nobile spesso in corsa per il dogato, conferitogli poi nel 1663; egli appartiene a una famiglia legata alla Spagna e a Napoli attraverso affari e commerci.

I legami con la città partenopea sono palesati dal titolo di principe Acquaviva di Napoli che spetta a Carlo, nipote di Stefano e anche al proprietario del palazzo nel 1798, così come si evince dall'estimo.

Il monumentale portale tardo cinquecentesco conduce a un atrio ristrutturato nel XIX secolo in cui vi è una targa che ricorda un episodio della Resistenza. Gli angusti affacci dei prospetti, affrescati a quadrature, sono compensati dalla luminosità del cortile interno su cui si snoda lo scalone loggiato, in parte tamponato. In un numero interno si segnala un affresco con Tobiolo e l'angelo' attribuito a Giovanni Battista Carlone.

Palazzo Ambrogio Di Negro


Eretto tra il 1569 e il 1572 da Ambrogio Di Negro, quest'ultimo eletto doge della Repubblica di Genova nel biennio 1585-1587, è incluso nell'edizione rubensiana. Presente in tutti i rolli, raggiunge il massimo splendore all'inizio del Seicento quando subentra Orazio, figlio ed erede di Ambrogio.

Posto accanto alla Loggia dei Mercanti, mostra due facciate principali a quadratura affrescata: su piazza Banchi, riordinata in quegli anni (tra il 1590 e il 1596), e sul carrubeous rectus (l'odierna via San Luca) dov'è l'entrata. Lo scalone voltato, che sale sino al secondo piano, si affaccia con un loggiato su tre lati del cortile interno; rilevanti i portali in marmo bianco e quelli in pietra nera del grande salone del primo piano nobile - impreziosito da un affresco raffigurante il Ratto di Elena - con sentenze latine che ricordano l'umanesimo di Ambrogio Di Negro.

Il palazzo è rimasto della famiglia Di Negro per oltre duecento anni come sede di importanti attività commerciali.


Palazzo Emanuele Filiberto Di Negro


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Costruito nel XVII secolo da Emanuele Filiberto Di Negro con la demolizione delle case medievali dei "De Nigro", che qui possiedono una torre, il palazzo compare per la prima volta nei rolli del 1614 a nome di Pietro Maria Gentile. Un altro Pietro Gentile, dopo duecento anni, diviene proprietario del palazzo che, più volte citato nelle guide per la preziosa quadreria con dipinti di Guido Reni, Tiziano Vecellio e Pieter Paul Rubens, viene definito da Ratti "di mole e altezza non ordinaria e di struttura assai nobile tanto nell'esteriore facciate quanto nel suo interno".

Le facciate, riccamente decorate con stucchi, si ammirano agevolmente, caso raro a Genova, da ampie prospettive, alla grandiosità esterna rispondono atrio e ninfeo del cortile loggiato e scalone a stucchi.

Nell'ottocento, la realizzazione della "carrettiera Carlo Alberto di Savoia" (oggi via Antonio Gramsci) che altrove ha rimosso le casupole addossate alla Ripa, ha lasciato intatto il prospetto del palazzo, divenuto ormai "Hotel Feder", scelto dallo storico tedesco Theodor Mommsen e dallo scrittore statunitense Herman Melville nei loro soggiorni in città.

Recentemente restaurato, è oggi destinato ad appartamenti e, solo in parte, a sede di attività commerciali.

Palazzo De Marini-Croce


Realizzato nella seconda metà del XVI secolo dalla famiglia De Marini sulla piazza aperta nella prima metà del secolo, il palazzo viene edificato su resti medievali appartenenti allo stesso "albergo" nobiliare. Attorno al cortile interno, un tempo comunicante con la piazza mediante un vicolo cieco sormontato da un archivolto ancora oggi visibile, si snoda lo scalone monumentale a tre ordini di logge.


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Il portale marmoreo con allegorie della pace è opera di Gian Giacomo della Porta. All'interno vi sono affreschi di Jacopo Antonio Boni e Giovanni Agostino Ratti.

L'aspetto odierno è frutto di una radicale ristrutturazione attuata nel XVIII secolo quando sono proprietari la famiglia Negrone; anche gran parte del basamento, apparentemente medievale, viene trasformato in questo periodo. Ceduto nel 1830 ad Andrea Croce, subisce la chiusura della loggia sul cortile, riaperta solamente nel dopoguerra.


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Fonte: [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] | Wikipedia | Miste
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Le Strade Nuove e il sistema dei Palazzi dei Rolli - 3° Parte
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