Una delle tradizioni più autentiche del nostro paese e, nonostante ciò, poco conosciute. Un vero peccato: perché la loro storia, è affascinante e straordinaria.
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Chi cerca di non perdere il senso delle proprie radici può scoprire che nelle maschere si ritrovano le caratteristiche delle diverse etnie che hanno formato il popolo italiano, che sono un’importante parte della storia nazionale e che rappresentano l’espressione più genuina del nostro carattere mediterraneo». (Leo Valeriano in La tradizione delle Maschere)
Se è noto che ogni regione ha le proprie, forse sorprenderà sapere che le Maschere italiane sono circa duecento. Ma da dove viene questa affollata schiera di variopinti personaggi? E com’è diventata protagonista assoluta della festa più popolare del nostro calendario?
L’enigma non può essere sciolto del tutto, perché l’esistenza delle Maschere è mutevole quanto il loro aspetto. Il loro fascino è accentuato proprio dalle origini non sempre chiare e dalla sintesi, in un unico, buffo personaggio, di tradizioni che appartengono a differenti culture ed epoche. Alcune maschere, più giovani, risalgono infatti alla fine del XVIII secolo o all’inizio del XIX, talvolta nate come burattini. Ma le più classiche e famose, quelle che derivano dalla Commedia dell’Arte alla fine del Medioevo, hanno radici addirittura nella mitologia.
Indiscussa è la fortuna, paragonabile a quella dei moderni divi del cinema, dei personaggi che prendevano vita sui palchi allestiti alla spicciolata nelle piazze o nei teatrini di burattinai ambulanti. Il pubblico che assisteva divertito alle scaramucce di Brighella e Pantalone, agli intrighi di Colombina, alle fanfaronate di Capitan Spaventa, se ne innamorò al punto di volerli fare propri durante il Carnevale, quando scendeva nelle strade indossando l’abito e il trucco della Maschera favorita. Esattamente come succede oggi, quando i nostri bambini vogliono indossare il costume dell’eroe dei cartoni animati più amato.
Un po’ di Storia… Le origini del Carnevale vengono fatte risalire alla festa romana dei Saturnalia (in onore del Dio Saturno) e dei Lupercalia (in onore del Dio Pane, festività celebrata nel mese di febbraio). Pertanto i festeggiamenti affondano le radici negli antichi riti pagani, in un periodo storico anteriore al Cristianesimo, dove il Carnevale era considerato una festa con forti valenze simboliche legate al mondo agricolo-pastorale, in quanto si celebrava la fine dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo. Infatti attraverso una particolare cerimonia in maschera, si salutava la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera, la quale, secondo le credenze popolari, dava vita ad un ciclo di stagione opulenta, feconda e fertile per la terra, assicurando ottimi raccolti.
Ad ogni modo è durante l’epoca Medioevale che il Carnevale assume delle connotazioni più precise. Il Carnevale medioevale, è stato definito dagli storici e sociologi come la “festa dei folli”; si attuavano festeggiamenti trasgressivi, baldorie senza limiti morali, si consumavano lauti pasti, ecc. In seguito, nell’età della Controriforma, il Carnevale ha subito varie resistenze da parte della Chiesa e da parte dei diversi ordini religiosi.
Va precisato che la rappresentazione teatrale durante la prima metà del Cinquecento, non è ancora teatro, l’esibizione si svolge ovunque, poiché lo spettacolo non ha ancora un proprio luogo, una propria caratterizzazione o una propria struttura tipica. Se lo spettacolo nel corso del Cinquecento non ha un proprio luogo, ha però un proprio tempo: «il tempo della festa del Carnevale».
Le compagnie dei guitti più fortunate, durante la Controriforma riescono a salvarsi dalla censura ecclesiastica grazie alla protezione ricevuta da parte dei potenti; mentre quelle meno fortunate, sono costrette a spostarsi da una città all’altra, da una piazza all’altra, per mettere in scena i propri costumi e i propri drammi carnevaleschi. Gli attori in maschera, quelli privilegiati, sono poi tenuti a mettere la loro arte al servizio dei mecenati, si esibiscono davanti ad una corte di un élite privilegiata e organizzano spettacoli nelle suntuose sale dei palazzi rinascimentali, nei giardini principeschi e nelle regie dei magnati. Va dunque precisato che il Carnevale nel Cinquecento era una prerogativa dei soli nobili, e tale festa si estese immediatamente in tutta la nostra Penisola, favorendo la nascita e lo sviluppo di splendide scenografie, di maschere regionali e soprattutto, come abbiamo poc’anzi visto, la diffusione delle compagni girovaghe.
In seguito nel corso del Seicento il Carnevale diventa una festa popolare, e le maschere della Commedia dell’Arte stabilendo sempre più un diretto contatto con la realtà «
bassa e volgare»adottano il linguaggio dialettale-popolare della loro regione d’origine; così il servo Pulcinella rappresenta Napoli, il servo Arlecchino la regione bergamasca, Pantalone la città di Venezia, Gianduia la società torinese, Meneghino la città di Milano, ecc.
Che significa “Carnevale” La festa del Carnevale, nei paesi Cattolici, è compresa tra il periodo dell’Epifania e la Quaresima, e termina nei giorni grassi, dal giovedì al martedì. Infatti, Carnevale deriva dal latino “Carnem levare”, che significa “levare - togliere la carne” e durante il periodo quaresimale, secondo la tradizione, i cattolici devono astenersi dal cibo per quaranta giorni, poiché bisogna prepararsi al digiuno per la Pasqua. A seconda poi, delle altre culture, la festa carnascialesca può avere inizio a Capodanno o alla
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Il giorno in cui si festeggia il Carnevale è fissato dalle autorità ecclesiastiche e il Carnevale è indice di trasgressione, è una festa in cui l’intero popolo fa baldoria, si dà al travestimento, alla beffa, al divertimento, allo schiamazzo, al ballo, alla musica, ai vari e diversi generi di costumi, di vestiti e mascherine.
Dalle uova marce ai leggiadri coriandoliSembra una festa creata apposta per i bambini, che da sempre amano travestirsi e mascherarsi in tutti i modi possibili!
L’usanza di lanciare fiori, frutti e confetti sui cortei in tumulto è antichissima: risale ai Saturnali romani e si ripresenta in tutti i festeggiamenti del Carnevale, con molte varianti. Come quella del Carnevale di Fano, detto “il più dolce del mondo”, dove sono i personaggi che dai carri gettano sulla folla tonnellate di dolciumi, (comprese scatole e cofanetti), intere tavolette di cioccolato, paste, croccanti e torroni.
Ma i lanci non sono sempre stati ispirati da gioia e generosità, anzi: spesso la popolazione bersagliava i cortei con immondizia, acqua di fogna, ortaggi putrefatti e tutto ciò che di ignobile la fantasia suggerisce. Visto l’andazzo, i legislatori delle varie epoche ripetutamente cercarono di mettere un freno alla tradizione: per esempio, nel 1568, papa Sisto V proibì, pena la morte, il lancio di “qualsiasi oggetto” dalle finestre. E il lunedì grasso del 1654, quattro giovani, rei di aver gettato gatti morti sulla sfilata di carri e maschere lungo via del Corso, furono lasciati penzolare dalla forca. Fra gli sfortunati buontemponi c’era anche un figlio del conte Soderini.
A Milano il Carnevale raggiunse il massimo splendore nel Cinquecento, sotto la dominazione spagnola. Grandiosa la sfilata dei carri, promossa dal governatore Giovanni Velasco conte di Feria, che fece allargare appositamente un vicolo che perciò si sarebbe chiamato via Velasca. Secondo le cronache del tempo, raccontate da Walter Gautschi in Carnevale (La Spiga) passavano ben duemila carrozze, con a bordo i nobili e i Vip milanesi, in lussuosi costumi. Accolti dal popolo con una pioggia di uova marce e acqua putrida...
Molte grida vennero emanate contro questa tradizione, punita con multe di 25 scudi. Di divieto in divieto, alla fine del Settecento i milanesi cominciarono a bersagliare le processioni mascherate con confetti di gesso (“benis de gess”), spesso lanciati con una fionda. Pericolosi come proiettili, dopo qualche anno furono proibiti. Si ricorse quindi ai semi di coriandolo, un’erba abbastanza comune nelle campagne lombarde, immersi nel gesso o nella farina e lasciati essiccare. Finalmente si arrivò ai coriandoli di carta, la cui paternità è disputata da Enrico Mangili e da Ettore Fonderi. Nessun dubbio, invece, sul fatto che Mangili inventò le stelle filanti, forse ispirate dai nastrini di carta usati per trasmettere i messaggi telegrafici.
Le maschere più famose....
Arlecchino
Bergamo
Nato nella Bergamo bassa, Arlecchino mostra scarso intelletto ed è sciocco e credulone.
Arlecchino lo ritroviamo sempre nelle vesti del servo umile e del facchino.
E' una maschera acrobatica, dalla gestualità complessa: la sua parlata bergamasca è molto più complessa di quella di Brighella, in quanto arricchita da espressioni in altri dialetti.
Balanzone
Bologna
Il dottor Balanzone rappresenta il personaggio comico di un "dottore" soltanto di nome, a volte medico, a volte notaio.
E' una maschera presuntuosa, superba, amante di sproloqui, lunghe "prediche" con citazioni in latino quasi sempre fuori posto: quando comincia a parlare è quasi impossibile interromperlo e quanto viene chiamato in causa sfoggia le sue dotte "cognizioni" di latino.
Una delle caratteristiche del dottore è la sua obesità.
Brighella
Bergamo
E' la maschera di un servo astuto, ingegnoso, che sa aiutare ma anche ingannare il padrone.
Non ha scrupoli e si adatta a qualsiasi lavoro: può essere oste, soldato, primo servitore o ladro patentato, è il servo furbo della commedia dell'arte.
Questa maschera è nata nella Bergamo alta e si distingue dal servo sciocco e cialtrone della Bergamo bassa.
La sua parlata è in dialetto bergamasco ma con singolari accentazioni che rendono spiritoso il suo modo di parlare.
Colombina
Venezia
E' l'unica maschera femminile.
E' vivace, graziosa, bugiarda e parla veneziano.
E' molto affezionata alla sua signora, altrettanto giovane e graziosa, e pur di renderla felice è disposta a combinare imbrogli su imbrogli. Colombina schiaffeggia senza misericordia chi osa importunarla mancandole di rispetto.
Gianduia
Torino
Si muove con eleganza, agitando il suo caratteristico codino rivolto all'insù.
Ama lo scherzo ed i piaceri della vita.
Gianduia ha finezza di cervello e lingua arguta che adopera per mettere in ridicolo i suoi avversari.
Gianduia é un tipo pacifico e non cerca la rissa, né ama complicarsi la vita, ma non rinuncia al suo senso di schiettezza che fanno parte del suo carattere piemontese, gentile ma sincero.
La sua generosità d'animo e l'innato senso di giustizia lo hanno sempre spinto dalla parte dei deboli e degli oppressi.
Meneghino
Milano
Impersona un servitore rozzo ma di buon senso che, desideroso di mantenere la sua libertà, non fugge quando deve schierarsi al fianco del suo popolo. E' abile nel deridere i difetti degli aristocratici.
Meneghino é la tipica maschera dei milanesi e come loro è generoso, sbrigativo e non sa mai stare senza far nulla.
Ama la buona tavola
Vestito di una lunga giacca marrone, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche, cappello a forma di tricorno sopra una parrucca con un codino stretto da un nastro, ancora oggi, assieme alla moglie Checca, trionfa nei carnevali milanesi.
Pantalone
Venezia
Pantalone è un vecchio mercante, spesso ricco e stimato anche dalla nobiltà, mentre altre volte è un vecchio mercante in rovina. E' un vecchio del tutto particolare perchè nonostante l'età è capace di fare le sue "avances" amorose che non si concludono mai in modo positivo.
E' un uomo di grande vitalità negli affari, al punto di sacrificare la felicità dei figli e l'armonia familiare pur di combinare qualche matrimonio vantaggioso.
Peppe Nappa
Sicilia
Peppe Nappa presenta più di un'affinità con il Pierrot francese, sia per il costume che indossa che per alcuni aspetti caratteriali.
Beppe Nappa rappresenta un siciliano fannullone, intorpidito da un sonno perenne che lo costringe a sbadigliare continuamente.
E' il pigro servitore di un padrone che può essere un commerciante, un innamorato, o un vecchio barone.
In realtà non svolge il suo lavoro in modo efficiente, anzi passa dal sonno,alla ricerca di cibo,aiutato da un fiuto infallibile, per tornare poi al suo mondo di sogni.
Pulcinella
Pulcinella è un servitore sciocco e chiacchierone. Assume personalità contraddittorie: può essere infatti tonto o astuto, coraggioso o vigliacco.
Pulcinella è la personificazione del dolce far niente.
Ha sempre fame e sete, il suo piatto preferito sono i maccheroni al sugo. Ha una gestualità vivacissima, tipica dei napoletani
Rugantino
Rugantino è fanfarone e contaballe e rischia spesso di pagare di persona.
E' disposto a prenderne fino a restare tramortito pur di avere l'ultima parola. Rappresentò il tipo di popolano violento ma generoso, vero e proprio antenato del moderno bullo di periferia sempre pronto a sbeffeggiare il potere costituito e a difendere coloro che la miseria finisce col porre fuori legge.
Il suo nome deriva da " rugare" cioé brontolare, borbottare, come una pentola d'acqua che ribolle.