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 Gli antichi egizi

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Tigre
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MessaggioTitolo: Gli antichi egizi   Gli antichi egizi EmptyMer Dic 19, 2012 11:57 am


Gli antichi egizi

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Penso ci siano poche persone che non siano rimaste affascinate dalla storia egiziana. Basta pensare alla maledizione di Tutankamon, alla precisione con cui sono state costruite le piramidi, al culto dei defunti, al mistero dei geroglifici, alle svariate divinità, per far crescere curiosità in ognuno di noi.
Per questo abbiamo pensato dei postare un articolone tutto sugli egizi, formato da molte voci dove, leggendo, possiamo lasciarti trasportare nell'epoca faraonica.


by Tigre





Ultima modifica di Tigre il Mer Dic 19, 2012 12:22 pm - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Gli Egizi - Storia e origini   Gli antichi egizi EmptyMer Dic 19, 2012 11:59 am


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Con il termine Antico Egitto si intende la civiltà sviluppatasi in quella sottile striscia di terra fertile che avvolge il Nilo a partire dalle cateratte al confine col Sudan fino allo sbocco nel Mediterraneo con l'ampio delta in tempi incalcolabilmente lontani, riconosciuta come stato a partire dal 3300 a.C. fino al 343 a.C., quando perse la sua indipendenza.


Gli Egizi - Storia e origini


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Periodo preistorico, Predinastico e Protodinastico


Generalmente si tende a far coincidere l’inizio della storia della civiltà egizia con l’inizio dell’Epoca dinastica, sviluppatasi a partire dal 3100 a.C. In realtà le basi della cultura, dell’organizzazione sociale e del pensiero di tale civiltà erano già state poste nei secoli precedenti, anche se è difficile stabilire una datazione precisa all’interno del Periodo Preistorico.
I primi insediamenti si svilupparono intorno al 6500 a.C. nelle vicinanze del fiume Nilo e più precisamente nella zona del Fayum, territorio abitato fin dal Paleolitico inferiore da popolazioni semi nomadi che vivevano coltivando il terreno reso fertile dalle inondazioni del fiume.
La sopravvivenza delle prime popolazioni dipendeva direttamente dal comportamento del fiume e dal preziosissimo limo, cosparso sul territorio, che favoriva la coltivazione dei terreni. Tale cultura neolitica di agricoltori, ben presto, originò una civiltà, con un carattere stanziale, destinata a divenire complessa, duratura e grandiosa. Al periodo preistorico succedette il Periodo Predinastico, collocabile tra il 4500 e il 3000 a.C. che vide l’unificazione delle popolazioni sparse sul territorio della Valle del Nilo in uno stato unitario.
Tale unificazione, che sta alla base della definitiva struttura del potere faraonico, fu probabilmente determinata dalla necessità di opere collettive che regolassero il corso del fiume attraverso la costruzione di dighe e canali di irrigazione. Ciò spinse dunque le tribù sparse nel territorio ad unirsi e collaborare.
Nel corso del IV secolo a.C. si costituirono due grandi unità politiche ben distinte: il Basso Egitto, ovvero la zona del delta del Nilo che dal mare si estende fino a Giza, e l’Alto Egitto, la zona meridionale che da Giza arriva fino ad Aswan.
Tali indicazioni, dal punto di vista geografico, rimasero anche successivamente all’unificazione del regno. I simboli che contraddistinguevano questi due regni erano per il Basso Egitto, la Corona Rossa, la pianta di Papiro e la dea cobra Udjet, mentre per l’Alto Egitto, la Corona Bianca, il Fiore di Loto e la dea avvoltoio Nekhbet.

L’unificazione dei due regni avvenne intorno al 3100 a.C., con la conquista della parte settentrionale dell’Egitto ad opera del sovrano dell’Alto Egitto Narmer, meglio conosciuto col nome di Menes, il quale fondò la città di Thinis (Tanis) dalla quale presero il nome le prime due delle numerose dinastie che governarono l’Egitto.
Nel periodo Protodinastico (3007-2682 a.C.), sotto il Regno Thinita, nacque la scrittura, detta geroglifico, e si delineò l’Olimpo delle numerose divinità al culto delle quali era dedito il popolo egiziano, con a capo il dio del sole, rappresentato con le sembianze di un falcone.
La storia dell’Egitto si sviluppò dunque nel III e II millennio a.C. e solitamente viene suddivisa nei tre Periodi Principali in cui si susseguirono oltre 20 dinastie di sovrani: l’Antico Regno, il Medio Regno e il Nuovo Regno. Tali regni furono in ogni modo intervallati da "Periodi Intermedi" in cui ciclicamente si venne a manifestare un indebolimento del potere centrale dello stato.



Antico Regno


L’Antico Regno (2649-2152 a. C.) vide il susseguirsi dei sovrani dalla III alla VI dinastia, la cultura superiore del Basso Egitto prevalse e la capitale fu spostata a Menfi.
Si giunse così all’unificazione dei due regni sotto la mitica figura del Faraone che identificava totalmente lo stato, guidando l’amministrazione politica con poteri assoluti, oltre ad incarnare la massima autorità religiosa.
L’Antico Regno, identificabile come uno dei periodi più gloriosi della civiltà egizia, fu l’epoca in cui vennero costruite le prime grandi opere monumentali come le piramidi e le costruzioni funerarie di Saqqara; inoltre l’espansione dello stato si estese in territori come la Libia, la Nubia, paese ricco di giacimenti minerari tra cui l’oro, e la regione del Sinai.
I faraoni più celebri furono Snefru, Cheope, Chefren e Micerino, appartenenti alla IV dinasta, in relazione ai quali si ricordano le omonime piramidi presso Giza, insieme alla conosciutissima Sfinge.

Fu in questo periodo che si raggiunsero livelli altissimi nell’ambito artistico, culturale e scientifico, grazie alle solide basi di una società fiorente e stabile politicamente.
Intorno al 2140 però, al termine della VI dinastia il potere dello stato andò incontro ad un lento decadimento ed alla graduale disgregazione della struttura politica del paese, attraverso il decentramento del potere ai funzionari locali.
Questo periodo identificato come Primo Periodo Intermedio vide il dominio di quattro diverse dinastie che regnarono contemporaneamente su territori separati del paese. La VII e l’VIII dinastia regnarono a Menfi e la IX e la X ad Eracleopoli.



Medio regno


Fu un periodo caratterizzato dal disordine e da una grave crisi economica che si protrasse fino a quando Montuhotep, signore di Tebe, dando inizio all’XI dinastia, riportò lo Stato all’unificazione dando vita al Medio Regno.
Intorno al 2050 a.C. l’Egitto fu dunque riportato sotto uno stesso governo centrale, e la sua capitale trasferita da Menfi a Tebe. Sotto la guida del sovrano Sesostris III fu ripreso possesso dei territori precedentemente perduti come la Nubia e furono conquistate nuove terre come la Palestina e la Fenicia.
Intorno al 1785 a.C., sotto la XIII dinastia, il potere centrale fu nuovamente attaccato anche dalla popolazione degli Hyksos, letteralmente i "sovrani dei paesi stranieri", un gruppo di popolazioni asiatiche provenienti dalla Siria o dall’Anatolia che, superiori militarmente, invasero la zona del Delta portando la capitale ad Avari e regnarono per circa 150 anni.
Questo popolo introdusse presso gli egizi l’uso della biga trainata da due cavalli e lo scarabeo come simbolo di buona fortuna.
Questa nuova fase detta Secondo Periodo intermedio vide infatti il regno di cinque diverse dinastie che governarono contemporaneamente su differenti territori.



Nuovo regno


Fu il Faraone Amasi I della XVIII dinastia a riunificare il paese, intorno al 1550 a.C. circa, dando vita al periodo più celebre della storia dell’Egitto: il Nuovo Regno, che si concluse intorno al 1070 a.C.
Si delinea così il periodo dei grandi faraoni e di un impero stabile sia economicamente che geograficamente e che si estendeva dalla Mesopotamia alla Nubia. La capitale fu collocata a Tebe, dove trovarono sede sia il potere politico che religioso dell’impero.
In questo arco di tempo la struttura dello stato, incentrato sul potere del faraone affiancato dalla casta sacerdotale, raggiunse la sua massima organizzazione.
A tale proposito si ricorda la autoelezione della prima donna che divenne faraone: Hatshepsut, la quale, alla morte del marito, non avendo avuto figli maschi assunse la reggenza del regno, governando per circa vent’anni e dando all’Egitto un lungo periodo di pace.

Seguì dunque l’età Amarniana caratterizzata dalla presenza di una figura mistica ed affascinante, Amenhotep IV, il quale, unitosi alla consorte Nefertiti, regnò sull’Egitto attuando un’importante riforma religiosa a favore del Dio Aton, a scapito del dio Amon e del suo potente clero.
Tale forma monoteista incentrata sul dio Aton, il disco solare, già adorato in tutto il regno, rivoluzionava 2000 anni di religione egiziana. Il faraone, che cambiò il suo nome in Akhenaton (Colui che giova ad Aton), fondò la città di Akhetaton, trasferendovi la capitale.
Dopo di lui si susseguirono i più celebri faraoni che la storia ricordi quali Tutankhamon e Ramsete II. Tutankhamon, il giovane faraone celebre per la morte prematura e per il ritrovamento della sua tomba intatta e ricca di tesori, ristabilì il culto del dio Amon, e tutta la tradizione religiosa precedente riportando la capitale a Tebe.

Ramsete II, durante il suo lungo regno durato 67 anni, conferì all’Egitto un periodo di prosperità e splendore: a lui e alla consorte Nefertari si deve la costruzione dell’imponente complesso di Abu Simbel.
Egli dovette combattere contro la popolazione degli Ittiti che minacciavano l’unità del paese, e che furono affrontati nella celebre battaglia di Qadesh (1270 a.C. ca.), cittadina siriaca, importante dal punto di vista strategico. Nella battaglia, il cui esito rimane ancora incerto, vennero riportate gravissime perdite da entrambi gli schieramenti. L’evento costituisce uno dei resoconti militari più dettagliati di tutta la storia antica, poiché il faraone lo fece incidere su tutti i suoi templi.
Poco dopo altri popoli iniziarono a minare la stabilità dei confini dell’impero egizio, la cui potenza andava sempre più ad esaurirsi.In seguito a tale periodo dunque l’Egitto andò incontro ad una lunga decadenza ed al susseguirsi di dominazioni straniere: dai Persiani (525 a.C.) ai Greci guidati da Alessandro Magno (332 a.C.) ai Romani (30 a.C.) agli arabi (640 d.C.), fino ad arrivare in epoca moderna alla dominazione francese (1799 ca.) ed infine all’odierna Repubblica.





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Ultima modifica di Leo il Mar Feb 05, 2013 8:58 pm - modificato 5 volte.
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MessaggioTitolo: Dinastie e Faraoni   Gli antichi egizi EmptyVen Dic 21, 2012 7:43 am

[Devi essere iscritto e connesso per vedere questa immagine] DINASTIE E FARAONI

Primitivo Periodo dinastico: 3.150-2.686 aC
Periodo di formazione durante il quale compare la maggior parte degli elementi caratteristici della civiltà faraonica.

Dinastia 0 3.150 aC - 3.050 aC

Faraone Traduzione Periodo
Scorpion Scorpione 3.150 aC - 3.050 aC
Narmer Il magnifico pesce gatto 3.150 aC - 3.050 aC


I Dinastia 3.050-2.890 aC

FaraoneTraduzione Periodo
Aha Il falco da caccia 3.050 aC - 2.890 aC
Tintore Horus che assiste3.050 aC - 2.890 aC
Uadyi Horus Cobra 3.050 aC - 2.890 aC
Den Horus l'attaccante 3.050 aC - 2.890 aC
Andyib Il suo cuore è salvato 3.050 aC - 2.890 aC
Samerjet L'amico attento 3.050 aC - 2.890 aC
Qaa Il suo braccio è sollevato 3.050 aC - 2.890 aC


II Dinastia 2.890-2.686 aC

Faraone Traduzione Periodo
Hotepsejemuy Potere di Nizza 2.890 aC - 2.686 aC
Raneb Re onorevole 2.890 aC - 2.686 aC
Diciannove Divino 2.890 aC - 2.686 aC
Sejemib (Set-Peribsen) Mighty Heart 2.890 aC - 2.686 aC
Khasekhemuwy I due appaiono potenti 2.890 aC - 2.686 aC


Antico Regno 2.686-2.181 aC
Ascesa di Menfi a capitale dell'Egitto e accrescimento del potere assoluto dei faraoni che fanno erigere piramidi come monumenti funerari.

III Dinastia 2.686-2.613 aC

Faraone Traduzione Periodo
Sanajt Protezione forte 2.686 - 2.668
Netyri-je (Dyoser) Corpo Divino 2.668 - 2.649
Sekhem-Khet corpo potente 2.649 - 2.643
Jaba L'anima appare 2.643 - 2.637
Huni L'attentatore 2.637 - 2.613


IV dinastia 2.613-2.498 aC

Faraone Traduzione Periodo
Snofru Di bellezza 2.613 - 2.589
Khufu (Cheope) Che Dio mi proteggerà 2.589 - 2.566
Radjedef Forte come Re 2.566 - 2.558
Jafre "Chefren" Che si pone come Re 2.558 - 2.532
Menkaure "Menkaure" Eterno come l'anima del Re 2.532 - 2.504
Shepseskaf La sua anima è nobile 2.504 - 2.500


V dinastia 2.498-2.345 aC

Faraone Traduzione Periodo
Userkaf La sua anima è potente 2.498 - 2.491
Sahure Che è vicino a Re 2.491 - 2.477
Neferirkara Bella è l'anima del Re 2.477 - 2.467
Shepseskara Nobile è l'anima del Re 2.467 - 2.460
Neferefre Bello è Re 2.460 - 2.453
Niuserra Di proprietà della potenza del Re 2.453 - 2.422
Menkauhor Eternal sono le anime dei Re 2.422 - 2.414
Dyedkare Re spirito aleggia 2.414 - 2.375
Onos Onos 2.375 - 2.345


VI dinastia 2.345-2.181 aC

Faraone Traduzione Periodo
Teti Teti 2345-2333
Merira (Fiope I) Amato di Re 2.332-2.283
Merenra Amato di Re 2.283-2.278
Neferkare (Fiope II) Bella è l'anima del Re 2.278-2.184


Primo Periodo Intermedio 2.181-2.040 aC
Il governo unificato genera rivalità tra principi locali e guerre civili. Il potere regale declina.

VII-X dinastie 2.181-2.040 aC

Faraone Traduzione Periodo
Uadykare Prospero è l'anima del Re 2.181-2.161
Qakare Forte è l'anima del Re 2.181-2.161
Meryibre Amato è il cuore del Re 2.160-2.040
Merikare Amada è l'anima del Re 2.160-2.040
Kaneferre Bella è l'anima del Re 2.160-2.040
Nebkaure Golden sono le anime dei Re 2.160-2.040


Regno di Mezzo 2.040-1.782 aC
Continui tumulti fino alla riunificazione dell'Egitto per opera dei principi tebani, la cui autorità va crescendo. Il potere si trasferisce in Alto Egitto.

XI dinastia a Tebe 2.134-1.991 aC

Faraone Traduzione Periodo
I Inyotef Figlio del Re 2.134-2.117
Inyotef II Figlio del Re 2.117-2069
Inyotef III Figlio del Re 2.069-2.060
I Mentuhotep Il dio Montu è felice 2.060-2.010
Mentuhotep II Il dio Montu è felice 2.010-1.998
Mentuhotep III Il dio Montu è felice 1.997-1.991


XII dinastia 1.991-1.782 aC

Faraone Traduzione Periodo
I Amenemhet Amon è a capo 1.991-1.962
Senusret I "Sesostri I" L'uomo della dea Wosret 1.971-1.926
Amenemhet II Amon è a capo 1.929-1.895
Senusret II L'uomo della dea Wosret 1.897-1.878
Senusret III "Sesostris III" L'uomo della dea Wosret 1.878-1.841
Amenemhet III Amon è a capo 1.842-1.797
Amenemhet IV Amon è a capo 1.798-1.786
Sebeknefrure Bella dio Sobek 1.785-1.782


Secondo Periodo Intermedio 1.782-1.570 aC
L'Egitto è governato dagli Hyksos, invasori provenienti dal Nord.

XIII dinastia 1.782 - 1.698? AC

Faraone Traduzione Periodo
Yutauyre (Uegaf) Re protegge le due terre 1.782-1.778
Amenenhet V Amon è in prima linea 1.778 -1.760
Hor Horus ?-1.760
Sebekhotep II Gradito al dio Sobek ?-1.750
Uoserkare (Jendy) L'anima del Re è potente ?-1.747
Sebekhotep III Gradito al dio Sobek ? -1.745
I Neferhotep Bella e piacevole 1.741-1.730
Sebekhotep IV Gradito al dio Sobek 1.730-1.720
Merneferre (Ay) Bella è la volontà di Re 1.720 -?
Neferhotep II Bella e piacevole ? - 1.698?


XIV dinastia "1.698? -?

Faraone Traduzione Periodo
Aasehre (Nehasy) Grande è il consiglio dei Re 1.698? -?


XV dinastia Hyksos 1.663-1.555 aC

Faraone Traduzione Periodo
Seshi Seshi 1.663-1.555
Makobher Makobher 1.663-1.555
Jian Jian 1.663-1.555
I Apepi Apepi 1.663-1.555
Apepi II Apepi 1.663-1.555


XVI dinastia 1.663-1.555 aC

Faraone Traduzione Periodo
Anath Anath 1.663-1.555
Yakob Yakob 1.663-1.555


XVII dinastia a Tebe 1.663-1.570 aC

Faraone Traduzione Periodo
Sebekemsaf II Sobek è la vostra protezione 1.663 -?
VII Inhotef Inhotef ?-?
Taa I Taa ? -1.633
Taa II Taa ? -1.574
Kamose Kamose 1.573-1.570


Nuovo Regno 1.570-1.070 aC
Età aurea dei faraoni. L'Egitto raggiunge una grandezza mai più eguagliata sotto i regni di sovrani potenti; Tebe è la nuova capitale, nonché fulcro religioso e funerario dell'Egitto.

XVIII dinastia 1.570-1.293 aC

Faraone Traduzione Periodo
Ahmose I La luna è nato 1.570-1.546
Amenhotep I Amon è contento 1.551-1.524
Thutmose I Nato il dio Thoth 1.524-1.518
Thutmose II Nato il dio Thoth1.518-1.504
Hatshepsut Prima di nobildonne 1.498-1.483
Thutmose III Nato il dio Thoth 1.504-1.450
Amenhotep II Amon è contento 1.453-1.419
Thutmose IV Nato il dio Thoth 1.419-1.386
Amenhotep III Amon è contento 1.386-1.349
Akhenaton (Akhenaton) Aten server 1.350-1.334
Smenjkare Vigoroso è l'Anima del Re 1.336-1.334
Tut-ankh-Amon Immagine vivente di Amon 1.334-1.325
Ay Ay 1.325-1.321
Horemheb Horus è gioia 1.321-1.293


XIX dinastia 1.293-1.185 aC

Faraone Traduzione Periodo
Ramses I Re ha generato 1.293-1.291
Hedges R Quella del fascio di dio 1.291-1.278
Ramses II Re ha generato 1.279-1.212
Mineptah Amato di Ptah 1.212-1.202
Amenmeses Figlia di Amen 1.202-1.199
Hedges II Quella del fascio di dio 1.199-1.193
Siptah Figlio di Ptah 1.193-1.187
Tausert Signora Potente 1.187-1.185


XX dinastia 1.185-1.070 aC

Faraone Traduzione Periodo
Setnajt Vittoriosa è Set 1.185-1.182
Ramses III Re ha generato 1.182-1.151
Ramses IV Re ha generato 1.151-1.145
Ramses V Re ha generato 1.145-1.141
Ramses VI Re ha generato 1.141-1.133
Ramses VII Re ha generato 1.133-1.126
Ramses VIII Re ha generato 1.133-1.126
Ramses IX Re ha generato 1.126-1.108
Ramses X Re ha generato 1.108-1.098
Ramesse XI Re ha generato 1.098-1.070


Terzo Periodo Intermedio 1.069-525 aC
L'impero dei faraoni crolla. Tanis nel Delta soppianta Tebe. Invasione e governo dei Libici.

Sommi sacerdoti a Tebe 1.080-945 aC

Sacerdote Traduzione Periodo
Herihor Horus mi protegge 1.080-1.074
Piankh Piankh 1.074-1.070
I Pinedyem Che appartiene al piacevole 1.070-1.032
Masaherta Masaherta 1.054-1.046
Menkheperre Enduring è la manifestazione del Re 1.045-992
Smendes II Signore Mendes 992-990
Pinedyem II Che appartiene al piacevole 990-969
Psusennes III Psusennes 969-945


XXI dinastia a Tanis 1.069-945 aC

Faraone Traduzione Periodo
I Smendes Signore Mendes 1.069-1.043
Amenemnisu Amon è il re 1.043-1.039
I Psusennes Psusennes 1.039-991
Amenemope Amun al Festival Opet 993-984
Osorcón vecchio Osorcón vecchio 984-978
Siamun Figlio di Amon 978-959
Psusennes II Psusennes 959-945


XXII dinastia dei libici Tanis 945-712 aC

Faraone Traduzione Periodo
I Sesonquis Sesonquis 945-924
I Osorcón Osorcón 924-889
Sesonquis II Sesonquis ?-890
I Tacelotis Tacelotis 889-874
Osorcón II Osorcón 874-850
Tacelotis II Tacelotis 850-825
Sesonquis III Sesonquis 825-773
Pimay Pimay 773-767
Sesonquis V Sesonquis 767-730
Osorcón IV Osorcón 730-715


A Tebe

Faraone Traduzione Periodo
Harsiese Horus figlio di Iside 870-860


XXIII dinastia Leontopolis 818-715 aC

Faraone Traduzione Periodo
Petubastis Il sabiode BÄSTIS 818-793
Sesonquis IV Sesonquis 793-787
Osorcón III Osorcón 787-759
Tacelotis III Tacelotis 764-757
Rudamón Rudamón 757-754
Iuput Iuput754-715


In Heracleopolis

Faraone Traduzione Periodo
Peftyauabastis Peftyauabastis ?-?


In Hermopolis

Faraone Traduzione Periodo
Nimlot Nimlot ?-?


XXIV Sais dinastia 727-720 aC

Faraone Traduzione Periodo
Tefnajt Tefnajt 727-720
Bekenrinef Bekenrinef 720-715


XXV dinastia nubiana 747-656 aC

Faraone Traduzione Periodo
Pianji Pianji 747-716
Sabacón Sabacón 716-702
Shebitku Shebitku 702-690
Taharqa Taharqa 690-664
Tanutamón Tanutamón 664-656


XXVI Saite dinastia 664-525 aC

Faraone Traduzione Periodo
I Psamtek Psamtek 664-610
Neco Neco 610-595
Psamtek II Psamtek 595-589
Uahibre Costante è il cuore del Re 589-570
Amos II La luna è nato 570-526
Psamtek III Psamtek526-525


Epoca Tarda 525-332 aC
Dinastie rivali regnano contemporaneamente a Tebe e nel Delta. L'Egitto è sotto il dominio kushita (dinastia del sud) e persiano. Tuttavia, la XXVI Dinastia (664-525 a.C, circa) vede un regno locale governare da Sais.

Primo Periodo Persiano 525-404 aC

XXVII dinastia 525-404 aC

FaraoneTraduzione Periodo
Cambise II Cambise 525-522
Dario I Dario 521-486
Serse Serse 485-465
Artaserse I Artaserse 465-424
Dario II Dario 423-405
Artaserse II Artaserse 405-359


XXVIII dinastia 404-339 aC

Faraone Traduzione Periodo
Artimeo Artimeo 404-439


XXIX dinastia 399-380 aC

Faraone Traduzione Periodo
Nefaurud Grande prosperare 399-393
Hakor Hakor 393-380


XXX dinastia 380-343 aC

Faraone Traduzione Periodo
Nejtenebef Forte è il suo padrone 380-362
Dyedhor Horus ha detto di vivere 362-360
Nejthorteb Forte è il suo signore Horus 360-343


Secondo Periodo Persiano 343-332 aC

XXXI dinastia 343-332 aC

Faraone Traduzione Periodo
Artaserse III Artaserse 343-338
Arses Arses 338-336
Dario III Dario 336-332


Periodo greco-romano 332 aC-641 dC

Re macedone 332-305 aC

Re macedone Traduzione Periodo
Alessandro il Grande Alessandro il Grande 332-323
Philip Arrhidaeus Philip Arrhidaeus 323-317
Alessandro IV Alejandro 317-305


Dinastia tolemaica 305-30 aC


Faraone Traduzione Periodo
I Soter (I Tolomeo) Soter 305-282
Filadelfo (Tolomeo II) Filadelfo 285-246
Evergetism I (Tolomeo III) Evergetism 246-222
Filopatore (Tolomeo IV) Philometor 222-205
Epifane (V Tolomeo) Epifane 205-180
Filometore (VI Tolomeo) Philometor 180-164,163-145
Neo Filopatore (VII Tolomeo) Neo Filopatore 145
Evergetism II (VIII Tolomeo) Evergetism 170-163,145-116
Soter (IX Tolomeo) Soter 116,110,109-107,88-80
Alessandro I (Tolomeo X) Alejandro 110-109,107-88
Alessandro II (XI Tolomeo) Alejandro 80
Neo Dionisio (XII Tolomeo) Neo Dionisio 80-58,55-51
Berenice IV Berenice 58-55
Cleopatra VII Cleopatra 51-30
Caesarion (XV Tolomeo) Cesarione 36-30




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MessaggioTitolo: Storia dei faraoni delle piramidi - pt1   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:14 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt1

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È del tutto evidente che per mobilitare una forza lavoro di proporzioni tali da costruire un monumento gigantesco come la Grande Piramide di Giza, era indispensabile che la corte avesse un controllo assoluto delle risorse dell’intero paese, sia della manodopera che degli altri mezzi economici. E dunque, ciò che vediamo al tempo delle piramidi di Giza pone le fondamenta di quello che poi sarà la civiltà egiziana. - Toby Wilkinson, egittologo.

Agli inizi dell’Epoca Dinastica in Egitto non esistevano edifici in pietra. Poi, verso il 2630 a.C. circa, Imhotep, alto funzionario e gran sacerdote di Ra, progettò e costruì una nuova tomba, assolutamente rivoluzionaria, per il suo padrone, il faraone Zoser, secondo sovrano della III Dinastia; con questa costruzione così innovativa ottenne che il suo nome fosse ricordato per tutto il Periodo Dinastico e dopo ancora. Ma non basta: Imhotep sarebbe stato venerato anche come medico, come mago, come astronomo e persino come dio. Fu lui a realizzare il primo edificio in pietra: la piramide a gradoni di Saqqara. Agli inizi della III Dinastia l’Egitto era forte, e l’unità del paese era andata via via rafforzandosi. Il faraone, coadiuvato dall’élite egiziana, numericamente ristretta e altamente compatta, regnava su tutto il territorio di un paese ormai unificato dalla sua capitale, Menfi, città fortificata, oltre che attivo porto fluviale, e la sua influenza si estendeva a sud fin oltre Aswan, nella Nubia vera e propria. La stabilità politica e un esercizio del potere altamente centralizzato avevano portato una notevole prosperità; ora poi il commercio con il Vicino Oriente e lo sfruttamento delle miniere e delle cave della Nubia e del Sinai facevano affluire nuova ricchezza nella tesoreria reale. Le varie province, governate di fatto da governatori ereditari o nomarchi che risiedevano nelle capitali provinciali, continuavano a godere di una certa indipendenza, ma per il momento i nomarchi accettavano di buon grado l’autorità del faraone. Nel frattempo, del tutto estranea agli avvenimenti politici, la stragrande maggioranza di una popolazione che poteva ammontare a un milione e mezzo, o forse due milioni, di individui viveva in piccole comunità agricole raggruppate attorno a centri cittadini più popolosi. Qui si continuava a coltivare la terra e a beneficiare dei doni del Nilo con metodi ampiamente collaudati dal tempo. Le province erano da sempre fedeli alle divinità locali, la cui dimora erano semplici templi fatti di canne e di mattoni di fango. Tuttavia cominciava a emergere un panteon statale: un’élite di divinità locali che sarebbero state promosse al rango di divinità nazionali e il cui culto, diffuso nell’intero paese, avrebbe rafforzato la posizione del faraone, re-sacerdote semidivino.

Ra di Heliopolis, la divinità solare dalla testa di falco, ben presto avrebbe assunto una posizione dominante tra le varie divinità del panteon nazionale; e infatti, nella sua qualità di nocchiero divino che ogni giorno trasportava il faraone defunto nella sua barca solare, era destinato a giocare un ruolo importante nello sviluppo del culto funerario legato alle piramidi. Non per nulla il falco, che volava alto nel cielo dell’Egitto, sarebbe ben présto diventato un simbolo importante della regalità. Importanza sempre maggiore andava via via assumendo anche Horus di Hierakonpolis, un’altra divinità dalla testa di falco, che sarebbe diventato il figlio della dea- madre universale Iside e del defunto re dell’oltretomba, Osiride. La leggenda di Horus e Osiride — di un figlio vivente che vendica il padre defunto e assume il posto che gli spetta sul trono dell’Egitto — era adombrata nella concezione della regalità egiziana: il faraone vivente veniva considerato Horus, mentre il faraone defunto diventava suo padre Osiride. Sfortunatamente, la storia dei primi anni dell’Antico Regno non ci è ancora completamente chiara (come del resto è per molti altri periodi dalla storia dell’Antico Egitto).

La I e II Dinastia dei fararoni egizi

La I e la II Dinastia sono considerate parte del Periodo Arcaico o Protodinastico, un’epoca affascinante, anche se ancora confusa, in cui si svilupparono appieno la centralizzazione e il sistema di scrittura. Con gli inizi della III Dinastia entriamo nell’Antico Regno, un periodo assai meglio documentato, che tuttavia presenta tuttora molti interrogativi a cui non è stato ancora possibile dare una risposta. L’Antico Regno comprende le Dinastie che vanno dalla III alla VI: le dinastie dei costruttori delle piramidi.

Zoser, conosciuto dai suoi sudditi con il nome di Neterikhet, viene universalmente considerato il secondo monarca della III Dinastia, essendo succeduto all’incerto Nebka. Dei suoi successori, Sekhemkhet, Khaba e Huni, sappiamo assai poco.

Il regno del faraone successivo, Snefru, segna l’inizio della IV Dinastia: siamo approssimativamente nel 2575 a.C. Snefru è entrato nella leggenda come un re mite e saggio, un faraone il cui capriccio principale sembra essere stata la passione con cui amava ammirare giovani donne agghindate in trasparenti abiti di rete adorna di perline; al contrario suo figlio Cheope (o Khufu), che gli succedette sul trono, gode di una reputazione diametralmente opposta. Il Papiro Westcar, un fantastico racconto di magia e di avventure scritto molti anni dopo il regno di Cheope, ci mostra infatti un faraone crudele desideroso di decapitare un prigioniero soltanto per mettere alla prova la presunta abilità del suo mago di riportare in vita i morti.

Erodoto, tanto per fare un esempio, aveva pienamente accolto una pubblicità tanto negativa ed è proprio quest’immagine di un Cheope tiranno che colora la sua descrizione della costruzione della Grande Piramide. A Cheope succedette il figlio Chefren, e poi il nipote Micerino; e questi tre faraoni furono i costruttori delle piramidi di Giza che sarebbero poi diventate i veri e propri simboli dell’Egitto. Le semplici tombe a pozzo, fosse ricoperte con cumuli di sabbia o di ghiaia, erano destinate a essere usate per tutto il Periodo Dinastico. Tuttavia, per l’élite egiziana, per coloro cioè che potevano aspettarsi di trascorrere tutta l’eternità all’interno delle proprie sepolture, le tombe a pozzo sembravano troppo semplici e troppo sabbiose, e oltre a offrire uno spazio eccessivamente ristretto per il comfort del defunto, non disponevano di ripostigli né di sovrastrutture imponenti.

Pertanto, nel tentativo di assicurarsi una sistemazione confortevole in cui trascorrere l’eternità, le classi più elevate cominciarono a farsi costruire quelle che oggi vengono chiamate mastabe: strutture basse e rettangolari, fatte di mattoni di fango, erette sopra una o più stanze sotterranee, la cui pianta era copiata da quella delle case in cui trascorrevano la loro vita terrena. Anche i faraoni del Periodo Arcaico, che erano stati sepolti ad Abydos, erano stati deposti in eleganti mastabe. Attualmente le necropoli reali dell’Antico Regno si trovano ai margini del deserto occidentale, non molto lontano dalla capitale.

Dalla mastaba alla piramide

All’epoca della III Dinastia, la camera funeraria della mastaba di solito era situata al fondo di un condotto verticale scavato nello strato di roccia che si trova sotto la sabbia del deserto. In superficie, veniva eretta una solida costruzione nelle cui pareti esterne venivano costruite una o più nicchie destinate ad accogliere le offerte. Queste nicchie si sarebbero poi trasformate in vere e proprie cappelle composte da molte stanze, dove amici e parenti potevano deporre doni e offerte di cibo e bevande con cui alimentare lo spirito del defunto. La mastaba in Egitto sarebbe rimasta in auge molto a lungo: le classi più elevate avrebbero infatti continuato a costruire le loro tombe con mattoni di fango e pietra, mentre i loro sovrani si imbarcavano in nuovi, e molto più ambiziosi, progetti.

Zoser (Djoser) non fu tuttavia il primo faraone a utilizzare la pietra nella costruzione della propria tomba — le mastabe di Abydos contenevano già vari elementi in pietra. Fu però il primo ad abbandonare completamente i mattoni di fango in favore della pietra. I mattoni di fango non furono comunque considerati un materiale da costruzione di qualità inferiore, e sarebbero stati usati nella costruzione dei palazzi reali fino alla fine dell’Epoca Dinastica. Tuttavia ci si rendeva conto sempre di più che la pietra sarebbe durata molto più a lungo. E poiché le tombe dovevano durare per l’eternità, mentre i palazzi, per quanto grandiosi, erano pur sempre strutture temporanee, si trattava di una caratteristica davvero importante: se la tomba di Zoser si fosse conservata intatta sotto la sua solida sovrastruttura di pietra, anche il suo culto e il suo corpo avrebbero avuto buone probabilità di conservarsi, permettendo così al faraone di vivere per sempre dopo la morte.

Questa improvvisa capacità di costruire monumenti di notevoli dimensioni, e per di più in pietra, dice molto sull’abilità organizzativa di cui disponeva l’Egitto della III Dinastia.






Fonte: Joyce Tyldesler [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

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MessaggioTitolo: Storia dei faraoni delle piramidi - pt2 - Zoser   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:15 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt2 - Zoser

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Soltanto uno stato ben coordinato poteva permettersi di mobilitare le risorse necessarie a portare avanti un progetto tanto ambizioso. Infatti la costruzione di una piramide richiedeva non soltanto l’opera di architetti, sovrintendenti, contabili, muratori e di un gran numero di operai, ma anche di una nutrita schiera di persone che garantissero tutta una serie di servizi indispensabili.

La manodopera aveva ovviamente bisogno di vitto e alloggio, oltre che di abiti e utensili, e per giunta per un tempo notevolmente lungo. Per di più la costruzione doveva essere completata il più in fretta possibile, dal momento che nessuno poteva sapere quando il faraone sarebbe morto. Sebbene l’Egitto disponga di cave ben fornite, costruire in pietra si sarebbe sempre rivelata una scelta costosa lunga e poco agevole. Il che spiega tra l’altro perché, a mano a mano che gli antichi templi e le tombe cadevano in disuso e in rovina, i faraoni non si facessero scrupolo di derubare i siti dei loro antenati per riutilizzarne i preziosi blocchi di pietra nella costruzione dei propri monumenti.

E purtroppo questo tipo di saccheggio è continuato praticamente fino ai nostri giorni. Il risultato è che, sebbene la struttura della piramide sia sopravvissuta praticamente intatta, il suo prezioso rivestimento di pietra bianca e la maggior parte degli edifici secondari, sono scomparsi già nell’antichità. Oggi i visitatori di Saqqara si trovano di fronte ricostruzioni moderne. Per fortuna, i monumenti egiziani sono attualmente sotto la protezione del Dipartimento delle Antichità e rubare nelle aree archeologiche è considerato un grave crimine. Il progetto innovativo della tomba di Zoser faceva sì che gli operai e gli architetti egiziani, abituati da sempre a servirsi di mattoni di fango, piccoli, leggeri e poco costosi, si trovassero ora alle prese con la necessità di maneggiare, trasportare e sollevare preziosi blocchi di pietra. E se molti di questi blocchi avevano semplicemente le dimensioni dei mattoni di fango, alcuni arrivavano anche a pesare una tonnellata o più.

Anche per i muratori si trattava di una sfida; la loro esperienza nello sbozzare la pietra non era così facilmente applicabile alla costruzione delle piramidi: i muratori che lavoravano nelle necropoli erano abili nello scavare i condotti e le camere funerarie sotto le mastabe, e magari nello scolpire gli elementi in pietra utilizzati nelle sepolture di Abydos, nient’altro. Infine, è pur vero che strumenti di selce venivano usati da secoli e che gli artigiani erano esperti nell’arte di modellare oggetti di pietra, vasellame, tavolette e impugnature di mazze, destinati a usi domestici o cerimoniali, ma si trattava di manufatti di dimensioni ben diverse. Ora, gli operai di Zoser usavano calcare locale tagliato alla meglio per la parte interna della piramide; pregiato calcare di Tura, trasportato dall’altra sponda del fiume, per il rivestimento esterno che doveva brillare e scintillare al sole; e granito rosa, fatto arrivare dalla lontana Aswan, per rivestire le pareti della camera funeraria. Così come la mastaba è stata un’evoluzione della semplice fossa in cui deporre il cadavere, la piramide a gradoni di Imhotep si è sviluppata a partire da una base simile a quella della mastaba. La rimozione, avvenuta nell’antichità, del rivestimento esterno ci consente infatti di vedere come la costruzione sia stata realizzata seguendo una serie di fasi ben definite.

Sembra che si sia trattato di una strategia deliberata, il cui scopo era fare in modo che il monumento non fosse mai troppo lontano dall’essere completato — una precauzione importante avendo a che fare con la costruzione di una tomba. In un primo momento, Imhotep iniziò pertanto con l’erigere una struttura quadrata, solida e massiccia, simile a una mastaba, con gli angoli orientati secondo i quattro punti cardinali (oppure il corso del Nilo e il sorgere e il tramontare del Sole), interamente rivestita di calcare di Tura. Questa costruzione venne quindi ampliata in modo da formare una mastaba a due gradoni, anch’essa rivestita di calcare bianco. Un terzo ampliamento sul lato orientale trasformò poi la mastaba in una struttura rettangolare di tipo più convenzionale, che con un’ulteriore, ma modesta, estensione divenne la base di una piramide a quattro gradoni. Da ultimo la base fu ampliata ulteriormente e ne derivò una piramide a sei gradoni. Una volta terminata, la piramide avrebbe raggiunto i 60 metri di altezza e avrebbe avuto un volume di 330.400 metri cubi costituito da pietre, detriti e materiale di riempimento. La camera funeraria di Zoser, (Djoser) interamente rivestita di granito, si trovava al di sotto della sua piramide, nel cuore di un labirinto di corridoi e camere adibite a ripostigli che riflettono una volta di più i successivi ampliamenti della pianta originale. Attualmente questa complessa struttura sotterranea è ulteriormente complicata da condotti e gallerie scavate da intrepidi tombaroli. Nella camera funeraria, piuttosto stretta, e costruita all’estremità di un pozzo ampio e profondo, si entrava soltanto attraverso un ampio buco che si apriva sul soffitto. Una volta avvenuta la cerimonia funebre, l’apertura veniva chiusa da una massiccia copertura di granito, del peso di tre tonnellate e più, che di fatto sigillava la camera.

Dopodiché il condotto di accesso veniva riempito di macerie che dovevano servire a proteggere il tutto da eventuali ladri. Zoser regnò per almeno diciannove anni, ma questa struttura sotterranea non fu mai completata e sembra proprio che il faraone sia morto prima che fosse ultimata la fase finale della sua tomba. La piramide a gradoni era dotata di dépendance, una serie di edifici di servizio e di cortili, mentre l’intero complesso di forma quadrangolare era circondato da un massiccio muro di pietra a pannelli rientranti; l’accesso era invece consentito da un unico portale di pietra. Tutti questi edifici di servizio confermano una volta per tutte quanto fosse articolata la teologia funeraria già al tempo dell’Antico Regno. Dal momento che il complesso doveva servire da centro di culto in cui il defunto faraone veniva venerato per l’eternità, molti edifici erano legati ai rituali della morte. Alcuni, tra cui il tempio funerario vero e proprio, dove venivano deposte le offerte quotidiane, non lasciano dubbi circa l’uso cui venivano destinati; per altri l’impiego non è altrettanto chiaro: ad esempio troviamo una serie di “falsi” edifici fatti interamente di detriti in cui ovviamente i vivi non potevano entrare, ma che potevano essere considerati accessibili al defunto.

C’era anche una seconda tomba, la “Tomba Meridionale”, costruita con tanto di camere sotterranee, che probabilmente doveva essere utilizzata dallo spirito del defunto faraone. Comunque, visto e considerato che la tomba doveva servire da dimora del defunto, l’equivalente diretto del palazzo reale in cui il faraone alloggiava quando era ancora in vita, gran parte dell’architettura della piramide faceva riferimento ai rituali della regalità.

In uno stretto cortile, fiancheggiato da quel genere di “falsi” edifici a cui si è appena accennato, troviamo un’alta piattaforma su cui, durante le celebrazioni del suo giubileo o festa sed, sarebbe apparso il sovrano seduto in tutta la sua potenza sul doppio trono dell’Alto e Basso Egitto. Un altro spazio aperto decisamente più grande, il Cortile Meridionale, conteneva una piattaforma cerimoniale o altare e un paio di cumuli di pietra di forma circolare. Questi cumuli sarebbero stati utilizzati per rappresentare i confini territoriali quando il faraone avrebbe eseguito la corsa rituale durante le celebrazioni della sua festa sed — una corsa che, almeno in teoria, doveva dimostrare agli dei e agli uomini che il faraone era forte e vigoroso, perfettamente in grado di continuare a regnare.





Fonte: Joyce Tyldesley [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]
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MessaggioTitolo: Storia dei faraoni delle piramidi - pt3 - Snefru   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:17 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt3 - Snefru

Purtroppo il corpo di Zoser è sparito molto tempo fa: probabilmente è stato fatto a pezzi dai ladri che hanno saccheggiato la sua tomba. Tutto ciò che resta è un piede sinistro mummificato, un pezzo di braccio destro e frammenti vari del petto e della spina dorsale, recuperati dalla camera funeraria della piramide a gradoni; per altro, non è affatto certo che siano appartenuti a colui che in origine l’aveva occupata.

Con questo non dobbiamo pensare che per Zoser sia tutto perduto; il faraone potrebbe avere ugualmente qualche speranza di godere della vita eterna poiché nel serdab, una cella piccola e scura che si apre accanto alla cappella funeraria, si trova una statua di Zoser, seduto, in dimensione naturale. Paludato in un abito lungo fino a terra, con tanto di parrucca e di copricapo a strisce nonché della barba falsa che costituiva una delle insegne della regalità, il defunto Zoser osserva la terra dei viventi attraverso due buchi per gli occhi. Questa statua doveva costituire una sorta di corpo sostitutivo del faraone; in pratica, cioè, doveva fornire una dimora in cui lo spirito o l’anima del defunto poteva risiedere quando gli venivano presentate le offerte.

Oggi, coloro che si sforzano di scrutare nel buio del serdab possono ancora vedere il viso austero ed enigmatico di un uomo che, per più di quattro millenni e mezzo, è rimasto seduto nel suo solitario splendore, intento a contemplare il proprio destino divino. Questa statua è tuttavia una semplice copia; l’originale si trova attualmente nel Museo del Cairo.

Zoser aveva dunque dimostrato che era possibile costruire e portare a termine, se non completamente almeno in gran parte, un enorme monumento di pietra. Sfortunatamente i suoi immediati successori non furono in grado di seguire il suo esempio.

A ovest della piramide a gradoni ci sono i resti di due complessi non ancora esplorati, probabilmente le aree cerimoniali di due piramidi che non furono ultimate, mentre a sud-est si innalza una seconda piramide a gradoni, rimasta incompiuta, dedicata al faraone Sekhemkhet, il cui regno fu di breve durata: una piramide che, se ci fosse stato il tempo per completarla, sarebbe stata ancora più alta e più imponente di quella di Zoser. Infine, a Zawyet el-Aryan, circa sette chilometri a nord di Saqqara, troviamo la piramide di Khaba, malconcia e incompiuta, conosciuta come “Piramide a Strati”.

Ancora una volta, sembra proprio che la morte prematura di un re abbia ostacolato i piani dei suoi architetti. E dunque non possiamo fare a meno di pensare che la longevità del faraone regnante fosse un fattore determinante, anche se imprevedibile, perché la costruzione della piramide andasse a buon fine.


Le tre piramidi di Snefru
Snefru, primo faraone della IV Dinastia, regnò probabilmente per una cinquantina di anni. Il che gli consentì di costruire, e di completare, tre grandi piramidi, meritandosi così il titolo di “più grande costruttore di piramidi di tutti i tempi”.
Le tre costruzioni di Snefru contengono più di tre milioni e mezzo di metri cubi di pietra, superando così la Grande Piramide. L’idea che un re potesse farsi costruire più di una tomba risulta decisamente strana a noi uomini moderni. Dopo tutto, il faraone poteva essere sepolto soltanto in un posto. Non sappiamo con certezza quale fosse il motivo di tanta abbondanza, tuttavia una spiegazione plausibile potrebbe essere semplicemente che Snefru, visti i problemi tecnici che avevano reso difficile la costruzione delle prime due piramidi, abbia voluto che se ne costruisse una terza. Se le cose stanno davvero così, potremmo considerarla una sorta di variazione rispetto all’approccio costruttivo di Imhotep che aveva realizzato la sua piramide a gradoni a tappe, un approccio che avrebbe comunque garantito che ci fosse sempre almeno una tomba pronta nell’eventualità di una morte improvvisa e inattesa del faraone. (Qualcosa di analogo doveva verificarsi durante il Medio Regno, quando Amenemhat III fece costruire due piramidi, la seconda delle quali si rivelò tecnicamente molto più progredita della prima.) In alternativa, è possibile che Snefru abbia voluto possedere uno o più cenotafi, oltre alla tomba vera e propria.

Comunque, indipendentemente dal motivo che spinse Snefru a farsi costruire più di una tomba, questa abbondanza dimostra che al tempo del primo faraone della IV Dinastia gli architetti egiziani erano ormai pienamente padroni dell’arte di costruire piramidi: gli egittologi moderni possono avere difficoltà a capire in che modo siano stati costruiti questi colossi di pietra, ma la manodopera di Snefru non aveva alcun dubbio in proposito. Nella nuova necropoli reale di Maidum, circa cinquanta chilometri a sud di Menfi, Snefru cominciò a farsi costruire la propria tomba che, a mano a mano che i lavori andavano avanti, da una piramide a sette gradoni si trasformò in una ancor più imponente, a otto gradoni. La camera funeraria a mensolone si trovava all’interno della piramide, invece che al di sotto, ed era stata costruita all’estremità di un lungo corridoio in pendenza. Dopo circa quindici anni il sito fu tuttavia abbandonato senza che la costruzione fosse finita; successivamente, verso la fine del regno di Snefru, il cantiere fu riaperto e la piramide a gradoni fu trasformata in una piramide vera e propria: i gradoni furono riempiti e ricoperti con un rivestimento di pietra locale. A un certo punto, comunque, la piramide di Maidum crollò e oggi ha l’aspetto di un nucleo centrale massiccio a forma di torre, circondato da un imponente cumulo di detriti e dalle rovine del complesso cerimoniale. Non sappiamo quando avvenne la catastrofe né che cosa l’abbia causata. L’intero complesso di cui faceva parte la piramide di Maidum, la prima “vera” piramide, era stato progettato secondo quello che sarebbe poi diventato lo schema tipico di questo genere di complessi funerari: un tempio costruito accanto alla piramide collegato per mezzo di una lunga strada lastricata a un tempio in valle, a sua volta collegato al fiume da un canale artificiale scavato appositamente.

Il canale facilitava il trasporto del materiale da costruzione, che arrivava per via fluviale, e ovviamente permetteva al corteo funebre di raggiungere in parata l’ingresso della piramide. Ormai erano spariti sia il cortile sed che il Cortile Meridionale aperto, il cui scopo era stato quello di ricordare il potere terreno di Zoser; infatti, da questo momento in poi, il complesso cerimoniale che accompagnava la piramide ebbe la funzione di promuovere l’immagine del defunto faraone in quanto essere divino, non più monarca terreno, mentre la piramide vera e propria sarebbe stata strettamente legata al culto del Sole. Le due piramidi fatte costruire da Snefru a Dahshur dimostrano senza ombra di dubbio i progressi ottenuti dagli architetti egiziani in poco più di cinquant’anni. La prima piramide, quella meridionale, oggi è nota come la “Piramide a doppia pendenza” perché l’inclinazione delle pareti è stata cambiata quando la costruzione aveva ormai raggiunto più di metà dell’altezza prevista. Sembra infatti che gli architetti reali, che stavano ancora sperimentando le varie tecniche costruttive, siano stati troppo ambiziosi nel progettare una piramide con un’inclinazione di 54 gradi, cosicché l’intera costruzione ebbe gravi problemi di subsidenza.


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Piramide di Medium - Era la Piramide di Huni (III dinastia), anch'essa concepita come "piramide a gradoni” (prima sette, poi otto).
Fu durante il regno di Snefru che venne trasformata in piramide “geometrica”, a facce lisce.
La piramide di Meidum, col tempo, subì il crollo dei muri esterni più recenti, che aderivano ai lisci blocchi del rivestimento a gradoni più antico. Per questi motivi oggi presenta l’aspetto bizzarro “a torrione”, ed è chiamata in arabo “Haram el-Kadab”, la “falsa piramide”.


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Piramide romboidale di Snefru

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La Piramide Rossa di Snefru, edificata con le pietre del luogo

Modificando l’inclinazione e riducendola a soli 43 gradi la stabilità fu ripristinata, ma la piramide fu comunque abbandonata. Snefru si sarebbe interessato nuovamente della “Piramide a doppia pendenza” soltanto verso la fine del suo regno, quando diede ordine che fosse completata. La Piramide Settentrionale o “Piramide Rossa”, fu invece iniziata nel periodo in cui le altre due piramidi erano state abbandonate. Progettata fin dall’inizio con un’inclinazione di 43 gradi, la Piramide Settentrionale dà l’impressione di essere stata completata in fretta, il che potrebbe indicare che fu scelta come ultima dimora di un faraone ormai sofferente. Parti umane mummificate rinvenute all’interno della Piramide Rossa comprendono un teschio malconcio, costole, un pezzo di piede sinistro e un dito. Analizzando questi pochi resti, gli anatomisti hanno concluso che il defunto aveva appena superato la mezz’età; possiamo dunque dedurre che Snefru sia salito sul trono molto giovane, oppure che non si tratti affatto dei resti di Snefru. Cheope o Khufu, figlio di Snefru, sopravvisse ai tre fratelli maggiori ed ereditò così il trono di suo padre.




Fonte: Joyce Tyldesley [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]

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MessaggioTitolo: Re: Gli antichi egizi   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:20 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt4 - Cheope

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La grande Piramide di Cheope
Tradizionalmente gli vengono attribuiti ventitré anni di regno anche se molti
esperti, basandosi sulla vastità del suo ambizioso programma edilizio, ritengono che abbia regnato molto più a lungo; da parte sua, Erodoto sostiene che il suo regno durò cinquant’anni.
E tuttavia un’ironia della sorte che di colui che ordinò la costruzione del più imponente monumento di tutto l’Egitto ci sia rimasta soltanto un’unica statuetta d’avorio, alta circa 7,5 cm e rinvenuta ad Abydos, dove a quanto sembra era stata offerta al dio Osiride come figura votiva: rappresenta il grande faraone seduto sul suo trono (esistono altre statue che gli esperti attribuiscono a Cheope in base ad elementi stilistici, tuttavia la statuetta in avorio è l'unica che riporta il nome del faraone).
Non sappiamo con esattezza se la statuina sia stata scolpita durante il regno di Cheope oppure, come sembra probabile, sia un’opera d’arte risalente a un periodo successivo. Per di più, date le sue ridotte dimensioni, non è neppure possibile farsi un’idea molto precisa delle fattezze del faraone.

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Statuetta di Medjedu, più noto come Cheope - Museo Egizio del Cairo

Comunque sia, questo minuscolo Cheope, che siede sul trono e indossa quella che, quasi certamente, è una malridotta corona rossa, sembra proprio un faraone placido e benevolo, ben lontano dal malvagio tiranno descritto da Erodoto. Invece di numerosi monumenti di piccole dimensioni, Cheope ebbe il coraggio o l’incoscienza di farne costruire soltanto uno, ma gigantesco. Tanta temerarietà fa ipotizzare che al momento dell’ascesa al trono, approssimativamente verso il 2580 a.C., fosse relativamente giovane e potesse quindi sperare di regnare a lungo. La necropoli da lui scelta fu la piana di Giza, non lontana dalla sua capitale, Menfi.
La fiducia e l’ottimismo di Cheope si sarebbero comunque rivelate del tutto giustificate: la sua Grande Piramide avrebbe raggiunto i 146 metri di altezza, l’equivalente di un moderno grattacielo di più di cinquanta piani, e avrebbe incorporato oltre due milioni di blocchi di pietra, che per la maggior parte pesano più di una tonnellata. E stato calcolato che alcune delle pietre di rivestimento della parte bassa raggiungono addirittura le quindici tonnellate.

Può essere difficile immaginare una struttura tanto immensa; il fatto che l’intero parlamento di Londra e la cattedrale di Saint Paul potrebbero esservi Contenuti comodamente può forse aiutare a farsene un’idea.
Napoleone Bonaparte, ammiratore entusiasta delle antichità egiziane, rimase tanto colpito dalla sua visita alla piana di Giza che (anche grazie all’aiuto dei suoi matematici) poté annunciare ufficialmente che nelle tre piramidi c’era pietra sufficiente per costruire un muro alto tre metri che circondasse l’intero territorio della Francia. La Grande Piramide è, tra tutte, quella allineata con maggior precisione. E evidente che per i geometri e i sovrintendenti l’orientazione dovesse essere molto importante. Tuttavia, non sappiamo con certezza se tanta precisione fosse una risposta pratica ai disastri di Dahshur e di Maidum, oppure se alla base ci fosse semplicemente una esigenza religiosa che rendeva necessario allineare con esattezza la camera funeraria (e di conseguenza il corpo del faraone defunto). Comunque, quali che siano state le motivazioni, il risultato finale non lascia adito a dubbi. I lati della piramide di Cheope sono orientati quasi esattamente verso nord, mentre le piramidi che successivamente sarebbero state fatte costruire, prima da suo figlio e poi da suo nipote, sarebbero state allineate l’una rispetto all’altra e rispetto agli elementi del complesso della Grande Piramide. La base della piramide di Cheope è quasi esattamente in piano, mentre la lunghezza dei lati ha uno scarto di meno di cinque centimetri. All’interno e al di sotto della piramide si estende un vero e proprio labirinto di passaggi e di stanze. A prima vista sembrerebbe che l’architetto, secondo una moda ben consolidata, abbia cambiato idea più volte, dal momento che dapprima la camera funeraria fu spostata dal terreno sottostante (la “Camera Sotterranea”, rimasta incompiuta e che era stata scavata direttamente nella roccia) nel centro della piramide (la “Camera della Regina”, rivestita di calcare e pressoché completata) e infine molto più in alto, proprio al centro della piramide (la “Camera del Re”, di granito rosso). Qui Cheope doveva essere sepolto per l’eternità nel suo sarcofago di granito rosso di Aswan. Alcuni egittologi ritengono tuttavia che tutte e tre le stanze facessero parte del piano originale; in particolare la “Camera della Regina” avrebbe avuto la funzione di camera serdab, in cui una statua del defunto faraone doveva servire da sostituto del suo corpo. Sopra la “Camera del Re” furono costruite cinque stanze per alleggerire la struttura, un’innovazione che serviva a distribuire il carico della piramide che altrimenti avrebbe sovraccaricato il soffitto della camera sepolcrale.

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“Condotti di aerazione”, orientati verso la Stella Polare, si diramavano dalle camere del re e della regina e attraversavano la massa della piramide; è possibile tuttavia che originariamente questi condotti fossero chiusi dal rivestimento esterno e dunque per il momento non siamo in grado di comprenderne appieno lo scopo sebbene sembri probabile che avessero una funzione rituale piuttosto che pratica. Cheope, ben sapendo che la sua tomba avrebbe attirato i ladri, cercò di fare in modo che la sua ultima dimora fosse ben protetta. Fece dunque costruire tre saracinesche di pietra che bloccassero l’ingresso della sua camera funeraria e volle essere certo che il corridoio di accesso, stretto e in salita, fosse sigillato con massicci blocchi di pietra, che proprio per quest’uso furono immagazzinati nella Grande Galleria appositamente costruita. Tuttavia, non intendeva affatto che coloro che avrebbero sigillato la sua tomba dovessero rimanervi rinchiusi; scene di sacerdoti leali e di infelici schiavi morenti accanto alla mummia del faraone sono, ancora una volta, il prodotto della fervida fantasia dei registi hollywoodiani. In realtà, i fedeli servitori di Cheope avevano una via di fuga. Uno stretto corridoio in discesa portava infatti dalla sommità del corridoio ascendente direttamente nel passaggio inferiore che conduceva alla Camera Sotterranea. Risalendo il corridoio discendente, coloro che avevano costruito la tomba potevano uscire all’esterno attraverso l’ingresso originale della piramide, che si apriva sulla faccia settentrionale a un’altezza di circa 16,5 metri. Soltanto a questo punto sarebbe stato possibile bloccare l’ingresso e ricoprirlo con il rivestimento di calcare, nascondendolo completamente: in questo modo nessuno avrebbe più potuto individuarne la posizione, o almeno così si sperava.

Sfortunatamente i ladri non si lasciarono ingannare e il riposo di Cheope fu disturbato prima ancora della fine dell’Antico Regno. Blocchi provenienti dal complesso della Grande Piramide vennero riutilizzati già cinque secoli e mezzo dopo la sua morte, quando cominciarono a comparire nella piramide di Amenemhat, durante il Medio Regno. La piramide vera e propria sopravvisse, più o meno intatta, per tutto il Periodo Dinastico, ma poi il rivestimento esterno di calcare bianco fu staccato e utilizzato in gran parte per la costruzione della città medievale del Cairo. In origine la piramide di Cheope era circondata da un cortile lastricato, racchiuso entro un alto muro di calcare; seguendo la pianta già sperimentata a Maidum si accedeva a quest’area interna grazie a una rampa che dal tempio in valle portava al grande tempio funerario.

Oggi resta ben poco di tanta magnificenza, ma quando Erodoto visitò Giza la rampa era fondamentalmente intatta, e permetteva ai visitatori di camminare nell’ombra della rampa stessa prima di raggiungere lo scintillio luminoso della piramide. Erodoto ne rimase visibilmente impressionato: «Questa rampa è lunga 1923 cubiti (1006 m), larga 35 cubiti (18,3m) e nella parte più alta raggiunge i 28 cubiti (14,6 m). E fatta di lucida pietra ed è ornata di sculture di animali» (Le Storie, Libro II, 124).

All’esterno del muro di cinta furono costruite una piccola piramide satellite simile alla tomba meridionale del complesso di Zoser, doveva essere utilizzata, anche se non sappiamo come, dal defunto faraone e tre piramidi più grandi destinate alla regina.

Di fatto, queste ultime tre dovevano servire per la sepoltura delle donne più strettamente imparentate con il re. Ma anche a questo proposito Erodoto ha un aneddoto da raccontarci, un aneddoto che, a dir poco, ci costringe a mettere in dubbio la sua serietà di cronista: Cheope era talmente malvagio e perverso che, quando si accorse di aver dilapidato tutto il suo tesoro e di aver bisogno di altre ricchezze, mandò la propria figlia a lavorare in un bordello, ordinandole di guadagnare una certa somma. Tuttavia, poiché contemporaneamente la principessa aveva deciso di far erigere un monumento per sé, chiese a ciascun cliente di donarle una pietra. Con queste pietre si fece costruire una piramide: delle tre che si trovano di fronte alla Grande Piramide è quella centrale.Le Storte, Libro II, 126




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MessaggioTitolo: Storia dei faraoni delle piramidi - pt5 - Hetepheres   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:21 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt5 - Hetepheres
Alla regina Hetepheres, quasi certamente la madre di Cheope, fu probabilmente dedicata la più settentrionale delle tre piramidi. Il caso ha poi voluto che Hetepheres diventasse una delle poche donne che hanno potuto emergere dalle tenebre della storia dell’Antico Regno.

E infatti, nel 1925, accadde che la zampa di un treppiede che un fotografo aveva collocato vicino alla piramide settentrionale, sprofondasse nella sabbia del deserto; questo insignificante incidente portò alla scoperta di un condotto, per altro sigillato, che conduceva a una semplice camera funeraria. Qui, riposti con cura, c’erano i resti del corredo funerario di Hetepheres, oltre al suo sarcofago vuoto e ai vasi canopi che contenevano ancora i suoi organi interni. Il corredo funerario comprendeva anche un baldacchino o una tenda smontata, due sedie e una portantina. Le parti in legno di questi oggetti erano marcite da tempo, ma restavano tracce sufficienti perché gli archeologi potessero ricostruire con una certa accuratezza il corredo di cui era stata dotata la regina.

Piccoli oggetti di uso privato rinvenuti nel ripostiglio comprendevano rasoi d’oro, coltelli, recipienti in alabastro con profumi e polvere per scurire le palpebre e inoltre una collezione di gioielli, tra cui facevano bella mostra braccialetti d’argento e ornamenti per le caviglie. Il tutto è ora esposto al Museo del Cairo. Se attualmente è impossibile ricostruire con una certa accuratezza la catena di avvenimenti che si sono succeduti dopo la sepoltura di Hetepheres, questa collezione incompleta, rovinata, che non comprende il corpo ma soltanto i vasi canopi con gli organi interni, costituisce ciò che resta di un corredo funerario reale su cui i ladri hanno messo le mani. Suo figlio Cheope volle essere certo di affrontare l’oltretomba ben fornito di imbarcazioni, sia reali che simboliche. Furono dunque scavate cinque buche, per altro vuote, a forma di barca, non lontano dalla rampa e dal tempio funebre, ma fuori dal muro di cinta che circonda l’intero complesso.

Il significato di queste barche fantasma ci sfugge, tuttavia se consideriamo che la piramide costituiva una sorta di porto simbolico, il punto di partenza per l’oltretomba, è possibile che la loro funzione fosse di consentire al defunto faraone di veleggiare verso il suo destino a fianco di Ra.

Al contrario, in due buche, strette e rettangolari, scavate parallelamente al lato meridionale della piramide, sono state trovate due barche, smontate ma dotate di tutto il necessario per la navigazione. Mentre una delle due non è stata toccata, ed è oggetto di un delicato progetto di conservazione, l’altra è stata completamente riassembiata e attualmente è custodita in un museo appositamente costruito a fianco della Grande Piramide. Fatta di assi di cedro legate insieme con corde di fibra, la barca è la copia in legno, in dimensioni naturali, di un’imbarcazione di canne di papiro, con tanto di cabina e con cinque remi su ciascun lato. Non sappiamo se dovesse servire al re nell’aldilà o se si trattasse piuttosto di un’imbarcazione che era stata effettivamente usata durante il corteo funebre.

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Barca solare - Cheope
Quanto alla Grande Piramide, non fu mai concepita come una costruzione che dovesse restare isolata. Essere sepolti vicino al faraone era considerato un grande privilegio e per questo motivo tutte le tombe reali dell’Antico Regno sono circondate dalle sepolture dei dignitari di corte che probabilmente speravano di condividere, sia pure in parte, le esperienze ultraterrene del loro defunto sovrano. Minacciare di negare il privilegio di essere sepolti nella necropoli reale — una minaccia pesante, usata talvolta dai faraoni per dare maggior peso ai propri decreti — era come mettere a rischio la prospettiva stessa di una possibile vita eterna.

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Cheope

Giza non fa eccezione e dunque anche qui troviamo le tombe dei cortigiani, suddivise a seconda del rango: a oriente della Grande Piramide ci sono le mastabe della famiglia reale e a occidente quelle dei dignitari, ordinatamente sistemate in file parallele. Sepolti sotto la sabbia del deserto, appena fuori dal recinto della necropoli reale, ci sono invece le tombe, molto più semplici, di coloro che avevano lavorato alla costruzione della piramide stessa. Il significato delle loro sepolture sarà esaminato più dettagliatamente nel prossimo capitolo.
Cheope regnò per circa cinquant’anni, o almeno così dicono gli egiziani. Alla sua morte gli succedette Chefren, suo fratello. Chefren seguì l’esempio del predecessore e volle anch’egli farsi costruire una piramide, le cui dimensioni tuttavia non eguagliarono quelle della tomba del fratello. Di questo sono certo perché le ho misurate entrambe io stesso. Il regno di Chefren durò cinquantasei anni e dunque in totale l’Egitto soffrì per ben centosei anni, durante i quali i templi restarono chiusi. Gli egiziani detestano a tal punto la memoria di questi faraoni che non pronunciano mai i loro nomi. Le Storie, Libro II, 127-128




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MessaggioTitolo: Storia dei faraoni delle piramidi - pt6 - Chefren Micerino   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:23 pm


Storia dei faraoni delle piramidi - pt6 - Chefren Micerino
La piramide di Cheope poté essere terminata prima della sua morte. Tuttavia, dobbiamo considerare che Cheope ebbe la fortuna di godere di un regno eccezionalmente lungo. Il figlio e immediato successore, Dedefra, fu invece assai meno ambizioso, oltre che meno longevo. Ad Abu Roash, che dista circa Otto chilometri da Giza, cominciò a farsi costruire una piramide con una camera funeraria sotterranea, come usava un tempo, ma i lavori furono interrotti dalla sua morte. Attualmente Abu Roash è sede di un moderno complesso industriale, mentre la piramide è nient’altro che un cumulo basso e informe.

A Dedefra succedette il fratello Rakhaef (che Erodoto chiama Chefren), che a sua volta ebbe come successore il figlio Menkaura (Micerino). Per la loro tomba sia Chefren che Micerino tornarono alla piana di Giza, dove fecero costruire le loro piramidi accanto alla Grande Piramide. La piramide di Chefren, che in realtà è più bassa di tre metri rispetto a quella di Cheope, essendo stata costruita un po’ più in alto dà l’illusione di essere il monumento più grande. Delle tre piramidi di Giza oggi è l’unica a conservare ancora parte del rivestimento originario di calcare bianco; sebbene leggermente rovinato dal passare del tempo e dall’inquinamento, permette di farci un’idea di come un tempo le piramidi dovessero scintillare sotto i raggi del sole. Durante il regno di Chefren la scultura fece notevoli progressi, cosicché, sebbene molte delle sue statue siano state riciclate già nell’antichità, ci restano parecchie immagini di questo sovrano potente e sicuro di sé. Tuttavia è grazie al volto della sfinge che Chefren è universalmente noto. La sfinge, con il suo corpo di leone e la sua testa di uomo, che dovevano raffigurare i simboli della regalità e del sole, fu scolpita nella roccia viva perché stesse di guardia lungo la rampa che porta alla piramide di Chefren.

La piramide dì Chefren era destinata a essere l’ultima delle grandi piramidi. Il figlio ed erede, Micerino, si accontentò di una costruzione decisamente meno imponente; la sua piramide è circa un decimo di quella di suo nonno ed è alta soltanto sessantasei metri.

Se è vero che non ci è pervenuta alcuna spiegazione che ci indichi i motivi di una diminuzione tanto improvvisa quanto sensibile, non mancano tuttavia le possibili ragioni. Ad esempio, possiamo ipotizzare che, essendo gran parte degli artigiani reali impegnati a costruire templi e scolpire statue, le risorse di Micerino fossero ormai ridotte all’osso; inoltre la costruzione di cinque grandi piramidi nel corso dei quattro regni precedenti aveva certamente svuotato i forzieri reali.

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Cheope - Chefren - Micerino

E anche possibile che Micerino non abbia affatto sentito la necessità di una piramide di dimensioni colossali. Un cambiamento nelle concezioni teologiche legate alla morte potrebbe aver fatto sì che i templi funerari fossero considerati più importanti della tomba vera e propria, e in effetti il tempio funebre di Micerino è relativamente grande rispetto alla sua piramide. Assai più prosaicamente, potrebbe darsi semplicemente che la piana di Giza cominciasse a essere sovraffollata o magari che il faraone, dubitando della propria longevità, avesse deciso di essere cauto. Per usare le parole dell’egittologo Toby Wilkinson, sembrerebbe proprio che i faraoni avessero ormai imparato un’importante lezione: «Una piramide non finita non serve assolutamente a nulla se si è faraoni d’Egitto; e dunque la lezione appresa nel corso di generazioni era questa: a meno di salire sui trono in età molto giovanile, era saggio iniziare una piramide molto più piccola in modo da essere certi di poterla finire prima di morire e di potersene così servire per la vita nell’oltretomba».

In ogni caso, qualunque sia stata l’opinione di Micerino, il tempo ha dimostrato che la sua decisione fu quella giusta. Anche se il suo regno durò almeno ventisei anni e il suo progetto edilizio era in scala ridotta, la piramide e il relativo complesso cerimoniale al momento della sua morte non erano ancora stati terminati e a quel punto il tutto dovette essere completato, piuttosto ignominiosamente, utilizzando mattoni di fango. Per il resto, sebbene la tomba sia stata derubata nell’antichità, al tempo del Tardo Periodo saitico la mummia di Micerino fu restaurata e collocata in un nuovo sarcofago. In seguito, però, il faraone avrebbe suscitato di nuovo l’interesse dei ladri.

Oggi quanto resta di Micerino sono un paio di gambe mummificate, un piede e una parte del torso, custoditi al British Museum. Per tutta la durata dell’Antico e del Medio Regno gli architetti egiziani continuarono a costruire piramidi, sia pure in scala notevolmente ridotta; piccole piramidi appartenenti a privati ebbero un ruolo nell’architettura funeraria del Nuovo Regno, mentre le piramidi nubiane comparvero durante il Terzo Periodo Intermedio. Tuttavia, nessuna di queste piramidi era destinata neppure ad avvicinarsi alla maestosità e alla purezza architettonica dei monumenti della piana di Giza. La Grande Piramide, unica tra le Sette Meraviglie del mondo antico ad aver resistito ai millenni, costituisce non soio un tributo a Cheope, ma all’organizzazione sociale dell’Egitto dell’Antico Regno.



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MessaggioTitolo: I Geroglifici   Gli antichi egizi EmptyMar Gen 01, 2013 11:26 pm


[Devi essere iscritto e connesso per vedere questa immagine]I Geroglifici --


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Gli studiosi hanno speso anni ed anni nel tentativo di decifrare i misteriosi segni che coprivano le pareti degli antichi templi egiziani e delle piramidi. Qualche segno era facile da capire perché rappresentava degli uomini impegnati in ogni genere di occupazione: c'erano scrivani con un rotolo in mano e la cannuccia dietro l'orecchio; mercanti che vendevano ornamenti e profumi, focacce e pesce; artigiani intenti a fare delle coppe di vetro soffiato; gioiellieri occupati nella fabbricazione di braccialetti e di anelli d'oro; guerrieri con lo scudo ricoperto di cuoio che procedevano in formazione regolare davanti al carro del faraone.

Guardando questi disegni è facile immaginare come erano, nell'antico Egitto, le botteghe degli artigiani, come si svolgeva il commercio nella piazza del mercato e come si presentava il corteo regale. Sopra questi monumenti egiziani si trovavano incisi serpenti, falchi, avvoltoi, oche, leoni, teste d'uccelli, fiori di loto, mani, volti, gente accovacciata e gente con le mani alzate sopra il capo, tutto disegnato e allineato come le lettere nelle righe di un libro. Tra queste figure troviamo però anche molti disegni geometrici di ogni genere, come quadrati, triangoli, circoli, nodi e così via.

Dietro questi misteriosi simboli, chiamati geroglifici, si celavano secoli di storia del popolo egiziano con i suoi costumi e le sui abitudini, ma per quanti sforzi gli studiosi facessero, non erano riusciti a capirne il significato. I discendenti degli Egiziani, i Copti, servivano a ben poco, perchè essi avevano dimenticato da gran tempo la scrittura dei loro progenitori.

Alla fine però anche il segreto dei geroglifici venne svelato. La decifrazione del sistema geroglifico è dovuta al francese Jean-Francois Champollion che nel 1882 riuscì ad individuare una chiave di lettura nella [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], ritrovata nel 1799 quando un esercito francese, sotto il comando dell'allora generale Napoleone Bonaparte, sbarcò sulla costa dell'Egitto.

Nello scavare certe trincee presso la cittadina di Rosetta i soldati disseppellirono un'enorme pietra piatta che recava incisa un'iscrizione... La stele, in basalto nero, costituiva un frammento di un'iscrizione ben più lunga, che conteneva un decreto del 196 d.C. emesso dai sacerdoti di Menfi in onore del re Tolomeo V Epifane per ringraziarlo delle elargizioni fatte a favore dei templi. Conteneva quattordici righe scritte in geroglifici, trentadue in demotico e cinquantaquattro in greco. Parve agli scienziati che, per scoprire il segreto, sarebbe bastato confrontare il greco con l'egiziano. Ma una delusione li attendeva. Essi credevano che nei geroglifici ogni parola fosse rappresentata da un differente disegno. Ma quando tentarono di sostituire ad ogni disegno la rispettiva parola greca, non vennero a capo di nulla. Trascorsero degli anni, ed ancor oggi forse saremmo incapaci di decifrare la scrittura egiziana, se non ci fosse stata la scoperta dello studioso francese Champollion. Champollion individuò nella parte scritta in greco il nome di Tolomeo V Epifane e si ricordò degli studi fatti da un suo predecessore, l'abate Barthèlèmy.

Questi aveva intuito che nei geroglifici i nomi dei faraoni erano sempre inscritti in un cerchio, detto poi "cartiglio" o "cerchio reale". Esaminando quindi i geroglifici contenuti nel cartiglio, associò a ciascuno di essi un valore fonetico che riprodusse il nome del re Tolomeo in greco, ovvero Ptolmys. L'intuizione fu comprovata da una successiva esperienza dello stesso Champollion. Nel 1815 era stato ritrovato nell'isola di File un obelisco in granito rosso recante una doppia iscrizione, in geroglifici e in greco. Champollion, procuratosene una copia, si rese conto del testo greco che anche qui, come nella stele di Rosetta, era nominato un re Tolomeo con la moglie.

Nei geroglifici si distinguevano infatti due cartigli, di cui uno conteneva gli stessi segni che nella stele di Rosetta indicavano Tolomeo. L'altro cartiglio doveva quindi contenere il nome della regina: Cleopatra. Champollion stava procedendo per la strada giusta: applicando lo stesso metodo alle molte iscrizioni che circolavano in Francia dopo la campagna napoleonica, riuscì a decifrare molti nomi di re greci e romani. L'alfabeto così individuato diventava sempre più ampio, ma nonostante gli enormi progressi, erano ancora molti i punti oscuri. Champollion era riuscito infatti a decifrare solo i nomi dei re stranieri, quelli che gli scribi erano costretti a traslitterare; niente si sapeva ancora su tutti gli altri segni.


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Continuando lo studio dei geroglifici contenuti nei cartigli, Champollion riconobbe il segno del disco solare che, associato ad altri due segni già in precedenza identificati con i suoni "ms", dava il nome di Rames. Il mondo dei faraoni si stava finalmente aprendo agli occhi di Champollion.


JEAN-FRANCOIS CHAMPOLLION

Gli aneddoti sulla vita e sull'opera di Jean-Francois Champollion sono della natura più varia. Si parla di predizioni sulla sua fama quando era ancora nel ventre materno; di segni premonitori (il neonato avrebbe avuto la cornea gialla, propria solo degli orientali); di caratteristiche frenologiche che lo indicavano come "genio linguistico". Nacque a Figeac (Delfinato) nel 1790 e fu senz'altro un "enfant prodige", ma non era scritto nelle stelle: lo divenne per sua determinazione e per la sua prodigiosa sete di sapere. Lo dovette anche al fratello maggiore Jacques-Joseph, un filologo molto dotato, che lo prese con sè a Grenoble, ed ebbe cura della sua educazione (gli fece studiare l'arabo, il siriaco, il caldeo e il copto) sostenendolo economicamente. A mostrare a Jean-Francois Champollion una copia della Stele di Rosetta fu, nel 1801, il famoso fisico e matematico Jean-Baptiste Fourier (1768-1830), che aveva partecipato alla campagna d'Egitto ed era diventato segretario dell'Istituto Egizio del Cairo. Il giovane ne fu ossessionato e dedicò allo studio della pietra tutto il suo tempo. Dopo un soggiorno di studio a Parigi, nel 1809, a diciannove anni, venne nominato per meriti accademici professore di storia all'università di Grenoble, anche se osteggiato dai suoi vecchi insegnanti che avevano ordito contro di lui una serie di intrighi. Compromessosi durante i Cento giorni di Napoleone, alla restaurazione dei Borboni fu congedato come professore e proscritto per alto tradimento. Cominciò allora la fase finale della decifrazione dei geroglifici che si concluse nel 1822 con la pubblicazione dello scritto "Lettre à M. Dacier relative a l'alphabet des hièroglyphes phonètiquse". Dopo anni di lavoro a tavolino, nel 1828 Champollion potè finalmente visitare l'Egitto; fu una marcia trioonfale: gli indigeni accorrevano festanti per vedere colui che "sa leggere la scrittura delle pietre antiche". Morì prematuramente quattro anni dopo.


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LA STELE DI ROSETTA

La pietra in basalto nero di Rosetta, grande quanto la ruota di un carro, venne alla luce il 19 giugno 1799, durante la campagna d'Egitto. Mostra tre sezioni di scrittura: nella parte superiore ci sono 14 righe in geroglifico; 22 in demotico nella parte centrale, e 54 righe in grafia maiuscola greca nella parte più bassa. Confrontando una copia dei tre testi, un diplomatico svedese esperto di lingue orientali, Akerbald, dimostrò che i nomi dei re, nella parte greca, comparivano nella stessa posizione nel testo demotico e avanzò con una certa sicurezza l'ipotesi che le tre sezioni fossero la traduzione di un unico testo: un protocollo del collegio sacerdotale di Menfi, datata 27 marzo del 196 a.C. che esaltava Tolomeo V Epifane per la sovvenzione accordata a un tempio. Fu una benedizione che in epoca tolemaica, quando le funzioni di governo erano tutte affidate a greci e greca era la lingua ufficiale, gli atti pubblici avessero pubblicazioni bilingue, in egizio e in greco.


LA SCRITTURA

Geroglifico deriva dal greco "hieroglyphicòs", formato da "hieròs" (sacro) e "glyphein" (scrivere). La scrittura era infatti appannaggio dei sacerdoti; dunque era sacra. La scrittura geroglifica è detta "monumentale", poichè veniva usata soprattutto per le iscrizioni scolpite sulle pareti dei templi e delle tombe. Per semplificare le iscrizioni a penna su papiro si adottò una scrittura corsiva, detta "ieratica". Nel VII secolo a.C. fece poi la sua apparizione sui papiri un'altra forma di scrittura ancora, il "demotico" o "scrittura popolare", che permetteva una redazione molto più rapida dei documenti. La scrittura egiziana è "ideografica", cioè composta di ideogrammi, figure che rappresentano tanto l'uomo e le sue azioni, quanto animali, piante, oggetti domestici, e ogni sorta di rappresentazione della realtà.


L'ORIENTAMENTO DEI SEGNI

Il primo problema da affrontare quando ci troviamo di fronte a un testo in geroglifici è comprendere in quale senso è stato scritto. La scrittura egiziana poteva infatti svilupparsi sia in verticale che in orizzontale, e, in quest'ultimo caso, sia da sinistra verso destra che da destra verso sinistra. Gli egiziani non scrivevano mai dal basso verso l'alto; solo in alcuni casi, per motivi estetici, segni complementari venivano posti sopra al segno cui si riferivano. La direzione era indicata dalle teste delle figure umane o animali. che erano rivolte dalla parte in cui iniziava l'iscrizione. Anche nelle pitture in cui il testo appariva come un commento all'immagine dipinta, il volto della divinità o della persona raffigurata era rivolto verso l'inizio del testo indicandone la direzione.


L'ORDINAMENTO DEI SEGNI

Oltre a criteri estetici, l'ordinamento dei segni doveva rispondere all'esigenza di occupare il minor spazio possibile. La linea del testo veniva suddivisa in tanti riquadri entro cui lo scriba disponeva i segni in modo che la singola parola fosse conclusa in un solo riquadro, indipendentemente dalla lunghezza della stessa. La disposizione dei segni non seguiva regole rigide ma variava a seconda dei casi, privilegiando all'interno del riquadro l'orientamento verticale. Ad esempio, la parola "bello" non veniva mai scritta in orizzontale, ma i vari elementi venivano disposti in modo da occupare tutto il riquadro disponibile. Le parole inoltre venivano scritte una di seguito all'altra senza lasciare uno spazio tra di esse.


LA FONETICA

Così come nelle altre lingue, in egiziano le parole erano composte da consonanti e vocali, ma nella scrittura geroglifica queste ultime erano sistematicamente ignorate. conseguentemente, oggi possiamo soltanto ipotizzare come gli egiziani pronunciassero la loro lingua, basandoci sulla pronuncia di certe parole egiziane passate in altre lingue come ad esempio il copto. Non bisogna lasciarsi ingannare da parole come Ptolmees e Kleopatra, i simboli corrispondenti alla A, alla E ed alla O rappresentavano nella lingua egiziana delle consonanti deboli e non delle vocali. Essi se ne servivano solo per mantenere un suono vocalico nelle parole straniere espresse in geroglifici. E' convenzione introdurre al momento della lettura una "é" breve tra le differenti lettere, per permettere di pronunciarle.


I SEGNI

Il sistema geroglifico era in parte pittorico e in parte fonetico. Un solo segno poteva avere valori differenti, a seconda che fosse utilizzato in funzione di ciò che rappresentava, cioè come ideogramma, o per il suo valore fonetico, ovvero come fonogramma. Per esempio l'occhio poteva significare letteralmente "occhio", oppure avere valore fonetico "in". All'origine della scrittura, ogni segno svolgeva la funzione di "pittogramma"; in altre parole, il senso era rappresentato in maniera figurata dal segno stesso. Un pesce significava "pesce", una casa voleva dire "casa".


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Gli egiziani disegnavano un oggetto sempre nella stessa maniera convenzionale, in modo da non suscitare ambiguità. Per tradurre un'azione, la rappresentavano per mezzo di una figura umana semplificata, oppure per mezzo della parte del corpo che compiva l'azione stessa (un braccio, una mano, la bocca, ecc.). Con il passare del tempo l'esigenza di esprimere concetti astratti e nomi propri condusse ad utilizzare i segni per il loro valore fonetico.



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GLI IDEOGRAMMI

Gli ideogrammi sono segni che denotano l'oggetto o l'azione concreta che rappresentano: un volto indica effettivamente un volto, un paio di gambe indica l'azione di camminare, un rettangolo con un lato interrotto indica la casa. I geroglifici sono chiari esempi di ideogrammi, che denotano però solo oggetti e azioni concrete. Per comunicare concetti astratti come "figlio", "amore" o "grande", gli egiziani facevano uso dei fonogrammi.


I FONOGRAMMI

I fonogrammi sono segni che indicano un suono, senza nessun tipo di relazione con l'oggetto che rappresentano. I geroglifici usati come fonogrammi si suddividono in tre categorie: monoletterali, biletterali e triletterali, a seconda che rappresentino una, due o tre consonanti. Combinando insieme due o più fonogrammi, si ottiene il suono di una parola, di cui gli egiziani trascrivevano solo le consonanti omettendo le vocali. Ogni parola composta da più fonogrammi era quindi una sorta di rebus: ad esempio, per scrivere il verbo "uscire", che in egiziano si pronuncia "pn", si disegnavano un rettangolo e una canna in fior, ottenendo il valore fonetico di "pr" e "r". La parola usata per indicare "figlio" era molto simile a quella usata per indicare "papero" e il valore fonetico di quest'ultima serviva quindi a denotare anche il primo. Per capire quando i segni dovevano essere interpretati come ideogrammi, e quindi in funzione del concetto che esprimevano, e non come suoni, si collocava un trattino verticale accanto al segno.


I DETERMINATIVI

Uno stesso geroglifico poteva denotare più oggetti con significato diverso. La comprensione di queste parole era facilitata dall'uso di segni detti "determinativi" che, posti alla fine della parola, aiutavano a determinare l'esatto significato della stessa, indicandone la categoria semantica. Il segno dell'uomo che porta una mano alla bocca, per esempio, può indicare più azioni: mangiare, bere, leggere ad alta voce, gridare, cantare. Analogamente, un paio di gambe in movimento possono significare più azioni: arrivare, partire, scendere, viaggiare, trasportare. Uno stesso segno inoltre poteva essere interpretato sia nella valenza di determinativo sia in relazione a ciò che illustrava. Il segno dell'acqua, se posto alla fine di una frase, rappresentava qualcosa che era associato all'acqua, come l'azione del bere, una cateratta o il Nilo stesso; quando invece era affiancato da una barra verticale, acquistava significato di per sè, indicando semplicemente l'acqua.


I COMPLEMENTI FONETICI

Le parole composte da due o tre fonogrammi erano spesso accompagnate da un ulteriore segno, detto "complemento fonetico", il cui suono ripeteva interamente o in parte il suono della parola composta. I complementi fonetici aiutavano il lettore a pronunciare correttamente le parole, aggiungendosi ai segni che esprimevano già il suono in questione, e specificandolo ulteriormente. Al fonogramma che significa "casa" e che si legge "pr", per esempio, veniva aggiunto il geroglifico della bocca che ha il valore fonetico di "r", per specificare ulteriormente questo suono. essendo posti alla fine della parola e rafforzandone il senso, i complementi fonetici servivano inoltre a distinguere quando i geroglifici venivano usati in funzione del loro suono, cioè come fonogrammi, e quando invece erano usati in funzione di ciò che rappresentavano, cioè come ideogrammi.


IL NOME

Come in tutte le lingue, gli elementi essenziali della frase erano il sostantivo, l'aggettivo, il pronome e il verbo. In egiziano la maggior parte dei sostantivi era formata da due o tre consonanti, ma ne esistevano anche di una o quattro consonanti. Normalmente l'articolo non veniva utilizzato. C'erano due generi: il maschile e il femminile. Mentre i sostantivi maschili non avevano desinenza caratteristica, i femminili avevano per desinenza ina "-l". C'erano tuttavia tre numeri: il singolare, il plurale e il duale; quest'ultimo veniva utilizzato solo per designare delle coppie. I nomi plurali terminavano in "-w" per il maschile e in "-wt" per il femminile; il plurale di un segno era spesso indicato ripetendo lo stesso segno tre volte, o aggiungendo dopo di esso tre trattini o tre cerchietti verticali o orizzontali.


L'AGGETTIVO

L'aggettivo concordava in genere e numero con il sostantivo che qualificava. Abitualmente lo seguiva. Gli aggettivi non si distinguevano dai sostantivi per la forma, salvo il femminile plurale che aveva sempre la desinenza "-t" al posto di "-wt".


IL PRONOME

I pronomi personali potevano essere indipendenti o dipendenti. I primi venivano utilizzati come soggetti della frase nominale; i secondi, come complemento oggetto. Essi erano: "inek", cioè io; "netek", tu; "netet", egli; "netes", ella; "inn", noi; "neteten", voi; "netesen", loro. Questo genere di pronome figurava sempre all'inizio della frase, in quanto soggetto dal valore enfatico. quando erano affiancati a dei sostantivi, avevano il valore di pronomi possessivi; quando erano affiancati a dei verbi, valevano come pronomi personali complementi.


IL VERBO

Il verbo era senza dubbio la parte più complessa della grammatica egiziana. Aveva una forma attiva e una forma passiva; i modi sono ancora oggi poco conosciuti; i tempi erano nella maggior parte dei casi determinati da infissi posti tra il verbo stesso e il soggetto pronominale. Nella congiunzione le persone erano normalmente indicate da pronomi personali provvisti di suffisso, direttamente affiancati alla radice del verbo. La forma che presentava unicamente il suffisso pronominale "t" poteva essere considerata come il nostro presente indicativo, sia attivo che passivo; era anche una delle forme più frequenti per indicare la simultaneità. La forma contrassegnata dai suffissi "nt" descriveva un'azione compiuta, ragione per la quale è il tempo narrativo del passato. La forma contrassegnata dai suffissi "hr" aveva un valore volto vicino al nostro futuro.


IL NOME DEI FARAONI

Il faraone era dotato di un titolo regale, che consisteva in cinque grandi nomi. Il primo era il "nome di Horus" (tradizionalmente, il dio dinastico), preceduto dal "serekh" dello stesso Horus, un disegno rettangolare rappresentante la facciata del palazzo reale, al cui interno era scritto in caratteri geroglifici il nome del faraone e sul quale era appollaiato il dio in forma di falcone.


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Il segno formato dal cobra e dall'avvoltoio era il nome geroglifico degli dei Dames, Nekhbet e Uadjit, gli dei protettori dell'Alto e del Basso Egitto. Seguiva il nome di "Horus d'oro", preceduto dal geroglifico di Horus al di sopra di un monile d'oro, la cui interpretazione è oggi ancora incerta. Si chiama "prenome" il nome portato dal faraone in quanto re dell'Alto e del Basso Egitto; era preceduto dal giungo e dall'ape, plantes araldiche dell'Alto e del Basso Egitto, iscritto all'interno di un cartiglio. Solo alla fine era indicato il nome di nascita, preceduto dalla menzione "figlio di Ra", iscritto anch'esso in un cartiglio; si tratta del nome con il quale noi designiamo "confidenzialmente" ogni sovrano: Tutankhamon, Ramesse, ecc...


I NUMERI

Per indicare i numeri, gli egiziani adottavano un sistema decimale che si scriveva utilizzando segni diversi per le unità, per le decine, per le centinaia, fino ai milioni. Per le unità si usavano dei trattini verticali, per le decine degli archetti, per le centinaia delle spirali. Nella scrittura i segni relativi ai valori più alti erano posti prima dei valori più bassi, e ciascun segno era ripetuto più volte fino a un massimo di 9 per raggiungere la cifra che si voleva indicare. I numeri cardinali erano scritti prima del nome a cui si riferivano.


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MessaggioTitolo: Divinità egizie   Gli antichi egizi EmptyVen Gen 11, 2013 7:19 am

Divinità egizie


Amon
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Amon ('Imn, in italiano anche Ammone; letteralmente il misterioso o il nascosto) è una delle principali divinità della mitologia egizia.
Nella Ogdoade ermopolitana formava unitamente ad Amonet una delle quattro coppie primigenie. Sposo di Mut e padre di Khonsu, nella triade tebana, fu all'origine un dio dell'aria nell'Ogdoade ermopolitana.

Anubi
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Nella religione egizia, Anubi era la divinità che proteggeva le necropoli ed il mondo dei morti, per cui veniva anche chiamato "Il Signore degli Occidentali".
Prima divinità dell'Oltretomba, come recitano i "Testi delle Piramidi", venne successivamente sostituito da Osiride, già verso la V dinastia, ma restava il dio protettore del XVII nomos dell'Alto Egitto il cui capoluogo, Khasa, venne chiamato, in epoca ellenistica, Cinopoli ossia "Città dei canidi" per il culto che vi veniva celebrato.
Anubi tra Osiride e HoroAveva numerosi titoli che coglievano i vari aspetti della complessa natura del dio, tra i quali:
"Colui che presiede l'imbalsamazione"
"Colui che è sulla montagna" intendendo la montagna ove erano scavati gli ipogei
"Colui della necropoli"
"Colui che è nelle bende" intendendo le bende funerarie ma dall'oscuro significato

Anuquet
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Anuqet è una divinità della mitologia egizia, sorella della dea Satet, con cui insieme a Khnum formava la cosiddetta triade di Elefantina. Si considera protettrice delle acque del Nilo; viene raffigurata come una donna con un'alta corona di piume.
Anuquet compariva nelle rappresentazioni funebri insieme a Tueret, divinità rappresentante i canneti del delta del Nilo, simboleggiando i deserti del sud. In tale rappresentazione le due dee racchiudevano l'intera vallata del Nilo (nella parte che costituisce l'Egitto). Una cappella di Anuqet di trova sull'Isola di Sehel di cui la dea aveva l'epiteto di Signora.


Aker
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Aker era il dio dell'orizzonte, rappresentato con il simbolo del sole che sorge fra due montagne. Accanto a questo simbolo centrale, erano disegnati anche due leoni, che rappresentavano "ieri" e "oggi": infatti, il loro nome era Sef e Duau nella lingua egizia antica. Aker poteva aprire le porte e far entrare il sole in un tunnel che arrivava fino al mondo sotterraeneo: questo accadeva ogni sera, mentre il mattino seguente Aker gli permetteva di tornare a sorgere ed illuminare il giorno.

Athor
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Athor Nella mitologia egizia, dea del cielo e regina del paradiso. Figlia del dio sole Ra e sposa del dio cielo Horus, era la dea della fertilità e proteggeva le donne e il matrimonio. Poiché era anche la dea dell'amore e della bellezza, veniva spesso identificata con la dea greca Afrodite. Venerata in tutto l'Egitto, veniva rappresentata come una vacca stellata o come una donna con la testa di vacca. Era chiamata anche Athyr.

Atum
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Atum (denominato anche Tem, Temu, Tum e Atem) è un'antica divinità della mitologia egizia. Originariamente associato con la terra, era considerato il dio creatore nella teologia eliopolitana.

Bastet
Bastet o Bast o Bastit è una delle più importanti e venerate divinità dell'antica religione egizia, raffigurata o con sembianze femminili e testa di gatto o direttamente come un gatto.

Benu
Benu o Bennu, divinità zoomorfa del pantheon dell'antico Egitto, è un uccello mitologico consacrato al dio Ra e simbolo della nascita e della resurrezione dopo la morte, quindi, dell'eternità della vita.

Bes
Bes è spesso considerato una divinità minore dell'antico Egitto eppure, seppur con nomi differenti, è sempre esistito nell'antica religione egizia. Fin dal periodo arcaico erano venerati diversi demoni nani con il compito di scongiurare le sciagure, che potevano essere rappresentati coperti da pelli di leoni o ne portavano la coda e le orecchie. Bes veniva rappresentato nano, spesso vecchio, con gambe storte e ornato di piume di struzzo.
Questa divinità porta spesso in mano delle "armi" con cui scacciare gli spiriti maligni: il Sa (il nodo della fortuna), un coltello corto o degli strumenti musicali. Era infatti anche associato ai divertimenti ed era patrono delle danzatrici, assisteva le donne durante il parto e vigilava sui neonati.
Nel Medio Regno Bes si era affermato in tutto l'Egitto come divinità protettrice dal malocchio e dio della casa, come dio guaritore e protettore del sonno, della fertilità e del matrimonio, ed era raffigurato con le sue smorfie e linguacce su moltissimi oggetti di uso domestico, dai vasi per cosmetici alle testate dei letti. Durante il Nuovo Regno dell'Egitto fino all'eresia di Ecknaton fu rappresentato alato, oppure mentre porta sulle spalle il dio Harmakhis ancora piccolo, o ancora nell'atto di fuoriuscire da un fior di loto.
Nel mondo romano si ritrovano sue immagini collegate al culto di Iside.

Figli di Horo
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Figli di Horo è il nome che, nella mitologia egizia, viene attribuito alle quattro divinità preposte alla protezione degli organi interni dopo la mummificazione.
Secondo la tradizione i quattro figli di Horo collaborarono con il dio Anubi nell'imbalsamazione del corpo di Osiride e divennero per questo patroni dei canopi (vasi, generalmente di alabastro, dove erano conservate le interiora dei morti e venivano assieme alla mummia del cadavere riposti nella camera sepolcrale).

Hapi
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Dio che personifica il Nilo, che, per gli Egizi, aveva proprio questo nome ed aveva origine tra File ed Elefantina. Nilo è la corruzione greca del fonema egizio “nwy” che significa acqua. Hapi è raffigurato in colore azzurro o verde, con lunghe mammelle, simbolo del dare nutrimento, mentre versa dell’acqua. Però, in effetti, per gli Egizi, gli Dei Hapi erano due: uno per l’alto Egitto, chiamato Hap-Meht e con un copricapo di piante di papiro, ed uno per il Basso Egitto chiamato Hap-Reset che, invece, portava sul capo dei fiori di loto. Vengono spesso raffigurati insieme mentre, con delle corde, intrecciano il simbolo dell’unione delle due terre: il “sematawi”.


Haroeris
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E’ un’altra personificazione di Horus nella sua prima forma. Era il Dio della luce. I suoi occhi rappresentavano uno il Sole, l’altro la Luna. Assieme ad Hathor ed a Sobek, costituisce la Triade di Kom Ombo.


Hator
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Hathor è una divinità antichissima della mitologia egizia, multiforme e collegata all'archetipo delle Grandi Madri protostoriche, il cui nome significa "casa di Horus". Dea dell'amore e della gioia, dea madre universale, in quanto generava il dio sole e allattava Horus e il suo rappresentante, il faraone, dea della vita ma anche patrona dei morti e spesso aiuta Osiride nell'accoglienza dei defunti nell'Oltretomba. Si considera protettrice delle sorgenti del Nilo e della potenza creatrice delle inondazioni, oltreché protettrice delle arti, della musica e del canto. È la dea che al tramonto mangia il sole (Horus identificato come dio-sole) per restituirgli la vita poche ore dopo; è anche la signora dei venti del nord.

Hehu

Gli Hehu (sing. Heh) sono una coppia di divinità minori, create dal dio Shu perché lo aiutassero a sostenere la volta celeste (il corpo di sua figlia, la dea Nut). Il glifo che li raffigura, con le braccia alzate a sostegno del cielo, era anche utilizzato a causa della sua omofonia per indicare il numero di "milione" nell'antico egiziano. Heh avendo il significato secondario di milioni, associato ad altri milioni, rappresenta le perversività dell'aria

Horus
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Horus, che significa probabilmente "Il lontano" (Bresciani), è una divinità celeste egizia che ha la sua ipostasi nel falco.

Iside
Iside o Isis o Isi (in lingua egiziana Aset, ossia trono), originaria del Delta, è la dea della maternità e della fertilità nella mitologia egizia. Divinità in origine celeste, associata alla regalità (il suo geroglifico include la parola per "trono"), faceva parte dell'Enneade.

Khentamenthy

Khentamentyu (anche Khentamenti) è una divinità ancestrale della mitologia egizia, particolarmente venerata ad Abydos, in Egitto. Si considera protettore dei morti (da cui il nome in italiano Primo degli Occidentali, ossia i trapassati), e viene raffigurato come uno sciacallo.

Khons
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Figlio di Ammon-Ra e di Mut, il suo nome significa “viaggiatore”, probabilmente come riferimento al corso della Luna della quale costituisce la divinità. Una falce di Luna è infatti raffigurata, assieme al disco solare, sopra il suo capo.


Khnum
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Con testa di caprone e lunghe corna, Khnum era il principale Dio dell’Alto Egitto con un Tempio nell’isola di Elefantina. Da lui dipendevano le piene del Nilo, ma, soprattutto era il “vasaio” che aveva modellato sul suo tornio il genere umano e dato loro la vita. Forma una Triade con la sua sposa...

Maat
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Maat: Figlia del Dio Sole Ra, Dea della giustizia, essa non rappresenta solo una divinità, ma anche il concetto di giustizia, in suo onore, quando una persona moriva, il cuore veniva posto sulla bilancia di Maat, per misurarne la purezza.


Mertseger
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Mertseger (anche Merseger), nella mitologia egizia, era la dea protettrice delle necropoli, sia reali che private, di Tebe e il suo nome significa "Colei che ama il silenzio".

Min
Min è una divinità della mitologia egizia, particolarmente venerata a Coptos, nell'Alto Egitto. Si considera protettore della fecondità e della fertilità, nonché patrono della carovane; viene raffigurato come un uomo mummificato con una corona adornata di due lunghe piume, mentre tiene in una mano un flagello. Il fallo eretto è appunto simbolo della fertilità. Fino al Medio Regno fu identificato con Horo e più tardi con Amon, dando vita ad Amon-Min, Amon itifallico, associato alla virilità e rappresentato da un toro bianco. Come dio della fertilità veniva evocato durante la Festa di Opet e rinnovava il "mistero del concepimento divino". Altro suo luogo di culto era la città di Akhmin.


Montu
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Montu o Mentu (in lingua egizia mn T w) è una divinità della mitologia egizia, particolarmente venerata nell'Alto Egitto. Originariamente si trattava di un dio autoctono e vestito come guerriero; se all'inizio aveva testa di falco, questa verrà sostituita in seguito con quella di un toro, in seguito all'associazione con la divinità solare Ra, di cui ottiene gli attributi. Sua paredra era Ciernenet, signora del cielo.

Neith
Neith era un'antica dea della caccia che già durante il periodo predinastico venne adorata a Saïs nel Delta occidentale. Il suo simbolo di culto, un arco con frecce incrociate, fa pensare che forse in origine era una dea guerriera. Potrebbe essere stata la divinità di un'antica tribù del Basso Egitto, visto che portava la corona rossa di quella regione.

Nut & Geb
Nut: Dea del cielo, sorella e sposa di Geb è colei che al tramonto porta via il sole e genera l’alba.
Geb: Dio della Terra, sposo di Nut, da cui nacquero Iside, Osiride, Nephtys e Seth.

Osiride
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Osiride (anche Usiride, Osiris od Osiri o, in egiziano antico, Asar o Ausar, una delle possibili etimologie è vegetazione) è il dio della morte e dell’oltretomba. È una delle divinità dell’Enneade ed il suo culto fu uno dei maggiori dell’Egitto, dove le sue statue decoravano moltissimi cortili dei templi. Era originario della città di Busiris e fu sepolto nella città di Abydos, centro del suo culto celebrato con riti e processioni, dove il simulacro della divinità veniva trasportato con la neshmet.
Osiride era il dio egiziano degli inferi, oltre che della fertilità.
Come dio dell'agricoltura veniva festeggiato nel mese di khoiak quando si effettuava la raccolta del grano i cui germogli simboleggiando la sua resurrezione, venivano anche usati in ambito funerario nella statuetta detta "Osiride vegetante".
Fu proprio lui, assieme ad Iside, a civilizzare l'umanità insegnandole l’agricoltura. Il suo culto della fertilità, inizialmente diffuso nel delta, in seguito si espanse in tutto il resto del paese. Nel Duat, l’oltretomba, Osiride pesava i cuori dei morti su un piatto della bilancia, mentre sull’altro vi era una piuma. Le anime che pesavano di più a causa dei peccati venivano date in pasto ad Ammit, mentre quelle che erano abbastanza leggere venivano mandate da Aaru. Questa cerimonia era detta psicostasia.
Figlio di Nut e Geb, ebbe da sua sorella Iside il figlio Horo. Più tardi, Osiride fu messo in relazione con Seker e Ptah portando alla forma sincretistica di Ptah-Seker-Osiride; venne anche identificato con Heryshaf.

Ptah
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Nella mitologia egizia Ptah ("creatore") (o Tanen, Ta-tenen, Tathenen, Peteh) è un dio creatore, demiurgo della città di Menphi, patrono degli artigiani e degli architetti nonché dio del sapere e della conoscenza.
Lui stesso fu ingegnere, muratore, fabbro, artista.

Ra
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Ra (noto anche nella forma Rê) è il Dio-Sole di Eliopoli nell'antico Egitto. Emerse dalle acque primordiali del Nun portato tra le corna della vacca celeste, la dea Mehetueret. È spesso rappresentato simbolicamente con un occhio (l'occhio di Ra).

Selkis
Selkis (o anche Serket, Selqet, Selket, Selkit, Serqet) era, nella religione egizia, la dea scorpione della magia.
Dea funeraria insieme a Iside, Nefti e Neith, aveva il compito di proteggere uno dei vasi canopi: Qebeshenuf, dalla testa di falco, che conteneva gli intestini. Era rappresentata con l’immagine stilizzata di un pungiglione di scorpione sul capo più raramente con l'immagine di un scorpione con il volto da donna.
Nella sfera medica proteggeva dalla puntura dello scorpione, degli insetti velenosi e dei serpenti.

Seth
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Seth (anche Sutekh, Setesh o Set) è il dio del caos nella mitologia egizia, secondo la teogonia menphita sviluppata nel periodo tardo. Viene, di norma, raffigurato come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra, più generalmente indicato semplicemente come "animale di Seth"; nelle raffigurazioni più antiche è invece raffigurato come animale.
Figlio di Geb, la terra (principio maschile) e Nut, il cielo (principio femminile), fratello di Osiride, Iside e Nefti (di cui era anche lo sposo), per gelosia organizzò una congiura mortale nei confronti del fratello Osiride che sarà poi vendicato dal figlio di quest'ultimo, Horo.
In origine Seth è una delle maggiori divinità dell'Alto Egitto del Periodo Predinastico, con la funzione di benigna divinità dei morti. La sua importanza diminuisce quando i re dell'Alto Egitto unificano le Due Terre ed impongono il loro dio, Horo, come divinità principale. Comunque per tutto il Regno Antico Seth mantiene una certa importanza e sul finire della II dinastia sostituisce il rivale nella titolatura reale (Peribsen), oppure si affianca ad Horo (Khasekhemwy).
Durante il periodo hyksos Seth verrà prescelto quale Dio dinastico ed associato alla divinità hurrita della tempesta Teshup.
Durante la XIX dinastia il nome di Seth torna a comparire nelle titolature reali come nomen (Seti I e Seti II). In questo periodo veniva raffigurato a prua dell'imbarcazione notturna di Ra, impegnata nella cattura del mostro serpente.
È stato la maggiore divinità degli Hyksos, come pure il protettore dei sovrani condottieri Ramessidi, divenendo infine la divinità dei paesi stranieri e quindi un dio ostile.
Seth è il Signore del deserto, adorato dai carovanieri che si spostavano tra un'oasi e l'altra. Seth è una divinità a tutti gli effetti, di pari potere agli altri e che merita adorazione per la sua possanza. Assolve, inoltre, anche compiti fondamentali: è il dio della guerra e della forza bruta, che insegna ad asservire nella lotta violenta per vincere in battaglia e trovare l'onore.
Seth è anche detto l'Ombita dalla città di Ombos sede originaria del suo culto.

Sfinge
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Sfinge è il nome di un animale fantastico, dal corpo leonino e la testa umana o bovina. Considerata la rappresentazione idealizzata del sovrano, la sfinge assumeva una funzione di vigilanza e protezione quando era costruita di dimensioni enormi, come quella di Giza, o quando era disposta lungo i viali, come quelle di Luxor.

Shu
Shu (o Chu), dio primordiale della mitologia egizia, fa parte della grande Enneade di Eliopoli.
Nacque, come sua sorella gemella e moglie Tefnut, dallo sperma o muco di Atum, il creatore. Tefnut e Shu formano la prima coppia divina. La prima è il simbolo dell’umidità e Shu quello dell’aria; rappresentano con i loro due figli, Geb (la terra) et Nut (il cielo), i quattro elementi primordiali.
Shu simboleggia l’aria, intesa anche come soffio di vita. Viene raffigurato come un uomo barbuto, che sta sopra Geb nell’atto di sostenere Nut con le braccia tese (l’aria tra la terra ed il cielo). Spesso indossa sul capo una piuma di struzzo. A Leontopoli, Shu e Tefnut erano venerati sotto forma di una coppia di leoni.
Shu fu in seguito identificato con Anhur, il cui nome significa Portatore del cielo, diventando Anhur-Shu.

Sobek
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Il Dio coccodrillo adorato a Kom Ombo, dove sono stati trovati moltissimi coccodrilli mummificati. Il suo nome significa “che veglia su di te” Quindi, protettore contro le avversità ed i torti ed anche con capacità di guaritore.
Il Tempio di Kom Ombo, infatti, era diviso in due sezioni: una dedicata al culto e l’altra alla cura dei malati. I Greci lo chiamarono Suchos.


Tauret
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Originaria del Basso Egitto, è una divinità di origini pre-dinastiche. Rappresentata in forma di ippopotamo con abbondanti mammelle pendenti e con una pelle di coccodrillo sulla schiena, appoggia la mano sul “Sa”, simbolo del salvagente di giunco usato sul Nilo. E’ la protettrice delle gestanti, dell’allattamento e dell’infanzia.


Thot
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Thot è la divinità egizia della luna, sapienza, scrittura, magia, misura del tempo, matematica e geometria. È rappresentato sotto forma di ibis, uccello che vola sulle rive del Nilo, o sotto forma (meno frequente) di babbuino.

Fonte: [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link] /web




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MessaggioTitolo: Il Nilo   Gli antichi egizi EmptyVen Gen 11, 2013 10:08 pm





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Il Nilo: fiume dell'Africa nordorientale, il più lungo del mondo.

Il Nilo scorre in direzione nord dal lago Vittoria fino al Mediterraneo dopo un percorso di 5.584 km attraverso l'Uganda, il Sudan e l'Egitto.
Se si comprende il fiume Kagera, che è il suo principale ramo sorgentifero, la lunghezza complessiva del fiume (Nilo-Kagera) raggiunge i 6.695 km. Il bacino idrografico del Nilo è tra i più vasti del mondo, con una superficie di circa 2.867.000 km².




Il corso del Nilo

Delta del NiloIl Kagera, che ha origine dalla confluenza dei fiumi Nyabarongo e Ruvubu, dopo aver segnato per una certa parte del suo corso il confine tra la Tanzania a est, il Burundi e il Ruanda a ovest, e l'Uganda a nord, devia poi verso est, gettandosi infine nel lago Vittoria, situato a un'altitudine di 1.130 m. Il Nilo esce dal lago, con il nome di Nilo Vittoria, presso Jinja, in Uganda, in corrispondenza delle cascate Ripon, descritte dagli esploratori che visitarono la regione nel XIX secolo, ma oggi non più visibili.

Percorre quindi 483 km in direzione nord-ovest scorrendo tra elevate pareti rocciose, superando rapide e cataratte e formando il lago Kyoga, fino a gettarsi nel lago Alberto. A questo punto fuoriesce dal lago col nome di Nilo Alberto. Da qui scorre verso nord attraverso l'Uganda settentrionale e il Sudan, dove assume il nome di Bahr-al Jabal, fino al punto in cui riceve le acque del suo affluente Bahr-al Ghazal: qui cambia nuovamente il nome, diventando il Nilo Bianco. A Khartoum quest'ultimo si congiunge con il Nilo Azzurro: i nomi dei due fiumi derivano dal colore delle loro acque. Il Nilo Azzurro, lungo 1.370 km, ha origine nel lago Tana, in Etiopia.

Da Khartoum il Nilo scorre in direzione nord-est e, dopo circa 300 km, riceve le acque del fiume Atabarah, il suo ultimo affluente. Da qui il corso del grande fiume procede verso nord, attraversando il deserto di Nubia, dove forma due ampie anse, e superando una serie di cateratte che lo portano da una quota di 350 m ai 95 m sul livello del mare. Presso Assuan, in Egitto, il fiume è sbarrato da una grande diga (la diga di Assuan) che dà origine al lago Nasser. Da questo punto fino al delta, che inizia a una distanza di circa 260 km dal Mediterraneo, il letto del fiume ha un'ampiezza media di 500 m ed è interamente navigabile. Oggi le numerose crociere sul Nilo costituiscono una grande risorsa economica per l'economia e il turismo egiziano.

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Nilo Azzurro

Nilo Azzurro (arabo al-Bahr al-Azraq), fiume dell'Africa nordorientale, lungo 1.370 km. Nasce, a un'altitudine di circa 1.830 m, nel lago Tana, situato nell'Etiopia nordoccidentale, e scorre per circa 200 km in direzione sud, piegando quindi verso ovest. Dopo un percorso sinuoso di oltre 300 km in territorio etiopico cambia direzione e si dirige verso nord-ovest, fino a raggiungere il confine con il Sudan; penetra quindi in questo stato formando il lago Rusayris e, dopo aver percorso circa 500 km in direzione nord-ovest, confluisce, presso Khartoum, con il Nilo Bianco formando il Nilo propriamente detto. Lungo il suo corso sudanese sono state costruite numerose dighe e la sua acqua viene utilizzata per l'irrigazione e per la produzione di energia idroelettrica.


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Nilo Bianco

Nilo Bianco (arabo Bahr al-Abyad), tratto del Nilo che attraversa il Sudan, lungo 800 km. Inizia nei pressi di Malakal, dopo la confluenza con gli affluenti Bahr al-Ghazal (di sinistra) e Sobat (di destra). Il tratto precedente del Nilo è chiamato Bahr al-Jabal. Da Malakal, il Nilo Bianco scorre in direzione nord fino a Khartoum, dove riceve da destra le acque del Nilo Azzurro: da questo punto in poi il grande fiume diventa il Nilo propriamente detto. Il Nilo Bianco è navigabile in tutte le stagioni dell'anno. Nei pressi di Khartoum il suo corso è sbarrato dalla diga di Jabal Awliya: le sue acque vengono qui incanalate e sfruttate per l'irrigazione.



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Il Nilo e la cività Egizia

Nell'ampio delta del Nilo, noto per le sue terre fertili che hanno dato vita a una delle più grandi civiltà della storia: le acque del fiume si dividono nei due rami del Nilo Rosetta e del Nilo Damietta, oltre che in parecchi canali navigabili. La prima diga di Assuan fu costruita nel 1902; la seconda diga, che forma il lago Nasser, fu iniziata nel 1960 e conclusa nel 1971. Una delle conseguenze negative della costruzione della diga è la diminuzione del flusso di sedimenti verso il delta, fenomeno da cui dipende la fertilità della regione. Tra i numerosi esploratori europei del Nilo, che tentarono di scoprire il mistero delle sue sorgenti, si ricordano i britannici John Hanning Speke, che raggiunse il lago Vittoria nel 1858 e le cascate Ripon nel 1862, e Samuel White Baker, che avvistò il lago Alberto nel 1864, e il tedesco Georg August Schweinfurth, che esplorò, tra il 1868 e il 1871, gli affluenti occidentali del Nilo Bianco. Si ricorda inoltre il gallese Henry Morton Stanley che, nel 1875, circumnavigò il lago Vittoria, identificò il fiume Semliki nel 1889 e raggiunse il lago Edoardo e il massiccio del Ruwenzori.


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Le opere di irrigazione

Sin dai tempi più antichi, il potere centrale coordinava la realizzazione e la manutenzione della rete di canali che consentiva di sfruttare le piene del Nilo. Uno dei mezzi più semplici per rendere fertile un terreno era la creazione di un bacino artificiale. Attorno a una zona raggiungibile dalle acque del Nilo in piena si costruiva un grande argine quadrato di terra di circa due chilometri di lato. Quando la piena, che innalzava il livello delle acque di circa sei metri, arrivava a riempire il bacino, l’uscita dell’acqua veniva bloccata con delle chiuse ed, in questo modo, il limo si depositava in grande quantità sul terreno recintato. Dopo circa un mese, quando il suolo era ormai saturo, l’acqua veniva fatta defluire in bacini di livello minore e infine nuovamente convogliata al Nilo. Una efficiente rete di canali raggiungeva i terreni distanti dal fiume, che le acque di piena non erano riuscite a coprire. Squadre di agrimensori stabilivano l'orientamento dei fossati e ne segnavano il tracciato sul terreno per mezzo di paletti e corde. Essi inoltre delimitavano gli appezzamenti di terreno dati in uso ad ogni bracciante e ne ridefinivano i confini dopo le inondazioni.

Flora e fauna del Nilo: La flora dell'Egitto era e in parte ancora è ricchissima. Il papiro, la ninfea loto, la canna e l'acacia crescevano abbondanti nella vallata interna e nelle oasi; accanto ad esse prosperavano poi il frumento sorgo, l’orzo, il lino, parecchi ortaggi (lattuga, cipolla, aglio) e la vite, ed, ancora, la palma dum (Hyphaene thebaica) a foglie palmate e la palma da datteri (Phoenix dactilifera) a foglie pennate, il carrubo, il fico, il tamarisco e il fico sicomoro. Mancavano invece alberi d’alto fusto, adatti a fornire buon legname, e mancava l’olivo, cui sopperiva tuttavia la pianta del ricino dalla quale si estraeva olio. Quanto alla fauna, era presente a Sud l’elefante e sull’intero territorio l’ippopotamo, il ghepardo, il leone, piccole scimmie delle famiglie cercopitechi e cinocefali, il coccodrillo, una specie arcaica di pecora, capre, antilopi, gazzelle, bovidi e asini, e ancora sciacalli, gatti selvatici, lepri e iene, uccelli e pesci in gran numero e varietà, e serpenti di piccola taglia (come il cobra e varie vipere che tra le altro sono spesso ricorrenti nei geroglifici). Già intorno al 2600 a.C. parecchi di questi animali erano diffusi in varietà domestiche e selezionate (bue, asino, pecora, insieme all’oca, all’anatra e al piccione); altri, come la gallina e il cavallo, vennero importati verso il 1500 a.C. dall’Oriente. Allevate largamente in ogni epoca furono poi le api, quali fornitrici di miele e di cera.
Si noti che gli antichi egizi non conoscevano il cammello importato in epoca posteriore dagli arabi.

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Il corso del Nilo

Con i suoi 6680 Km è il secondo fiume più lungo del mondo, dopo il Mississipi-Missuri, chiamato in arabo Bahr el-Nil e semplicemente El-Bahr ("il Fiume").
Il Nilo ha la sua origine con il fiume Luvironza-Ruvuvu che è il princpale ramo sorgentifero del Kagera principale emissario del grande lago Vittoria nel territorio della Tanzania
Dal Lago Vittoria esce, verso nord, in territorio ugandese, con il nome di Nilo Vittoria. Quindi attraversa il Lago Kyoga e diventa l'emissario del Lago Alberto. Da qui esce con il nome di Bahr el-Gebel (Nilo delle montagne) per superare il confine ed entrare nel Sudan.
Nelle pianure meridionali del Sudan il Bahr el-Gebel scorre nella grande conca paludosa dei sudd. All'uscita da questa conca diventa il Nilo Bianco quindi riceve la confuenza del fiume Sobat e continua a scorrere verso nord sino a Khartum dove confluisce con il Nilo Azzurro da qui prende finalmente il nome definitivo di Nilo.
Dopo Khartum riceve le acque dell'Atbara, l'ultimo affluente del Nilo e per 2.700 Km attraversa il deserto egiziano fino a sfociare nel Mediterraneo con un vasto delta di 22.000 Km² e composto da 2 rami fluviali principali e da numerosi bracci secondari collegati da altrettanti numerosi canali.
Da Khartum il corso del Nilo è molto regolare con una scarsissima pendenza. Questo andamento è interrotto solo dalle 6 famose cataratte fino ad Assuan, numerate da 1 a 6 iniziando da Assuan. Queste cataratte sono un ostacolo alla navigazione solo nelle acque basse.


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Le piene del Nilo

Il Nilo è l'unico fiume che sfocia nel Mediterraneo con piene estive. Le sue piene sono abbastanza regolari ed iniziano a Giugno con un piccolo accrescimento grazie "all'Onda Verde", successivamente avviene un grande aumento con "l'acqua rossa" fino ad arrivare alla portata massima alla fine di Settembre. La diminuzione del della portata continua fino al successivo Giugno.
Questo andamento della piena è causato dalla complessa rete di affluenti che alimenta il Nilo. Nel periodo da Gennaio a Giugno le acque del Nilo presso Assuan vengono alimentate sopratutto dal Nilo Bianco che ha una portata abbastanza regolare durante tutto l'anno. Nei periodi di piena, invece, la portata del Nilo dipende sopprattutto dal contributo del Nilo Azzurro e dell'Atbara mentre le sostanze fertilizzanti sono portate dai torrenti etiopici che con l'impetuasità delle loro acque erodono i massicci vulcanici asportando le sostanze fertilizzanti.
L'effetto "dell'Onda Verde" ha un'origine ancora sconosciuta, ma si pensa sia dovuto ad alghe microscopiche che proliferano grazie condizioni chimiche particolari.
A causa di queste piene il livello dell'acqua aumentava di parecchi metri, presso Assuan aumentava di 9 metri, e solo i villaggi costruiti su delle alture non subivano danni. L'acqua del Nilo lasciava nei campi una grande riserva d'acqua oltre ad uno strato di limo molto ricco di sostanze fertilizzanti.

Da circa un secolo si sono fatte varie opere di canalizzazione e sbarramento che hanno regolarizzato queste piene e hanno permesso una più regolare irrigazione delle coltivazioni. La più famosa di queste opere è la diga alta di Assuan completata nel 1970 è una delle più grandi al mondo, e la sua costruzione ha creato il grande lago Nasser che si estende per 5250 Km² un terzo del quale si trova in territorio sudanese.
Altre dighe sono state costruite a Esna, Asyut e nel Delta.



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La scoperta delle sorgenti del Nilo

Le sorgenti del Nilo sono state per lungo tempo sconosciute,già Nerone inviò due centurioni alla loro scoperta ma furono fermati della paludi dei sudd. Durante il medioevo non furono fatti progressi nella conoscienza sul corso del fiume, solo nel 1613, padre Páez identificò il Nilo Azzurro che venne considerato il ramo principale. Nel secolo successivo vennero fatte altre spedizioni, nel 1761 da Niebuhr e nel 1769 da J. Bruce.
Solo nel XIX secolo iniziarono spedizioni sistematiche partendo dai fratelli francesi d'Abbadie tra il 1837 e 1844, la spedizione egiziana comandata da Selim pascià nel 1840 rilevò il Nilo fino a Gondokoro, a 5º latitudine Nord.
Successivamente altre spedizioni studiarono il corso del Nilo sia partendo da Nord e seguendo il corso del fiume (il francese Brun-Rollet nel 1855; l'inglese Petherick tra il 1848 e 1863; il francese Lejean tra il 1859 e 1861; per finire con il tedesco T. Heuglin tra il 1856 e 1876) sia da Sud-Est. Seguirono questa strada prima l'italiano Miani e poi gli inglesi Burton, Speke e Grant. Gli ultimi 2 nel 1860 scoprirono la defluenza del Nilo dal lago Vittoria. Risalendola arrivarono fino a Gondokoro dove incontrarono il connazionale S. W. Baker che proveniva da Khartum. Quest'ultimo raggiunse nel 1864 il lago Alberto completando l'esplorazione del corso del fiume.
Solo alla fine del secolo venne fatta la definitiva scoperta delle sorgenti del Nilo da parte dell'austriaco Baumann che , che risalendo il Nilo-Kagera sino al Luvironza-Ruvuvu, arrivò alla vera sorgente del Nilo.

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MessaggioTitolo: La scoperta del secolo    Gli antichi egizi EmptyLun Gen 14, 2013 10:43 pm


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La scoperta del secolo

Howard Carter e la scoperta della tomba di Tutankhamon

Howard Carter - lo scopri­ore della tomba di Tutankhamon - arrivò al Cairo nel 1891: aveva diciassette anni. Era stato incaricato dall'Egyptian Exploration Fund di copiare testi e scene egiziane. Era un disegnatore bravissimo e fu subito notato. Il grande egittologo William Flinders Petrie gli propose di lavorare con lui agli scavi di Tebe: doveva copiare le scene e le iscrizioni del tem­pio funerario a terrazze della regina Hatshepsut.

Così Carter risalì per la prima volta il Nilo fino a Luxor, vide le oasi di palme, i villaggi di casette in mattoni crudi, le carovane di cammelli, le distese desertiche. Per sei anni visse accampato in una tenda, mangiò riso, lenticchie e pane di mais, ebbe come mezzo di trasporto un asinelio. Ma quei sei anni furono decisivi per la sua vita: l'esperienza di lavoro con Petrie, il primo egittologo a lavorare con metodi scientifici, fece di lui un vero archeologo. Nel 1899 Gaston Maspéro, che dirigeva il Servizio delle Antichità, lo assunse come ispettore-capo dei monumenti dell'Alto Egitto: in pratica a 25 anni, era il Soprintendente di quei musei all'aria aperta che sono Karnak, Luxor, la Valle dei Re, Deir el Bahari. E di questo periodo una lettera in cui descrive come immagina la Valle dei Re ai tempi della decadenza: “Una valle abbandonata abitata dagli spiriti, con gallerie a forma di caverne, deserte e saccheggiate, con l’ingresso spalancato, dimora di volpi, di civette e di pipistrelli. Ma anche con le tombe depredate, abbandonate, distrutte, la valle aveva il suo fascino, era sempre la Valle dei Re. Agli inizi dell’era cristiana si popolò di eremiti: al posto dello splendore e del fasto regale, una dimessa povertà. La preziosa dimora del re era diventata l’angusta cella di un eremita”.

Caccia al tesoro – A Luxor Carter conobbe il miliardario americano Theodore Davis, che usava svernare in Egitto. Era un ex uomo di affari che, sull’esempio di Schliermann, dopo aver guadagnato moltissimo, si era dato all’archeologia. Aveva avuto una licenza di scavo da Maspéro e ora il suo unico fine, il desiderio della sua vita, era quello di trovare una tomba piena d’oro. E a questo scopo faceva buchi dappertutto.

Carter lo convinse a concentrare le sue forze su una sola zona, nella Valle dei Re: lui stesso lo avrebbe assistito. Davis accettò. I due insieme trovarono una tomba: era quella di Tutmosi IV, ma era stata completamente saccheggiata. C’erano solo il coperchio del sarcofago (su cui era scritto il nome del re) e, in piedi contro il muro, denudata, la mummia con la pancia squarciata.

Ma la brillante carriera del giovane Carter come ispettore delle Antichità fu improvvisamente stroncata da un incidente. Un giorno, durante uno scavo in cui lavoravano Petrie, sua moglie e tre giovani archeologhe, entrarono alcuni Francesi ubriachi che tentarono di allungare le mani sulle donne. Petrie mandò a chiamare Carter che arrivò con le guardie, e poiché i Francesi insistevano, una di esse assestò un pugno a uno di loro. Il gruppo batté in ritirata. Di quest’episodio la cosa giudicata grave fu che un “indigeno” avesse dato un pugno a un Europeo. L’ambasciata francese esigeva le scuse di Carter, che rifiutò. E, poiché le Antichità erano competenza dei Francesi, dovette licenziarsi. Carter, rimasto senza un soldo, fu ospitato da uno dei suoi capimastri di Luxor e visse vendendo acquerelli ai turisti del Winster Palace. E qui, nel 1907, fece l’incontro della sua vita.


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Nobile, dandy e giramondo – Al Winter Palace Hotel alloggiava George Edward Molyneaux Herbert, quinto conte di Carnarvon. Questi era uno di quei personaggi che si potevano incontrare solo in Inghilterra. Ricchissimo, dotato di senso dell’avventura e di una buona dose di umorismo, sportivo e leale, aveva vissuto viaggiando per il mondo, andando a caccia e a pesca. A 37 anni, mentre guidava la sua macchina, aveva avuto un gravissimo incidente, che lo aveva tenuto sospeso tra la vita e la morte per una settimana. E quando, dopo una lunga convalescenza, si riprese, gli rimase una forte difficoltà respiratoria, che dovette accompagnarlo per tutta la vita: d’inverno il clima inglese non faceva più per lui. I medici gli consigliarono di svernare a Luxor, che nella seconda metà del secolo godeva di fama internazio­nale come luogo di cura per il suo clima mite e secco (già in epoca romana il medico Celso spediva a Tebe i malati di petto), ed era il soggiorno invernale preferito degli Inglesi ricchi.

Carnarvon arrivò a Luxor nel 1907, cominciò a interessarsi degli scavi che le missioni di vari Paesi europei vi conducevano e fini per appassionarvisi. Ottenne da Maspéro una licenza di scavo ma, dopo pochi mesi, resosi conto della sua inadeguatezza, chiese a Maspéro di consigliargli un buon archeologo. Maspéro gli mandò Carter.

Magri risultati - I due per sette anni scavarono in quindici località diverse della zona tebana, sulla riva destra e su quella sinistra, e qualcosa trovarono: una tomba (quella di Amenhotep I, uno dei faraoni trasferiti) e una stele (la Tavoletta di Carnarvon). Risultato magro. Il fatto è che Carter aveva in mente una sua idea, ma non poteva verificarla, perché la zona che lo interessava apparteneva a Davis. Era Davis che aveva la licenza per scavare nella Valle dei Re ed era stato proprio lui, Carter, a suggerirgliela anni prima. Nel 1914, Davis, ormai vecchio e deluso, rinunciò. Gli subentrò Carnarvon, che firmò un contratto di scavo valido fino al novembre del 1923.

Una clausola del contratto stabiliva che se lo scavatore avesse trovato una tomba «non visitata dai ladri», tutto il suo contenuto sarebbe passato in proprietà del Museo egiziano (a quei tempi era normale spartire con lo scavatore gli oggetti trovati). Maspéro sorrise e commentò che quella clausola era superflua, perché nella valle, di tombe intatte, non ce n'erano. In effetti non ne era mai stata trovata una. L'opinione generale era, anzi, che nella Valle non ci fossero più tombe da scoprire, non tanto perché un secolo prima Giovan Battista Belzoni, che aveva trovato quattro tombe importanti, assicurava di aver rovistato dappertutto, quanto perché una missione tedesca aveva teutonicamente setacciato la Valle metro per metro e il suo autorevole capo, l'archeologo Karl Lepsius, aveva dichiarato che in essa non c'era più nulla da scavare. Invece, dal momento in cui Carnarvon firmò il contratto, Carter si mise a cercare non una tomba ma «la» tomba, quella di Tutankhamon. Su quali indizi? In primo luogo per una considerazione molto semplice: la Valle conteneva tombe di faraoni della XVIII dinastia. Era dunque il luogo prescelto dalla dinastia per seppellire i propri re; di conseguenza, tutti i sovrani di quella dinastia dovevano essere li, e se qualcuno mancava all'appello bisognava cercarlo.

All'appello, infatti, ne mancavano due, Amenhotep IV e Tutankhamon (fino a pochi anni prima mancava anche Horemheb; lo aveva trovato Davis). Amenhotep IV era inutile cercarlo, perché, ribellatosi all'antica fede, aveva abbandonato il dio Amon per il dio Aton (il Sole), aveva cambiato il suo nome in Akhenaton e, rompendo i ponti con Tebe e con i suoi sacerdoti, aveva trasferito la capitale a El Amarna. Come re eretico e come figlio che aveva rinnegato le credenze dei padri, non era pensabile che nella morte fosse stato riunito ai suoi antenati. Ma per Tutankhamon, figlio di Akhenaton, le cose stavano diversamente. Quando Carter era arrivato in Egitto, di questo faraone si sapeva pochissimo.

Il primo nome del sovrano - Ma negli anni in cui lavorava con Petrie, e insieme avevano scavato a El Amarna, Petrie aveva scoperto che il primo, vero nome di Tutankhamon era stato Tutankhaton. Cosi lo chiamavano a El Amarna. Se aveva cambiato nome, abiurando la fede del padre e rientrando nella religione di Amon, questo significava che era stato riassorbito e accettato in pieno da Tebe e che, dunque, era morto ed era stato sepolto a Tebe, nella Valle dei Re, insieme a quelli della sua dinastia. Inoltre, negli anni in cui Carter vendeva acquarelli nell'atrio del Winter Palace, l'egittologo francese Georges Legrain aveva trovato a Karnak una stele di Tutankhamon sepolta sotto molti metri di sabbia. C'era scritto che Tutankhamon era salito al trono quando «il Paese era in preda al male» e gli dèi erano adirati con l'Egitto; che il re aveva «eretto una statua d'oro ad Amon» e aveva «moltiplicato le ricchezze dei templi con oro, argento, lapislazzuli, malachite, bisso, lino», e che Amon si era rappacificato con l'Egitto (però nonostante tutte queste dichiarazioni di fede in Amon, sulla stele erano raffigurati i raggi del disco solare, cioè Aton, il Sole, il dio di suo padre l'eretico).

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E ancora: negli ultimi anni in cui scavava nella Valle dei Re, Davis aveva scoperto diversi oggetti che portavano scritto il nome di Tutankhamon: un vaso in maiolica blu, una serie di lamine in oro staccate da un carro su cui era raffigurato Tutankhamon a caccia e con la giovanissima moglie, e una ghirlanda di foglie e fiori legata da un pezzo di lino su cui si era potuto leggere «anno di Tutankhamon». Erano indubbiamente oggetti del funerale di Tutankhamon. Davis scavò freneticamente, sicuro di essere vicino alla tomba. E una tomba la trovò, ma era quella di Horemheb, come al solito saccheggiata (fu dopo questa esperienza che, perduta ogni speranza di trovare una tomba piena d'oro, Davis si arrese e rinunciò alla sua licenza). Ma c'era ancora un altro indizio: nelle antiche cronache giudiziarie, così come nei testi che parlano dei trasferimenti delle mummie dei re da un sepolcro all'altro, la tomba di Tutankhamon non era mai citata, né tra quelle saccheggiate, né tra quelle ancora intatte, dove i sacerdoti portavano in salvo le mummie. Riflettendo sul fatto che Legrain aveva trovato la stele di Tutankhamon sotto molti metri di sabbia e che era sfuggita anche agli antichi, l'ipotesi che Carter aveva in mente era che, per qualche ragione (un terremoto, un'alluvione), pochi anni dopo la morte del giovane faraone, il luogo in cui era stato sepolto fosse stato sconvolto, e la tomba fosse stata dimenticata.

Sopralluogo notturno - L'inizio dello scavo Carnarvon-Carter non fu brillante. Scoppiò la guerra mondiale e Carnarvon se ne tornò in Inghilterra. In quegli anni di sosta forzata la cosa più clamorosa che capitò a Carter fu che a Kurna due bande rivali si diedero battaglia, perché avevano scoperto la stessa tomba e gli fu chiesto, anche se non era più al servizio delle Antichità, di andare sul posto a controllare. Di notte, raccolti alcuni operai del suo cantiere, Carter raggiunse il luogo della tomba contesa. Arrivò sulla cima di una roccia a strapiombo, senti delle voci che venivano dal basso, vide una corda che pendeva nel vuoto. Sporgendosi, poté vedere il riflesso di una luce a circa quaranta metri sotto di lui (e di li alla Valle ce n'erano altri settanta). Tagliò la corda dei ladri, fissò saldamente a una roccia quella che gli operai si erano portata appresso e si calò fino all'apertura della rupe. Dallo spavento ai ladri caddero di mano gli arnesi. Carter offrì loro la scelta: o risalire con la sua corda o rimanere dov'erano. Quelli non fecero storie, e Carter non li denunciò.

L'apertura era un passaggio che raggiungeva una scala che scendeva in una camera funeraria dove c'era solo un sarcofago vuoto, su cui era scritto il nome di Hatshepsut. Nelle settimane successive fu organizzato il recupero, e poiché far andare su e giù gli operai uno per volta con la corda era poco pratico e molto pericoloso, Carter costruì una specie di montacarico, un ascensore da vertigini. Lui, a ogni buon conto, preferì sempre farsi calare e tirare su dentro una rete.

Alloggi più modesti - La guerra finì, Carnarvon ritornò a Luxor e si adeguò allo stile di vita di Carter: non alloggiava più al Winter Palace, viveva in una casetta color terra — era fatta di argilla e di sabbia compatta — sormontata da due cupolette, su una collinetta all'imbocco della Valle dei Re. Carnarvon si alzava all'alba e a dorso d'asino andava sullo scavo dove si incontrava con Carter, che abitava in una casetta a meno di un chilometro dalla sua, più piccola (aveva una sola cupoletta), ma altrettanto tetra. I due restavano sullo scavo fino a poco prima del tramonto. Le stagioni delle campagne di scavo andavano da ottobre ad aprile. Poi Carnarvon se ne tornava nel suo castello di Highclere in Inghilterra dove, ogni anno a settembre, lo raggiungeva Carter. Insieme discutevano i risultati dell'ultima campagna di scavo e programmavano la successiva.

I risultati non erano mai stati entusiasmanti anche perché, a differenza dei suoi predecessori, che avevano gareggiato coi ladri nel mettere sottosopra la Valle riempiendola di buche e di mucchi di detriti, Carter avanzava con metodo. Scavava a tappeto: su una mappa aveva diviso la zona prescelta nella Valle in tanti rettangoli, che esplorava sistematicamente e segnava con una «X» ogni rettangolo setacciato. Nel settembre del 1922, quando come sempre raggiunse Carnarvon nel suo castello, gli mancava una sola «X». Ma lo attendeva una brutta sorpresa: dopo tanti anni di fatiche e tanto denaro speso, Carnarvon aveva perso la fiducia. Non se la sentiva più di continuare. Si era convinto che aveva ragione Maspéro: nella Valle non c'erano tombe intatte. Carter perorò con calore la sua causa, gli elencò tutte le ragioni che lo rendevano certo che la tomba di Tutankhamon fosse dove la stavano cercando e, infine, una cosa la ottenne. Carnarvon avrebbe finanziato ancora per un anno, fino allo scadere della licenza (nel 1923), la campagna di scavo. Lui però non sarebbe andato a scavare.

Alla fine di ottobre del 1923 Carter era di nuovo a Luxor, in piena attività organizzativa. Gli scavi cominciarono il 3 novembre. Carter si trasferì nella casetta di Carnarvon, nella sua si installò il nuovo assistente, il giovane Arthur Callender. Il programma di scavo prevedeva l’esplorazione dell’ultimo rettangolo che, in realtà, a causa dei dislivelli del suolo, era piuttosto un triangolo situato davanti all’entrata della tomba di Ramesse VI, un faraone vissuto intorno al 1180 a.C., quasi due secoli dopo Tutankhamon. Dalla sabbia emergevano i resti delle casupole degli operai che avevano costruito quella tomba: bisognava liberarli dalla sabbia e scendere fino al livello della roccia.

Paradossalmente, la scoperta fu di una rapidità fulminea. La prima giornata passò come al solito: gli uomini scavavano la sabbia attorno ai muretti delle casette, ne riempivano le ceste e andavano a scaricarle un centinaio di metri più in là. Ma già al mattino del giorno dopo, quando Carter giunse sullo scavo, il lavoro si era fermato, tutti lo stavano aspettando: c’era una novità.

Gli operai erano arrivati alla roccia e sotto una delle casette era apparso un gradino. Anche Carter e Callender si misero a scavare e, uno dopo l’altro, apparvero sedici scalini e la parte superiore di una porta, chiusa, sigillata, murata con la calcina. I sigilli erano quelli dei sacerdoti che custodivano la necropoli. Nella porta Carter praticò un buco, grande abbastanza per introdurvi una lampada elettrica. Vide un corridoio pieno di macerie in fondo al quale c’era un’altra porta, anche questa murata.

Si può immaginare se Carter avesse voglia di sapere subito che cosa c'era dietro quella seconda porta. Invece, tra lo sgomento dei presenti, diede ordine di ricoprire la scala, lasciò Callender armato di un fucile a guardia della tomba, e corse a spedire un telegramma a Carnarvon: «Fatto finalmente straordinaria scoperta nella Valle. Grandiosa tomba con sigilli intatti. Ricoperto tutto fino sua venuta. Congratulazioni». Gli arrivarono due risposte: «Vengo se possibile subito» e «Penso arrivare Alessandria giorno 20». Per Carter quelli furono giorni tremendi, giorni di attesa snervante. Non riuscì né a mangiare né a dormire. Ma ora di una cosa poteva dirsi sicuro: a partire dal 1180 a.C. quando era stata costruita quella di Ramesse, la tomba che stava sotto le capanne degli operai non era mai stata saccheggiata.

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Quindici giorni d'insonnia - II 20 novembre andò a prendere Carnarvon al porto di Alessandria e il 24 la scala era di nuovo sgombera e la porta murata era stata completamente liberata da tutti i detriti, e Carter vide che, oltre a quello dei sacerdoti, c'era un altro sigillo: quello di Tutankhamon! Nel raccontare di questo momento in cui tutte le sue previsioni venivano confermate, Carter si rammaricava: «Il sigillo di Tutankhamon stava a non più di un palmo dalla superficie che aveva liberato il 4 novembre. Qualche colpo di piccone in più e mi sarei risparmiato quindici giorni d'insonnia, quindici giorni vissuti nell'incertezza». Però gli arrivò anche una doccia fredda: la zona della porta dove c'era il sigillo dei sacerdoti era stata rifatta: la tomba era stata violata dai ladri. I sacerdoti avevano riparato il danno e sigillato di nuovo la porta. La porta fu abbattuta e il corridoio liberato dai detriti. Ora Carter - era il 2 novembre - si trovava di fronte alla seconda porta: anch'essa portava il sigillo di Tutankhamon e quel­lo dei sacerdoti. Anche qui erano passati i ladri.

Carter fece un buco nella porta, ci passò una spranga di ferro: la spranga non incontrò ostacoli. Buon segno: li dietro non c'erano macerie. Accese una candela e la fece passare attraverso il buco. La fiamma tre­molò ma non si spense: non c'erano gas velenosi. Carter allargò il buco, ci passò il braccio che reggeva la torcia elettrica, poi c’infilò la testa e rimase esterrefatto. Impaziente Carnarvon chiese: “Beh, che vede? E Carter: “Cose meravigliose”: Ma poiché non si muoveva di là Carnarvon protestò: “Faccia dare un’occhiata anche a me”. Carter fu letteralmente estratto dal buco come un turacciolo dalla bottiglia e, uno dopo l’altro tutti infilarono la testa nel buco.

Vedevano statue di uomini e di animali, vasi di alabastro, cofanetti in avorio e in ebano, mobili dorati tempestati di pietre preziose, letti in oro, carri in oro, un trono intarsiato di pietre preziose, due statue nere con gonnellini in oro. Oro dappertutto. Ma gli oggetti erano accatastati alla rinfusa in un gran disordine. Dopo il passaggio dei ladri i sacerdoti avevano lasciato tutto così com’era, si erano limitati a risigillare la porta.

Nei giorni successivi la porta fu abbattuta e tutti poterono vedere da vicino il tesoro. Carter era così frastornato che passarono alcune ore prima che si rendesse conto che nella stanza mancava il sarcofago con la mummia. Si mise a esaminare le pareti e vide che le due statue nere con il gonnellino in oro erano due sentinelle poste una di fronte all’altra, che facevano la guardia a una porta murata. Là c’era la camera funeraria. Anche questa volta Carter resistete alla tentazione: prima bisognava mettere ordine nella prima stanza, l’anticamera. Ci vollero dieci settimane per fotografare, disegnare, rimuovere ogni pezzo.

Il 16 febbraio l’anticamera era del tutto sgombra e davanti al muro da abbattere era stato alzato un ponteggio. Carter fece un buco nella porta murata, guardò dentro e annunciò: “Vedo un muro d’oro”. Quando la porta fu abbattuta si vide che non era un uro, era un sarcofago in legno dorato a forma di tempietto, un catafalco gigantesco che occupava quasi tutta la camera funeraria e quasi toccava il soffitto. Dalla camera si passava in un’altra stanza, non separata da alcuna porta, che conteneva i vasi delle visce­re del re, statuette in oro di dèi e dee, carri in oro, cofanetti con pietre preziose e con cibo per il re. Carter vi diede solo un'occhiata e fece sbarrare la stanza con assi di legno: ogni cosa a suo tempo.

Il giorno della verità - II 26 febbraio si chiuse la campagna di scavo 1922-23. Carter fece installare un cancello di ferro davanti alla porta della tomba e passò i mesi successivi a catalogare, imballare e spedire al Museo del Cairo gli oggetti trovati nell'anticamera. Ma intanto la placida Luxor si era trasformata in un paese in fiera, i battelli scaricavano turisti arrivati da tutto il mondo e, con sgomento di Carter, centinaia di giornalisti e fotografi bivaccavano da mesi nella Valle per vedere passare i «pezzi» che venivano fuori dall'anticamera. I giornali di tutto il mondo avevano parlato della scoperta e se l'argomento che più appassionava era quanti miliardi valesse l'oro che stava venendo fuori dalla «caverna di Ali Babà», era pur vero che tutto il mondo era interessato a sapere se Tutankhamon sarebbe o no venuto fuori da quella tomba. E venne il giorno della verità: il 29 novembre 1923 si cominciò a smontare il catafalco, che era formato di quattro cassoni infilati l'uno dentro l'altro e forniti di porte (per smontarli ci vollero 84 giorni). Quello esterno, che era largo 3 m (il più interno era 2,90), non aveva sigilli. Sulla porta c'era scritto: «Tutankhamon per sempre nelle regioni del silenzio». Il secondo cassone invece era circondato da una corda con i sigilli, questa volta intatti. Qui i ladri non erano arrivati. Ora non c'era più dubbio: dal momento in cui era stato seppellito, nessuno aveva toccato Tutankhamon. Sulla porta del secondo cassone c'era scritto: «Iside ti dice: Sono venuta per proteggerti. Possa tu alzare la testa e vedere il dio Ra». La scritta del terzo cassone diceva: «Ti ho concesso l'eternità. Tu sei vivo per sempre» e, sulla quarta porta, «Ho visto il passato e conosco il futuro». Rimossi i cassoni apparve un enorme sarcofago in quarzite col coperchio in porfido. A questo punto fu necessaria una pausa per esaminare i cassoni e per preparare il marchingegno che avrebbe sollevato il coperchio del sarcofago.

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Il cobra e l'avvoltoio - L'apertura del sarcofago avvenne il 12 febbraio del 1924. Il compito di manovrare carrucole e pulegge fu affidato a Callender. Le corde si tesero, il coperchio scricchiolò e cominciò a salire. Quando fu a circa mezzo metro Carter fece segno di fermarsi e guardò nel sarcofago. Si vedeva un lenzuolo di lino bianco. Tiratolo via apparve l'immagine tutta d'oro di Tutankhamon su cui era stata deposta pietosamente una ghirlanda di fiori. Aveva il volto coperto da una maschera in oro brunito che copriva anche le spalle e il petto. Sulla fronte portava il cobra e l'avvoltoio (simboli del Basso e dell'Alto Egitto), gli occhi sembravano guardare fisso davanti a sé. Le braccia erano incrociate sul petto: nella mano destra teneva il flagello, nella sinistra il bastone di comando.

Fu un momento molto emozionante per Carter, che sentì moltissimo la mancanza di Carnarvon. Era morto mesi prima in seguito a un'infezione alla guancia provocatagli dalla puntura di un insetto. Anche Gaston Maspéro era morto. Lo aveva sostituito nella direzione delle Antichità un gesuita, padre Lacau il quale, per compiacere il governo egiziano, provocò un incidente che spinse Carter a chiudere improvvisamente - il giorno stesso in cui aveva sollevato il coperchio del sarcofago - la tomba di Tutankhamon. Carter si mise le chiavi in tasca e se ne andò infuriato lasciando Tutankhamon con il suo coperchio sospeso a mezz'aria. Era successo che Lacau, in qualità di direttore delle Antichità, aveva mandato a Carter l'ordine perentorio di non far entrare donne nella tomba. Sosteneva che era una questione di rispetto per le usanze religiose locali. La motivazione del divieto era evidentemente pretestuosa: le donne che venivano a visitare la tomba erano quasi esclusivamente europee, americane o giapponesi. Si cercava la rissa: in ballo c'era la questione della famosa clausola del contratto secondo cui solo le tombe «non visitate dai ladri» diventavano proprietà dello Stato egiziano. In effetti i ladri erano entrati nella tomba. Carter, da archeologo, era sempre stato del parere che gli oggetti di Tutankhamon non dovessero andare dispersi e che tutto dovesse essere raccolto nel Museo del Cairo. Ma non la pensavano così gli eredi di Carnarvon, i quali esigevano che il contratto venisse rispettato. E Carter era il rappresentante dei Carnarvon: per questo motivo si voleva allontanarlo dalla tomba.

Lo scopritore esautorato - Lacau gli intimò di consegnargli le chiavi e, al rifiuto di Carter, si presentò davanti alla tomba accompagnato da poliziotti armati e da una squadra di operai. Fece limare la serratura e tolse quella spada di Damocle dalla testa di Tutankhamon: spostò il coperchio da un lato e lo fece atterrare dolcemente al suolo. Poi contattò egittologi europei e americani per sostituire Carter, ma ne ebbe un rifiuto cosi categorico e indignato che si dovette arrivare a un compromesso. A nome degli eredi di Carnarvon, Carter firmò una dichiarazione con la quale rinunciava a ogni pretesa sugli oggetti ritrovati nella tomba; e il governo egiziano s'impegnava a non interferire nel lavoro di Carter, che tornò nella sua casetta nella valle, accolto con grande calore da tutti gli operai. La tomba fu riaperta il 25 gennaio del 1925. In vista dell'apparizione della mummia, nella camera sepolcrale era stato installato un vero e proprio laboratorio e per salvaguardare le bare era stata costruita un'apposita impalcatura. Quando, in ottobre, il coperchio con la figura in oro di Tutankhamon fu sollevato di nuovo, i presenti videro un lenzuolo in lino e una ghirlanda di fiori, e di nuovo, tolto il lenzuolo, apparve il coperchio di una bara, antropoide come la prima, con la figura di Tutankhamon con testa e spalle chiuse in una maschera d'oro. La bara era bellissima: era in legno, rivestito da una lamina in oro; su questa, sottili nervature formavano cellette riempite di vetri colorati (una specie di cloisonné). Questa seconda bara però presentava segni di umidità: c'era da temere per le condizioni della mummia. L'11 novembre fu aperto il coperchio della seconda bara e, questa volta, lo spettacolo superò ogni aspettativa: il re aveva la solita maschera in oro, ma la bara, lunga 1,87 m, era tutta in oro massiccio. Secondo le intenzioni dei sacerdoti lo splendore eterno dell'oro avrebbe conferito immortalità alla mummia del faraone.

Nella bara d'oro c'era la mummia di Tutankhamon: aveva in testa un diadema in oro, sulle braccia 13 braccialetti in oro, alle dita delle mani 13 anelli in oro, al fianco un pugnale con manico in oro, attorno ai fianchi un gonnellino in oro, ai piedi sandali in oro e intorno a ciascun dito una guaina in oro. La mummia fu sbendata: aveva gli occhi aperti e ciglia intatte, lunghe, il naso sottile e leggermente storto. Sulla guancia sinistra presentava una piccola ferita. Ma per il resto era in pessimo stato. I sacerdoti che pure l'avevano protetta con le bende in lino, con tre bare e quattro cassoni, che l'avevano coperta d'oro per conservarla per l'eternità, avevano esagerato con oli e unguenti, che avevano formato una sostanza resinosa (dopo circa 3500 anni emanava ancora un odore dolciastro). Questa, per combustione spontanea, aveva bruciato le fasce di lino e aveva incollato il povero Tutankhamon al fondo della sua bara d'oro. Ci vollero sette giorni di lavoro per staccarlo.

La camera del tesoro - Fu poi esplorata la «camera del tesoro», quella che si apriva sulla camera funeraria e che Carter, per autodisciplina, aveva fatto sbarrare con assi di legno. Conteneva un baldacchino dorato, sotto il quale c'era un cassone in alabastro diviso in quattro scompartimenti. In ognuno di questi c'era un piccolo sarcofago in oro in cui erano stati riposti, rispettivamente, il fegato, i polmoni, lo stomaco e gli intestini del faraone. Attorno al cassone quattro dee facevano la guardia. Nella stanza c'erano due minuscole bare con le mummie di due neonati, certamente figli di Tutankhamon. C'erano molte statuette, in ceramica e in legno, che rappresentavano servi, soldati, funzionari e c'era un'intera flottiglia di piccole barche solari, con cui il Ka (un aspetto della personalità, il «doppio» della persona vivente e che diventa indipendente dopo la morte) di Tutankhamon durante il giorno navigava nel cielo assieme al Sole. Ma le stanze non erano ancora finite: ce n'era un'altra che dava sull’anticamera, individuata il giorno stesso in cui Carter e Carnarvon erano entrati nella tomba. Quando stavano nell'anticamera, zeppa come la bottega di un rigattiere, l'aveva vista per caso un operaio mentre strisciava tra una bara e un let­to. Era una specie di ripostiglio: c'erano telai di letto, armi, scacchiere, giocattoli.

Carter impiegò nove anni per catalogare tutti gli oggetti (più di duemila) che erano nella tomba, e che, tuttora, nel Museo del Cairo portano i numeri da lui assegnati.

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GLI OGGETTI DEL TESORO - Incredibile ma vero: seppure celebre in tutto il mondo, il tesoro di Tutankhamon non è stato ancora studiato attentamente dagli archeologi. Che abbia prevalso la superstizione?

Ancora oggi gli appunti e gli studi di Carter, conservati al Griffith Institute di Oxford, costituiscono la documentazione più completa. Ecco l'elenco dei principali oggetti del tesoro di Tutankhamon, conservati al Museo del Cairo:

  • Oggetti connessi alla mummia

    • quattro cappelle di legno
    • sarcofago di quarzite
    • sarcofago esterno e sarcofago mediano di legno
    • sarcofago interno d'oro
    • maschera e insegne d'oro
    • diadema d'oro
    • pugnale d'oro
    • baldacchino dei vasi canopi
    • scrigno dei vasi canopi Corredo funerario
    • statuette del re
    • carri smontati
    • divani e letti
    • poggiatesta
    • trono di legno dorato
    • sedile e sgabelli
    • scatole
    • vasi e lampade
    • archi, faretre e scudi
    • bastoni, fruste e scettri
    • indumenti
    • tavolozze per scrivere
    • tavolieri da gioco
    • gioielli
    • flabelli
    • strumenti musicali
    • modelli di imbarcazioni
    • cappelle di legno e oro
    • statuette di dèi
    • ushabtì (statuine funerarie).



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Un ritratto che abbaglia - La maschera funeraria di Tutankhamon è l'oggetto più celebre del corredo con il quale il faraone venne sepolto. Essa proteggeva la testa della mummia del sovrano, scendendo a lambire le spalle, in corrispondenza delle quali, cosi come nella parte posteriore, reca incise formule magiche che auspicano la protezione del defunto. La maschera e stata modellata in oro, combinato con vari tipi di pietre preziose e dure per la definizione delle varie parti: gli occhi, per esempio, sono fatti con ossidiana e quarzo, ai quali si aggiunge il lapislazzulo per il contorno e per le sopracciglia; lapislazzuli, con quarzo e pasta vitrea, sono impiegati anche per il grande collare.


La storia e il mito - La dinastia di cui Tutankhamon fu l'ultimo discendente (gli successero ancora due faraoni, un sacerdote e un generale, ma non facevano parte della famiglia) aveva dato all'Egitto secoli di gloria, aveva liberato il Paese dagli invasori Hyksos e lo aveva trasformato da regno in un impero che si estendeva dalla Siria e dalle rive dell'Eufrate fino alla Nubia (Sudan). I suoi più antichi antenati erano stati uomini di guerra: a quel tempo il faraone aveva il ruolo di capo invincibile, di guerriero dalle gesta leggendarie. La stele che Carnarvon e Carter avevano trovato nei primi anni del loro sodalizio, la Tavoletta di Carnarvon, si riferiva agli inizi della dinastia. Racconta che il principe di Tebe, Ramose, consulta la corte sul da farsi col nemico che calpesta il suolo della patria. La corte è contraria a lanciarsi in un'avventura dall'esito incerto, ma il faraone decide per la guerra e, con l'aiuto del dio di Tebe, Amori, consegue le prime vittorie. A Kamose successe il fratello Amose, che scacciò definitivamente gli Hyksos dall'Egitto. Fin qui era stata una guerra di liberazione, ma, sull'onda della riscossa, il terzo faraone, Tutmosi, sconfinò in Asia, e penetrò nel Vicino Oriente fino alle vallate del Tigri e dell'Eufrate; i suoi successori arrivarono in Siria e conquistarono la Nubia. Ai tempi di Amenhotep III, nonno di Tutankhamon, le guerre di conquista sono finite e, con esse, l'epoca dei rudi guerrieri. Ora l'Egitto è ricco e potente come mai lo era stato prima, e il faraone è un colto gentiluomo e un abile diplomatico, che, sostenuto da un'amministrazione efficiente, sa sfruttare il suo impero: i re vinti formalmente continuano a regnare, il faraone si limita a esigerne i tributi.

Una nuova idea religiosa - In questo periodo le classi colte ripensano con spirito nuovo le antiche credenze religiose, e a Tebe (Karnak) si manifesta per la prima volta l'idea che l'universo sia retto da un Essere Supremo, fonte di vita e di amore, padre di tutte le creature, degli dèi, degli uomini, degli animali, delle piante, un dio unico che però non esclude gli altri dèi: ne è il padre. Questo dio si materializza nel Sole (Aton), di cui tutti sperimentano quotidianamente i benefici. A differenza degli altri dèi, Aton non viene raffigurato in aspetto umano né di animale: è il disco solare. Morto Amenhotep III e salito al trono Amenhotep IV, lo scontro tra il re, sostenitore di Aton, e i sacerdoti di Amon si fece durissimo. Il faraone difendeva la concezione che tutti gli uomini, di qualunque razza fossero e qualunque lingua parlassero, erano uguali, tutti creature di Dio: idea estranea all'Egitto, che aveva sempre considerato gli stranieri come barbari; difendeva quindi l'idea della fratellanza e dell'amore, ma era un fanatico e come tale si comportò.

I sacerdoti di Amon difendevano il dio di Tebe che aveva assecondato le fortune della dinastia, difendevano il suo culto, i suoi prestigiosi templi. Ma si opponevano ad Aton perché, adorando l'aspetto visibile dell'Ente Supremo, il faraone dava ai sudditi un'immagine facile da comprendere e annullava la delega a un clero specializzato, il solo in grado di fare da intermediario tra gli uomini e dio: Aton permetteva la percezione immediata del divino, Amon era il dio nascosto. In sostanza, i sacerdoti difendevano la vita comoda, i privilegi che fruttava loro la posizione di custodi della tradizione.

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Si arrivò ai ferri corti, i sacerdoti furono perseguitati, il re decise di abbandonare Tebe dove tutto proclamava la gloria di Amon e di fondare una nuova capitale, a El Amarna, nel Medio Egitto, che fu chiamata Akhet-Aton (Orizzonte di Aton). Qui egli costruì templi, palazzi, giardini, strade, qui egli si trasferì con la moglie Nefertiti, con la madre, la regina Tiy, e con le figlie. Qui nacque Tutankhamon (anzi Tutankhaton). Tra i personaggi della corte che seguirono il faraone nella nuova capitale c'era anche un sacerdote di Amon, entusiasta della nuova fede. Si chiamava Ay. Nella nuova capitale fiori un'arte del tutto svincolata dalla tradizione.

In letteratura non si scriveva più in egiziano antico, si usava la lingua parlata, quella che tutti capivano. La stessa rivoluzione si ebbe nelle arti figurative, il faraone non viene più ritratto come un essere perfetto, sempre giovane, un dio lontano, è rappresentato come è, con le sue bellezze e le sue bruttezze. Lui e sua moglie sono visti come esseri umani felici: il re tiene sulle ginocchia Nefertiti e la bacia, Nefertiti gli versa del vino, il faraone gioca con le figlie.

Il paradiso perduto - Ma proprio a El Amarna, dove il faraone sembra vivere in un paradiso terrestre, è stato trovato l'archivio reale, da cui apprendiamo che dalla Siria, dalla Palestina, dalla Fenicia venivano richieste disperate di aiuto e il re non se ne dava per inteso: una popolazione nomade, designata nelle lettere col nome di Kabiri (molto probabilmente sono gli Ebrei, le tribù d'Israele stanno facendo il loro ingresso in Palestina), avanza travolgendo tutte le cittadelle fortificate che incontra sulla sua strada. Cosi crollò il paradiso terrestre. Non sappiamo che cosa accadde di preciso: certo è che alla morte di Akhenaton la capitale del re eretico fu rasa al suolo. In mezzo a questa tempesta si trovò Tutankhamon, a cui fu imposto di trasferirsi a Tebe. Tutankhamon non abiurò la fede di Aton di sua iniziativa: aveva solo dodici anni ed era sotto la stretta tutela di Ay, un tempo entusiasta di Aton e ora tornato ad Amon. Il decreto con cui il giovanissimo sovrano fece atto di sottomissione ad Amon dice che durante il periodo di eresia i templi di Amon erano stati rasi al suolo e, essendo il dio irato, l'esercito era sempre stato sconfitto. Come atto di riparazione, ai templi vennero regalate enormi ricchezze, e il prestigio dei sacerdoti crebbe enormemente, soprattutto quello Ay, vero protagonista di tutta l'operazione. Come faraone Tutankhamon non ha storia. Come suo padre si fece rappresentare in scene affettuose con la moglie, che era sua sorellastra (figlia di Akhenaton e Nefertiti). Ma è difficile credere che in quei sei anni di regno fosse davvero felice e che avesse dimenticato il trauma dell'infanzia, quando era stato portato di forza a Tebe.

Tutankhamon mori a 18 anni nel 1323 a.C. Negli archivi hittiti è stata trovata una lettera della giovanissima vedova che implora il re dei Katti (Hittiti) di mandarle un principe perché possa sposarlo e innalzarlo al trono d'Egitto. Ma Ay aveva un progetto diverso: fu lui a organizzare il funerale di Tutankhamon; è rappresentato nell'affresco della camera funeraria. Lo fece seppellire in una tomba cosi piccola che poteva a stento contenere il sarcofago e le offerte funebri. Ay si godette per poco tempo il trono che aveva usurpato. (gli succedette un altro potente, capo dell'esercito e dell'amministrazione, Horemheb. Questi scacciò Ay e riorganizzò il Paese, che aveva molto risentito delle turbolenze di quel periodo. Horemheb ebbe il merito di frenare la caduta di un impero ormai vacillante e di lasciare alla XIX dinastia una solida situazione politica e sociale. Con la XIX dinastia la capitale fu trasferita nel Delta. Tebe rimase la città santa nella quale i faraoni si recavano nelle grandi solennità e dove si facevano seppellire.

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La maledizione del faraone - Lord Carnarvon morì nell'aprile del 1923 e, anche per il fatto che fu riportata una frase di Carter (forse mai pronunciata: «Questa tomba ci ha portato sfortuna»), subito la stampa collegò la sua morte a una vendetta di Tutankhamon. Così, quando la salma di Carnarvon fu caricata sulla nave che l'avrebbe riportata in Inghilterra, moltissimi viaggiatori annullarono la prenotazione nel timore di un naufragio, e in Inghilterra i collezionisti di antichità egiziane, presi dal panico, portarono montagne di casse di oggetti antichi - parti di mummie, statue in legno, porcellane, ecc. - al British Museum. L'anno dopo, quando dall'esame della mummia risultò che Tutankhamon aveva una piccola ferita sulla guancia, la credenza che il faraone avesse punito chi aveva violato la sua pace fu ulteriormente alimentata: anche Carnarvon era morto per la puntura di un insetto sulla guancia.

Coincidenze sospette - Il primo a dare forza di teoria alla «maledizione di Tutankhamon» fu un egittologo francese, un certo Mardrus, il quale citò, a sostegno della sua tesi, due coincidenze: subito dopo la scoperta della tomba, a Luxor era scoppiata un'epidemia che aveva fatto decine di vittime; quattro «Occidentali», direttamente o indirettamente collegati con la tomba, erano morti: un miliardario americano venuto a Luxor per visitare la tomba, si sentì male e morì; un amico di Carnarvon cadde dal suo yacht ancorato davanti a Luxor e affogò; un radiologo inglese, che avrebbe dovuto occuparsi della mummia di Tutankhamon, morì improvvisamente; un professore universitario appassionato di egittologia si suicidò (in Inghilterra), lasciando un biglietto in cui diceva che aveva portato via dal Cairo dei papiri e che sentiva su di sé «la ma­edizione egizia».

Nel 1929 la credenza nella maledizione di Tutankhamon aveva messo radici profonde e, nel frattempo, la lista delle vittime era aumentata: erano morti di colpo apoplettico in Francia due egittologi che avevano scavato nella Valle dei Re e uno stilista, la cui (tenue) connessione con Tutankhamon stava solo nel fatto che aveva allestito una collezione di abiti egittizzanti e che morì il giorno prima della sfilata dei suoi modelli. Tra i colpiti dalla maledizione c'erano anche due familiari di Carnarvon (ma tutti gli altri godevano di ottima salute): un fratellastro e Lady Elizabeth la quale - incredibile ma vero - era morta anche lei per una puntura d'insetto. E poi c'erano: un'Americana che si suicidò a Chicago al ritorno da un viaggio a Luxor, e alcune persone strettamente collegate a Carter: un Canadese, suo ospite, che mori il giorno dopo aver visitato la tomba; un egittologo del Metropolitan Museum che aveva collaborato con lui alla stesura di un libro su Tutankhamon; un suo assistente; un giovane che gli aveva fatto da segretario (il cui padre si suicidò per il dolore, ma durante il funerale il suo carro funebre si rovesciò e uccise un bambino di otto anni).

Anche un principe egiziano - La maledizione aveva fatto una vittima anche tra gli Egiziani: il principe Ali Fahmi Bey fu colpito da una pallottola nella Valle dei Re: era appena uscito dalla fatale tomba. Nel 1935 il numero delle vittime era salito a 21, e Carter riceveva montagne di lettere in cui gli venivano suggerite ricette per vincere la maledizione.

La storia di quella maledizione disturbava molto gli egittologi, in molti casi creava ostacoli di ordine psicologico con gli operai addetti agli scavi e, nel 1935, fu chiesto a Herbert Winlock, direttore del Metropolitan Museum e responsabile della sezione egiziana, d'intervenire con la sua autorità. In effetti, a partire da quell'anno, il timore per la maledizione subì una flessione. Winlock fece un ragionamento semplice, basato sui numeri. Nella scoperta della tomba c'erano stati tre momenti in cui la presenza di estranei nel sepolcro avrebbe potuto eccitare l'eventuale spirito di vendetta del morto. Nel 1922 all'apertura della tomba erano presenti 17 persone: nel 1935 ne erano morte sei; nel 1924, 22 persone avevano assistito all'apertura del sarcofago: nel 1935 ne risultavano morte due; nel 1925 allo sbendamento della mummia avevano partecipato 10 persone: erano tutte vive nel 1935. Inoltre, notava Winlock, di questi otto morti negli ultimi 13 anni, tutti, a cominciare da Carnarvon, erano genericamente malandati di salute, affetti da arteriosclerosi o cardiopatie e, comunque, persone anziane.

Da quel momento la maledizione di Tutankhamon cessò di essere un argomento alla moda, ma ebbe di nuovo un'impennata nel 1966, quando si stava organizzando per la prima volta, a Parigi, una mostra dei tesori di Tutankhamon. La figlia del direttore del Servizio delle Antichità, il giorno stesso in cui il padre aveva sottoscritto l'impegno per il trasporto in Francia del materiale, morì per un incidente. Il padre, Mohammed Ibrahim, turbato e convinto che la disgrazia fosse un segno di Tutankhamon, andò a parlare con alcuni funzionari dell'Istituto francese di Egittologia: voleva convincerli a dissuadere il loro governo dall'iniziativa, che avrebbe certamente portato disgrazia. I Francesi fecero appello al suo spirito scientifico: non poteva prendere sul serio delle sciocche superstizioni! Ibrahim, apparentemente persuaso, uscì dal portone dell'istituto, fu travolto da un'automobile e morì due giorni dopo per le ferite riportate.

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MessaggioTitolo: Akhenaton: il faraone “monoteista”   Gli antichi egizi EmptyGio Gen 17, 2013 12:07 am


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Akhenaton: il faraone “monoteista”


Amenhotep IV, noto anche come Akhenaton è stato l'ultimo importante sovrano della XVIII dinastia ed è stato uno dei primi "governanti" a trasformare radicalmente, anche se brevemente, la religione e la cultura del proprio paese.
Amenhotep IV, all'inizio del suo regno decise di dare una svolta alla religione e cominciò ad adorare un nuovo dio, Aton, che egli riteneva essere l'unico vero Dio e unico creatore dell'universo.
A differenza delle altre divinità egizie Aton non è rappresentato in forma antropomorfa ma sempre come un sole i cui raggi sono braccia terminanti con mani, alcune delle quali reggono l'ankh.
Amenhotep IV ha rinominato se stesso in Akhenaton ("Colui che serve Aton") e trasferì la capitale in una città appositamente costruita: Akhet-Aton, Orizzonte di Aton (oggi Tell el-Amarna).
Questo faraone, predecessore di Tutankamen, e marito di Nefertiti, ha radicalmente rivisto il mondo religioso egiziano, istituendo una singolare forma di monoteismo.
La radicale innovazione nella religione è stata una sfida diretta contro la casta sacerdotale.
I sacerdoti erano scelti in base allo stato, alla nascita, ed erano potentissimi giacché portavoce degli dei. Quando Akhenaton ha dichiarato Aton-Ra come dio supremo e che egli stesso era l'unico portavoce di Aton-Ra, i sacerdoti si sono trovati improvvisamente privi di potere, ed ovviamente scontenti. Akhenaton, d'altra parte, aveva efficacemente consolidato la sua potenza.
La centralizzazione del potere, combinata con un indebolimento delle vecchie superstizioni, ha prodotto un boom di arte e creatività artistica noto come arte amarniana.(1)

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Busto delle regina Nefertiti - esempio di arte amarniana



Le arti figurative abbandonarono i canoni classici, pressoché immutabili da secoli, che imponevano una rappresentazione idealizzata del faraone, sempre vigoroso e prestante, armonico nel corpo, regolare nei tratti del volto, costantemente atteggiato in un'espressione di serafica superiorità.
Le immagini sopravvissute dell'arte amarniana si scostano nettamente dal protocollo artistico descritto e spiccano per il loro realismo, raffigurando lo stesso Akhenaton senza riguardi per il suo aspetto fisico, al punto che, giustamente, J. Pendlebury definì le statue del "faraone eretico" come "...un meraviglioso studio patologico".
Se si tratti di espressionismo artistico o di riproduzione della realtà, è tuttora fonte di discussione.
Ovviamente, lo studio patologico implica l'accettazione della chiave di lettura realistica.
Akhenaton ci mostra un volto allungato, con gote scarne e incavate, labbra prominenti, mandibola cadente con bocca semiaperta, palpebre abbassate. Il collo, estremamente magro e allungato, ricorda quello di un cigno. Osservando il tronco, spiccano la ginecomastia, l'addome prominente, i fianchi larghi e cadenti, con figura ad anfora. Una famosa statua, nota come "colosso asessuato" raffigura Akhenaton praticamente privo di genitali.

Ma torniamo alla rivoluzione apportata da Akhenaton, cioè la concezione monoteistica del mondo – seppur non intesa in senso trascendente come l’ebraismo e le due grandi religioni derivate – con conseguente abbattimento del politeismo legato al culto del dio Amun fosse, per l’epoca, un fatto senza precedenti, assolutamente rivoluzionario e controcorrente.
Ciò denota, indubbiamente, un carattere profondamente anticonformista. Basti pensare che Akhenaton, storicamente sembrerebbe accertato, abolì tra l’altro la pena di morte che, dopo più di tre millenni, è ancora in uso presso tre quarti dell’umanità.
All’epoca dovette essere una cosa per la più assurda, inconcepibile. Mentre i sovrani dell’epoca amavano farsi ritrarre in atteggiamenti marziali, non si ha conoscenza, fatto del tutto insolito, di reperti che mostrino il faraone del sole nelle vesti di condottiero con le armi in pugno.
Al contrario, tutte le effigi del sovrano a noi note lo mostrano come persona dall’aspetto femmineo e talvolta addirittura grottesco sia nel viso e soprattutto nel corpo.
Forme sicuramente poco virili e di certo non degne di un condottiero in armi.
Gli archeologi sono sempre rimasti stupiti dalle raffigurazioni esistenti di Akhenaton che è costantemente rappresentato in bassorilievi e statue con un fisico dalle caratteristiche marcatamente femminili, oltre che con un cranio stranamente allungato.
Al punto che c'è chi ha formulato l'ipotesi che in realtà fosse una donna, circostanza tuttavia smentita dal fatto che gli sono attribuite almeno sei figlie.

Il dottor Irwin Braverman, che insegna storia della medicina presso la Yale University, ha sviluppato una sua teoria sull'aspetto del faraone, presentandola nel corso del convegno annuale che la University of Maryland dedica alle malattie e ai motivi della morte di personaggi storici.

Secondo Braverman, il faraone era un vero e proprio "mutante", in altre parole vittima di una mutazione genetica che ne alterava le funzioni ormonali, aumentando la presenza nel suo corpo di ormoni femminili. Da questo deriverebbe, spiega lo studioso "l'aspetto androgino del faraone, che aveva un fisico marcatamente femminile, con bacino largo e seno, e tuttavia era di sesso maschile e generò figli". Sua moglie era la splendida regina Nefertiti.
Secondo l'egittologo e archeologo Donald B. Redford, la teoria di Braverman è interessante, anche se gli studiosi sono in genere concordi nell'affermare che Akhenaton fosse affetto dalla "sindrome di Marfan", una malattia che incide sull'aspetto fisico determinando lineamenti allungati. Altre ipotesi prendono in esame la "sindrome di Klinefelter" e altre patologie del genere.

Taluni studiosi in proposito hanno avallato l’ipotesi che il sovrano soffrisse di disfunzioni fisiche (idropisia, sindrome di Klinefelter ecc.) o semplice impotenza sopraggiunta forse ad una certa età. Le figlie della regina Nefertiti potrebbero pertanto, in questa ipotesi, non essere tutte, o le ultime, figlie di Akhenaton.
Posto che la vera tomba di Akhenaton fu scoperta nel 1890 nelle colline a est di Amarna e che le varie teorizzazioni di Phillips presumono gli "intrallazzi" a scopo punitivo del "faraone eretico" (trasferimento nella tomba 55 della valle dei Re sotto sembianze femminili), mi sorge una domanda preventiva: perché Tutankhamen scoprì solo "dopo" la morte del successore di Akhenaton (il misterioso Smenkhara che regnò un solo anno e che non si sa ancora bene se fosse fratello o figlio dello stesso Akhenaton) la sepoltura definita sacrilega di quest'ultimo? Forse perché tale sepoltura, nelle colline di Amarna, era stata effettuata in gran segreto dai seguaci del credo "eretico" e solare di Aton professato da Akhenaton? Può darsi ma resta comunque strano il tempismo "morte di Smenkhara-scoperta della tomba segreta di Akhenaton". Una questione in più da rivolgere agli egittologi.


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Ed ora torniamo al culto suddetto, quello del Dio unico Aton, ed alla parte di questi "misteri" che più affascina: da dove veniva, effettivamente, quel culto? Possibile che esso fosse stato lo scampolo, diremmo così, il retaggio, di una religione antichissima che ci possa collegare al mitico continente di Atlantide che molti, me compreso, ritengono essere la "patria" perduta degli Egizi...?
Gran domanda e grande voglia di conoscere la verità!
Viene facile pensare che essendo il culto del Disco Solare Aton molto simile all'adorazione dell'Unico Dio delle popolazioni semite, in pratica degli Ebrei, Akhenaton si fosse in qualche modo fatto influenzare dagli stessi Ebrei nell'introdurre in Egitto tale teogonia monoteistica. E, visto come andarono a finire le cose per il "povero" Akhenaton, l'archeologo A. Phillips suggerisca come "i seguaci dell'Aton trovassero scampo proprio fra gli ebrei".
Vi è un’altra ipotesi più complessa. Akhenaton potrebbe essere stato un faraone "coraggioso". Il monoteismo degli Ebrei era stato condotto avanti come ricordo ancestrale di un "sapere remoto" di altrettanto "remote civiltà". Ma questo non significa che gli Egizi non ne avessero una pudica conoscenza, una "eretica" quanto inconscia (ma, forse, anche conscia) consapevolezza. Non dimentichiamoci che Atlantide, se è esistita, potrebbe, alla catastrofe che la distrusse, aver disseminato superstiti in tutto il mondo e che non è tanto logico supporre che solo presso gli Ebrei si fosse conservata l'idea di un Dio Unico che, a mio parere, era il punto di forza della religiosità atlantidea. Solo che i sistemi di governo, le differenti religioni sviluppatesi in seguito nei vari popoli, potrebbero aver dato spazio a questo ancestrale ricordo-consapevolezza in modo diversificato. In altre parole, ciò che presso gli Egizi post-atlantidei venne sviluppata come un'eresia, per gli Ebrei avrebbe potuto assumere un carattere di dominante religiosa.
Per questo si parlava del "coraggio" di Akhenaton.
Egli potrebbe solo aver avuto l'ardire, sorretto da imprecisabili motivazioni ideologiche o politiche, di "riesumare", di mutuare dagli Ebrei, l'antico concetto monoteistico della divinità, personalizzandolo all'egiziana con il cosiddetto "Disco Solare di Aton".
Molti dubbi verrebbero chiariti se gli egittologi riuscissero a individuare senza incertezze la mummia di Akhenaton e il governo egiziano desse l'autorizzazione a condurre indagini sul Dna.

Ciò, comunque, nulla toglie alla grandezza di Amun-hotpe, Nefer-kheperu-ra, Wa-en-ra, Namu-ria, alias Amenofi IV meglio conosciuto come il “faraone del sole” (Akhenaton) che risulta essere il primo autentico personaggio della storia.
Tuttavia, dopo la morte di Akhenaton l'Egitto è stato costretto dal vecchio ordine - i sacerdoti, i politici, e militari - ad abbandonare Akhetaton, rinnegare la nuova religione, e a tornare al culto delle vecchie divinità.
_____________________

(1) Con arte amarniana si intende la produzione artistica dell'antico egitto legata alle vicende di Akhenaton. Il termine deriva dalla località di Tell el-Amarna (l'antica Akhetaton). La città di Akhetaton (oggi Amarna) divenne, per circa 35 anni, la capitale dell'Egitto in accordo con le idee innovative del re che, instaurando il culto del dio Aton, cercò di porre freno (cosa peraltro iniziata, sia pure in tono minore, sotto il governo dei suoi predecessori) allo strapotere del clero di Amon. Per rafforzare questa "indipendenza" religiosa non solo da Amon, ma anche da tutte le altre divinità, Akhenaton decise di far costruire "ex novo" una città, a circa 250 Km da Tebe.



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MessaggioTitolo: Nefertiti   Gli antichi egizi EmptySab Gen 19, 2013 12:13 am


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NEFERTITI


Nefertiti (1370 a.C. -- 1330 a.C.) è stata una regina egizia.

Cambiò, come il marito, il suo nome in Nefer-neferu-Aton per onorare Aton.

Regnò a fianco del marito Akhenaton durante la XVIII dinastia, nel cosiddetto periodo Amarniano (da Tell el-Amarna, dove Akhenaton aveva portato la capitale). Poco si sa della vita di questa donna, anche se sembra improbabile che fosse di sangue reale. Alcuni studiosi ritengono che il padre fosse un ufficiale di nome Ay, al servizio di Amenofi III. Nefertiti diede ad Akhenaton sei figlie. Non ci sono tracce di eredi maschi, e la successione dopo di lei rimane incerta. I successori di Akhenaton, Smenkhkhara e Tutankhaton (che più tardi modificò il suo nome in Tutankhamon), sono figli di un’altra moglie, Kiya, che divenne regina principale per un breve periodo dopo l’anno 12 del suo regno.

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Cosa sia successo in questo periodo non è noto. Sono state avanzate varie ipotesi sul perché la moglie principale sia cambiata. Si suppone che Nefertiti possa essere morta in questo periodo, o che sia caduta in disgrazia. L’ipotesi della caduta in disgrazia appare oggi meno probabile. Si ritiene che in realtà sia Kiya ad essere stata marginalizzata, e che alcuni documenti siano stati mal interpretati, portando a credere che ad essere allontanata fosse Nefertiti. Una terza ipotesi sulla sua scomparsa è legata all’improvvisa apparizione di un co-reggente al fianco di Akhenaton. Alcuni studiosi sostengono che questa persona altri non sarebbe che Nefertiti. Questa interpretazione appare dubbia, benché affascinante. In ogni caso, alcuni studiosi, tra cui Jacobus Van Dijk (responsabile della sezione amarniana del museo egizio di Oxford) si dicono certi di questo fatto. Sostengono che Nefertiti sarebbe anche salita al trono per un breve periodo dopo la morte del marito.




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NEFERTITI - RITRATTO DI UNA REGINA

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MessaggioTitolo: Imhotep    Gli antichi egizi EmptyMar Feb 05, 2013 8:35 pm



IMHOTEP

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L’iscrizione di una piccola statuetta ritraente il Visir, recita “Scriba Reale del Basso Egitto, primo dell’Alto Egitto, amministratore della Residenza, di nobile nascita, alto sacerdote a Eliopoli, architetto, scultore, sovraintendente alla produzione di vasi”.
Imhotep, il cui nome significa "Colui che viene in pace", visse forse fino al regno di Huni, ultimo re della III dinastia. La sua vita è avvolta nel mistero: sappiamo però che rivestì la carica di gran sacerdote di Heliopolis, sacerdote lettore e capo architetto reale. Imhotep decise di costruire tutto in pietra. Manetone, che scriveva ben 2400 anni dopo, ancora ricorda come l'architetto di Gioser fosse stato "l'Inventore dell'arte della pietra tagliata". Sembra che nel tentativo di dare monumentalità alla sua opera, ma di non distaccarsi troppo dai prestigiosi modelli voluti dalla tradizione per le sepolture regali, Imhotep abbia sistematicamente imitato in pietra la forma di elementi di costruzione in materiali "leggeri", come colonne in fasci di giunco e papiro e stuoie intessute.

La tradizione volle vedere in Imhotep l'uomo più sapiente e saggio del suo tempo. Gli venne così attribuita la paternità di alcuni libri e, a partire dal II millennio a. C., venne considerato il patrono della potente casta degli scribi, i quali prima di iniziare a scrivere versavano in suo onore alcune gocce d'acqua nella loro ciotola. Tuttavia, non fu per la costruzione della piramide e neppure per la sua fama di saggezza che Imhotep venne elevato al rango degli dèi e ritenuto il "Figlio di Ptah" (divinità che proteggeva gli artigiani e gli artisti) e nume protettore dell'intera comunità urbana di Menfi. In seguito gli venne anche attribuito un culto in qualità di dio guaritore. Lo storico Manetone, a questo proposito, scrive (nel III secolo a.C.) che Imhotep venne associato dagli egiziani ad Asclepio, il dio greco della medicina e delle guarigioni miracolose. La sua cappella cultuale, a Saqqara, era una sorta di sanatorio cui convenivano malati da tutto il paese. Questi si recavano a dormire nei pressi della cappella, e il dio si manifestava mediante la pratica rituale detta incubazione: Imhotep appariva in sogno, rivelando i modi, i riti di espiazione e i tempi della guarigione.

2008, Il Cairo – È stata ritrovata la tomba del gran sacerdote di Heliopolis, Imhotep, vissuto intorno al 2800-2600 a.c., famoso per aver progettato e costruito la piramide a gradoni di Saqqara, in Egitto a 30 km a sud della città moderna del Cairo, dove si trova una vasta necropoli. Piramide eretta come sepolura del faraone Djoser, della terza dinastia.

La missione del Saqqara Geophysical Survey Project, guidata dall’archeologo inglese Ian Mathieson, ha ritrovato due tombe di vaste proporzioni nei pressi della piramide a gradoni di Djoser, il faraone della III dinastia. Una di queste tombe, secondo gli archeologi britannici, sarebbe proprio la sepoltura del leggendario Imhotep, l’architetto di Djoser, venerato come dio delle scienze e della medicina ed assimilato ad Ascletio in epoca greca.

Le due tombe scoperte sono lunghe circa 90 metri e larghe circa 50 metri. «Presentano una struttura interna complicata con un cortile che molto probabilmente introduceva ad un tempio», ha dichiarato Ian Mathieson. «Noi riteniamo che una delle due tombe abbia ospitato la mummia di Imhotep. Si tratta infatti di una sepoltura di grande importanza, dove risulta costruita una specie di scala che ricorda proprio la piramide a gradoni fatta costruire dal gran visir di Eliopoli», ha aggiunto Mathieson. «A nostro parere la scoperta della tomba di Imhotep rappresenta il più grande ritrovamento dopo quello della tomba di Tutankhamun», ha concluso il direttore della missione archeologica inglese, che opera a Saqqara dal 1990.

Saqqara ospita anche un grande numero di tombe mastaba. Essendo stato il complesso cimiteriale coperto dalla sabbia per quasi due millenni, fino al 1924, anno della sua riscoperta, molte tombe si sono preservate intatte sia nelle strutture esterne che nelle decorazioni interne.
Per lo studio della storia dell’Egitto è importante un dipinto, scoperto nel 1861, in una tomba risalente al Nuovo Regno, in cui sono elencati i cartigli di cinquantasette sovrani da cui afferma di discendere Ramesse II. Solo una cinquantina di nomi sono tuttora leggibili. Questo documento è spesso citato come Lista reale di Saqqara.


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