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 Roma Caput Mundi - La città Imperiale

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MessaggioTitolo: Roma Caput Mundi - La città Imperiale   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptySab Ott 13, 2012 3:23 am


ROMA CAPUT MUNDI - LA CITTÁ IMPERIALE

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Nei tredici secoli della sua storia, Roma fu protagonista della creazione e del declino di un impero, il più duraturo nella storia dell'Europa occidentale. In questa straordinaria vicenda si intrecciano due fili: da una parte la formidabile capacità di Roma di assorbire continuamente le credenze religiose, le forme artistiche, le organizzazioni sociali delle più diverse terre del mondo mediterraneo, dall'altra la capacità di trasformare tutto ciò in un linguaggio coerente e comune. Venne così creato un modello di "romanità" capace di unificare lo stile di vita in un impero sterminato.

Nata come città dall'esiguo territorio e presto sospinta verso nuove mete dalla necessità di espandersi, pena la sua stessa cancellazione, Roma è oggi il più grande sito archeologico del mondo. Ma anche al di fuor della capitale, i segni del suo passato ci circondano in ogni dove: sono riconoscibili nelle piante delle città, nei monumenti, nelle strade che ancora oggi percorriamo spesso senza nemmeno accorgercene. Eppure, l'importanza della civiltà romana va ben oltre la sua impronta materiale: è stato detto che l'intera storia d'Europa potrebbe essere scritta nella forma di un commento alla storia e alla civiltà dei Romani.



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Fonte:www.mondosegreto.eu


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MessaggioTitolo: Roma la città della lupa   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptySab Ott 13, 2012 3:26 am


ROMA - LA CITTÁ DELLA LUPA

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LA FONDAZIONE

Ottocento anni prima di Cristo, Roma non è nemmeno un villaggio: in pratica comprende una decina di capanne in legno e paglia, ragguppate in piccole borgate sui colli che poi furono detti romani. Gli abitanti erano per lo più costituiti da gente randagia, proveniente un pò da tutti i villaggi circostanti: degli esuli, dei banditi, insomma. Gente che aveva fallito la prima parte della sua vita e che aveva deciso di ricominiciare. Non avevano donne con sè o quasi: più tardi si racconterà che saranno costretti a rubarle dai popoli vicini perchè nessuno voleva imparentarsi con loro. Erano poveri fino all'indicenza ed erano visti con sospetto. Questi uomini descritti in cattivo modo avevano una volontà furiosa di prendersi una rivincita, come poi avvenne. Vivevano d'agricoltura e di commercio: alle foci del Tevere si erano formate delle saline naturali; le piccole città latine che si erano formate nel Lazio, erano disposte a dare un pò dei loro prodotti agricoli in cambio a chi andava a prendere il sale per poi distribuirlo all'interno. E quindi gli uomini dei colli si dedicarono al commercio del sale: ancora oggi la via che dal mare porta a Roma e verso l'interno si chiama via Salaria. Raggiunsero così una modesta agiatezza.

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I 7 colli

Poi le borgate sorte sui colli del Palatino, dell'Esquilino, e del Celio, si unirono in una lega sacra che fu chiamata "settimonzio" ossia dei sette monti. Successivamente le borgate del Palatino si riunirono in villaggio che forse prese il nome di Roma; secondo l'uso dei latini, si parla della Roma quadrata perchè quadrate erano le mura di cinta: non sappiamo il significato di questo nome. Poichè il commercio del sale rendeva, la Roma del Palatino crebbe estendendosi sui colli vicini: il Capitolino per primo, poi il Celio, l'Esquilino, il Viminale, il Quirinale. Infine, molto più tardi, fu annesso il settimo colle l'Aventino, dove si erano riuniti gli ultimi venuti che erano i più poveri di tutti.In questi primi tempi, Roma, non aveva una cinta di mura: in pratica era così povera che non temeva nemici. Era delimitata, secondo l'uso etrusco, da una cinta sacra, il "pomerio", una fascia di muro, sulla quale non era possibile costruire o passare l'aratro. La città era governata da re: piccoli re, un pò mercanti e un pò contadini. Agli inizi, molto probabilmente gli etruschi esercitarono un predominio sulla città. Alcuni dei re romani furono molto probabilmente di origine etrusca. A un certo punto, i Romani vollero liberarsi dagli Etruschi e dai loro re che furono cacciati passando alla repubblica. E, con essa inizia la vera storia di Roma.

Le origini, il mito

Sulle origini di Roma vi sono varie leggende, ma la versione più accreditata narra di due gemelli,Romolo e Remo, figli di Marte, dio della guerra, e di Rea Silvia, sacerdotessa di Vesta e figlia del re di Albalonga.
Quando Rea Silvia mise al mondo i due gemelli, il principe Amulio, che aspirava al trono, la fece seppellire viva, in applicazione della legge che così puniva le vestali che non avevano rispettato il voto di castità.
Romolo e Remo, però, abbandonati in una cesta sulle acque del Tevere, ebbero salva la vita per volere divino. Quando la cesta andò a incagliarsi tra i rami di un albero, una lupa li trovò e li allatò insieme ai suoi cuccioli. Un giorno il pastore Faustolo vide i gemelli accanto alla lupa e, pensando a un dono degli dei, raccolse i bambini e li allevò come se fossero suoi.
Divenuti adulti e scoperta la loro origine divina, Romolo e Remo pensarono di edificare una nuova città. Per scegliere chi gli avrebbe dato il nome decisero di osservare il volo degli uccelli: Remo ne vide solo sei, mentre Romolo dal colle Palatino ne avvistò uno stormo intero e fu lui a tracciare con l'aratro il solco della futura città. Poi i due gemelli litigarono perchè ognuno voleva esserne il re. Romolo nella lotta uccise il fratello e divenne così il primo re di Roma. La tradizione vuole che quel giorno fosse il 21 aprile del 753 a.C.
La tradizione classica amava collegare le origini di Roma con la vicenda Omerica di Troia. Enea, profugo da Troia, giunse sulle coste del Lazio, sconfisse le popolazioni indigene dei Rutuli e sposò Lavinia figlia del re Latino, fondando in suo onore la città di Lavinio sulla costa tirrenica.
Suo figlio Ascanio o Giulo, fondò poi la città di Alba Longa, sui Colli Albani, e qui i suoi discendenti regnarono per 200 anni.
Accadde che il re Numitore fu spodestato dal fratello Amulio e poi costrinse la nipote Rea Silvia ad entrare tra le sacerdotesse di Vesta, votate a perpetua verginità, così da impedirle di generare discendenti. Rea Silvia ebbe però due gemelli dal dio Marte e Amulio cercò di sopprimerli facendoli abbandonare sul greto del Tevere. I due fanciulli Romolo e Remo furono salvati da una lupa che li allattò; poi un pastore, Faustolo, con la moglie Acca Laurenzia li raccolsero e li allevarono. Una volta cresciuti i due gemelli uccisero Amulio e restaurarono Numitore. Poi Romolo e Remo abbandorano Alba Longa e fondarono una nuova città: Roma, il luogo dove avevano trascorso la loro giovinezza; secondo l'erudito romano Varrone, vissuto nel I secolo a.C., era il 21 aprile del 753 a.C..
Secondo la tradizione, regnarono su Roma sette re a cominciare da Romolo. Romolo, dopo aver combattuto con i Sabini, in seguito al ratto, riuscì a rappacificarsi con loro e a regnare con Tito Tazio. La città allora contava tre tribù: i Ramni, sul colle Palatino, cioè gli originari di Romolo e Remo; i Tizi, sul colle del Quirinale, abitato dai Sabini di Tito Tazio; i Luceri, sul colle del Celio di origine incerta.
Romolo fu un re guerriero e dette al popolo romano le prime istituzioni: suddivise il popolo tra patrizi e plebei e poi in 30 Curie e istituì il Senato. Alla fine della sua vita fu assunto in cielo col nome di Quirino e poi identificato con lo stesso Marte.


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Ratto delle Sabine, olio su tela di Jacques-Louis David, 1795-1798, Parigi, Musée du Louvre.



Fonte:www.supersapiens.it


Ultima modifica di Leo il Sab Ott 20, 2012 3:15 am - modificato 2 volte.
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MessaggioTitolo: L'età monarchica   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:13 pm


L'ETÂ MONARCHICA


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I SETTE RE DI ROMA
Roma per oltre due secoli fu una monarchia. Si succedettero numerosi re, ma la tradizione ne ricorda soltanto sette:


I° Re: Romolo (753-716 a.C.)

Il primo re fu naturalmente Romolo. Tracciato il solco ed eliminato il fratello, il problema più incombente era di trovare le donne per la sua compagine. Senza donne non era possibile alcuna discendenza e nessun futuro glorioso avrebbe segnato la sorte di Roma.
A questo punto Romolo decise ancora una volta di risolvere la questione con l'inganno: lo stratagemma passò alla storia come il ratto delle sabine. Il piano era di invitare a una festa il vicino popolo dei sabini con le donne al seguito, e al momento opportuno, sfruttando la sorpresa, rapire quante più fanciulle possibile. Il piano riuscì alla perfezione: il bottino fu di seicentottantatre ragazze vergini, meno una, Ersilia, rapita per errore, che diventò la sposa di Romolo.
Al ratto seguì l'inevitabile guerra tra romani e sabini che finì soltanto grazie al provvidenziale intervento di Ersilia: ella si fece portavoce delle sabine rapite supplicando i contendenti di mettere fine a quella inutile carneficina che avrebbe rischiato di uccidere i padri dei loro figli. A quanto pare le sabine si erano abituate (o rassegnate) ai rapitori.
Fatta la pace, Tito Tazio, re dei sabini, divenne monarca alla pari di Romolo e si stabilì con il suo popolo sul Quirinale (Tito era originario di Curi e i suoi vennero chiamati quiriti).
A Romolo si attribuisce la prima divisione sociale delle genti romane: il popolo venne diviso in tre etnie (o tribù): I Ramnes (o Ramini) di Romolo, I Tities (o Tizi) di Tito Tazio e i Luceres (o Luceri), tribù che raggruppava le genti di origine etrusca.
Romolo decise poi di formare un senato (Curia) composto da 100 (poi ampliato a 200) patres (padri fondatori) nominati dal re, ad esclusione dei Luceri.
Anche l'esercito fu diviso in milites e celeres, i primi fanti e i secondi cavalieri.
I due reggenti decisero poi di bonificare l'area del Campidoglio e costruire un Foro, ovvero uno spazio attorno al quale si sarebbero affacciati la Curia, i templi delle divinità maggiori, i mercati e le botteghe degli artigiani; il centro politico, religioso ed economico della città romana.
Accade però che Tito Tazio morì in seguito a un'imboscata forse tesagli da qualche città sabina limitrofa e Romolo si trovò solo a fronteggiare una popolazione spaccata in due: per arginare la crisi si profuse in una nuova divisione della popolazione. Si decise di dividere i romani in patrizi (i patres, i fondatori storici) e plebei (tutti gli altri). Ai primi spettavano i compiti religiosi ed amministrativi, ai secondi l'artigianato, il commercio e il lavoro nei campi. I matrimoni tra cittadini di classi diverse furono proibiti.
La morte di Romolo è avvolta nel mito: scomparve in una notte di tempesta durante un'eclissi, il suo corpo non fu mai ritrovato. Si dice che salì in cielo sul carro di Marte per diventare il protettore dei romani col nome di Quirino (ma forse fu solo vittima di un complotto).



II° Re: Numa Pompilio, il pio (716-672 a.C.)

Dopo la morte di Romolo seguì un periodo di confusione in cui si susseguirono alla guida di Roma dieci patrizi, mentre le stirpi sabine e romane lottavano tra loro per la supremazia.
Alla fine si decise di eleggere a reggente Numa Pompilio, di stirpe sabina e marito di Tazia, la figlia del defunto re sabino. Numa Pompilio era un uomo al di sopra delle parti: era molto religioso e poco portato alla frenesia della vita politica tanto che alla responsabilità del governo preferì in principio la calma di Curi. Ma i romani lo convinsero dicendogli che governando avrebbe reso un servizio a Dio.
Il suo regno fu contraddistinto dalle riforme religiose: introdusse riti meno sanguinari, riformò il calendario portandolo da 10 a 12 mesi (aggiunse Gennaio, in onore di Giano Bifronte, e Febbraio, in precedenza l'anno seguiva il ciclo lunare e cominciava da Marzo, consacrato a Marte), i giorni dell'anno passarono da 304 a 355.
A lui si attribuisce anche la fondazione del collegio dei pontefici, massime cariche religiose, e la suddivisione della popolazione per mestieri (fabbri, vasai, carpentieri e orefici). Fu un re ben voluto dalla plebe e molto popolare.
Morì a ottantanni senza aver mai fatto una guerra, quando già le due stirpi riappacificate gli avevano eretto un mausoleo sul Gianicolo.


III° Re: Tullo Ostilio, il distruttore di Alba (672-640 a.C.)

Tullo Ostilio, di origine latine, era assai diverso dal suo predecessore: Il suo nome venne associato alla distruzione di Alba Longa.
Per avere un casus belli che giustificasse la guerra come giusta agli occhi degli dei istituì il collegio dei feziali, i quali avevano il compito di trovare un pretesto per ogni belligeranza.
La guerra con Alba fu lunga e spietata (è qui che si svolse l'episodio degli Orazi e Curiazi). La città fu distrutta e la sua popolazione deportata sul monte Celio; Il suo re, Mezio Fufezio, fu sventrato atrocemente, legato mani e piedi a quattro quadrighe con cavalli partite in direzioni opposte.
Gli ultimi anni del suo regno videro la costruzione di una nuova sede senatoriale (Curia Hostilia) e la sconfitta degli Etruschi di Veio, nonché una terribile epidemia di peste. Morì in un incendio provocato da un fulmine scagliato da Giove, il quale pare non avesse gradito un rito sacro a lui dedicato.


IV° Re: Anco Marzio, il fondatore di Ostia (640-616 a.C.)

Anco Marzio, di stirpe sabina e marito di una figlia di Numa Pompilio, divenne il IV° re di Roma.
Dopo aver conquistato il terreno che separava la città dalla costa, fondò Ostia, così anche Roma, come si disse, poté avere il suo Pireo (il porto di Atene).
Fornita Roma di uno sbocco marittimo e migliorata la navigabilità del Tevere, aumentarono i commerci, soprattutto del sale, per estrarre il quale si scavarono nuove saline e si costruirono per conservarlo dei magazzini lungo il fiume. Il re ordinò poi la distribuzione gratuita del prodotto, cosa che risultò gradita alla popolazione, che lo usava per conservare i cibi.
Le barche risalivano il Tevere per portare il sale alle zone più interne e scendevano cariche di legname, facendo aumentare gli scambi e instaurando stabili rapporti d'affari con gli etruschi.
Al re si attribuisce poi la costruzione del primo ponte in legno sul Tevere, il Sublicio, a sud della futura isola Tiberina, e la conquista, con abituale deportazione delle popolazioni entro le mura della città, di numerose tribù locali.


V° Re: Tarquinio Prisco e l'occupazione etrusca (616-578 a.C.)

Con Tarquinio Prisco inizia l'occupazione etrusca di Roma. Era figlio di Demarato, un eminente greco fuggito da Corinto e stabilitosi a Tarquinia, città etrusca. Tarquinio, che si chiamava ancora Lucumone, sposò Tanaquilla, raffinata dama etrusca, che lo convinse a trasferirsi a Roma dove divenne il braccio destro di Anco Marzio. Il re lo fece tutore dei suoi figli e lo iscrisse nella tribù lucera.
Salito al trono col nome latino di Lucio Tarquinio Prisco, allargò il numero dei patres della Curia introducendovi per la prima volte dei membri etruschi.
Non contravvenendo agli usi romani, intraprese una serie di battaglie vittoriose nei confronti dei popoli vicini, continuando ad espandere il territorio di Roma e formando una lega di stati etruschi con reciprochi vincoli di non belligeranza.
Tarquinio introdusse nel protocollo di corte i fasci littori e le più raffinate usanze etrusche, fece sfoggio di grande sfarzo durante le celebrazioni e si circondò di guardie del corpo. La città di Roma venne ingrandita e abbellita: si lastricarono le strade, si arricchì il Foro di nuovi tempi e nuove strutture, si costruì il Circo Massimo e si iniziò la costruzione del tempio di Giove Capitolino.
A Tarquinio si attribuisce il generale affinamento dei riti e delle tradizioni romane sotto l'influenza della più raffinata civiltà etrusca.
Morì ucciso da sicari assoldati dai figli di Anco Marzio, che lo accusavano di aver conquistato il trono grazie al favore che godeva agli occhi del padre, ma soprattutto alle sue ricchezze.


VI° Re: Servio Tullio, il rifondatore (578-534 a.C.)

Servio Tullio, etrusco, era di origini servili ma aveva preso in sposa Tarquinia, una delle figlie di Tarquinio Prisco, e si era assai distinto in battaglia come comandante di cavalleria.
Fu un re non eletto, in particolare si racconta che salì al trono grazie a uno stratagemma escogitato assieme alla suocera. I due fecero credere alla popolazione che Tarquinio Prisco fosse ancora vivo e che in punto di morte avesse passato momentaneamente il regno nelle mani di Servio, carica che da temporanea divenne definitiva.
Servio Tullio dovette domare le rivolte di Veio, Cere e Tarquinia, che non riconoscevano il lui il successore di Tarquinio e si rifiutavano di rispettare gli accordi di non belligeranza firmati con il predecessore.
In ricordo delle sue origini fece una legge che permetteva a chiunque di poter scalare i livelli sociali a dispetto delle origini di classe.
Servio venne ricordato per essere un grande riformatore, tanto da meritarsi l''appellativo di rifondatore di Roma: per conoscere meglio la popolazione fece indire un censimento generale, quindi passò a dividere le genti in cinque classi secondo il censo.
A lui si devono le possenti mura di tufo che cinsero Roma nel V° secolo (conosciute come serviane).
Servio assegnò poi ad ogni moneta di bronzo una immagine di un capo di bestiame (pecus, da cui pecunia) in rapporto al loro diverso valore.
La città venne divisa in quattro zone: la Palatina, L'Esquilina, la Collina (o Quirinale) e la suburana (o Celio). Alle tre tribù originarie (Ramini, Tizi e Luceri), dette tribù urbane, venne aggiunta una quarta tribù, detta rustica, composta da tutte quelle popolazioni che si erano aggregate alla città per vari motivi (guerre, deportazioni e profughi di diversa natura) le quali prendevano il nome dalla zona geografica di origine.
Il regno di Servio vide un periodo di pace, stabilità e concordia tra le diverse stirpi romane. Sull'Aventino venne eretto, di comune accordo, un tempio alla vergine dea Diana, divinità dei boschi cara alla plebe, agli schiavi e alle donne.
Tutto ciò non impedì la morte violenta di Servio Tullio per mano della figlia Tullia, che intendeva impossessarsi del regno assieme al cognato. La leggenda vuole che, ucciso il padre, la figlia ne abbandonò il corpo esanime in strada e vi passò sopra con il suo carro. Quindi, non paga, fece avvelenare il marito, Arunte Tarquinio, per sposarne il fratello Lucio Tarquinio, che divenne il nuovo re.


VII° Re: Tarquinio il Superbo, il tiranno (534-510 a.C.)

L'ultimo re di Roma fu ricordato per la sua tirannia e l'assoluta iniquità e per aver esasperato a tal punto il popolo romano da meritarsi l'appellativo di "Superbo".
Il Superbo sciolse il senato, ne vietò ogni riunione e uccise tutti coloro che gli mostrarono opposizione. Impose poi nuove tassazioni, arricchendo il suo patrimonio personale e distruggendo tutto l'impianto di riforme del suo predecessore, governando senza alcuna regola e a suo esclusivo tornaconto.
L'episodio leggendario che provocò la caduta della monarchia e la scacciata degli etruschi da Roma vede come protagonista Sesto, un figlio di Tarquinio. Assieme ai fratelli Tito e Arunte e ad altri compagni di baldoria, ormai ubriachi, proposero di vedere cosa mai stessero combinando in quel momento le proprie mogli.
Giunti a casa, le trovarono con gran sorpresa tutte più o meno affaccendate in baccanali, tranne una, Lucrezia, la moglie di Lucio Tarquinio Collatino, seduta al telaio. La cosa non finì qui.
Ospite di Tarquinio Collatino, Sesto abusò sessualmente di sua moglie Lucrezia. L'indomani Lucrezia si precipitò dal padre e dal marito, e spiegando loro cosa era successo, trasse da sotto le vesti un pugnale e si uccise.
Da questo suicido scaturì una furente sollevazione popolare guidata dal padre di Lucrezia, Spurio Lucrezio, dal marito e dal figlio di una sorella di Tarquinio il Superbo, Lucio Giunio Bruto, fino allora defilato ma destinato a grandi cose. Egli portò il cadavere di Lucrezia al foro e giurò di vendicarne la morte con l'aiuto dei romani e dell'esercito che ancora assediava Ardea. Era il 510 a.C. quando Roma scacciò la dinastia dei Tarquini, ormai completamente screditata e divisa al suo stesso interno, liberandosi della dominazione etrusca e dandosi una nuova forma di governo. Tarquinio il Superbo fu costretto all'esilio e si rifugiò nella città etrusca di Cere, mentre il figlio Sesto fu ucciso a Gabi. Così nasceva, secondo la leggenda, la Repubblica dei consoli.


Il Re deteneva tutti i poteri: emanava le leggi, comandava l'esercito, amministrava la giustizia ed era il capo religioso. Non poteva trasmettere il potere ai propri figli, cioè la sua carica non era ereditaria, ma veniva eletto dal Senato, ossia l'assemblea dei rappresentati delle più nobili famiglie di Roma.





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MessaggioTitolo: Fasi principali della storia romana   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:16 pm


FASI PRINCIPALI DELLA STORIA ROMANA

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Gli stadi evolutivi essenziali della storia sociale romana sono tre e coincidono, all'incirca, con le sue tre macro-fasi istituzionali: la Monarchia, la Repubblica e l'Impero.

Se la prima (di cui in realtà sappiamo molto poco) rappresenta la fase arcaica di Roma, la seconda costituisce invece un momento nella formazione di quell'organizzazione socio-economica il cui esito finale culminerà nella nascita dell'Impero (costituendo perciò il lungo periodo di transizione dall'epoca arcaica a quella più matura pienamente imperiale).

L'Impero, infine, conoscerà dapprima un momento di evoluzione positiva, al quale farà seguito uno di crisi e di recessione economica, il cui culmine sarà costituito dalla caduta dell'Impero d'Occidente.

Principali fasi sociali e economiche della storia romana:

LA FASE MONARCHICA : è quella delle caste e del capitalismo fondiario, nella quale i ricchi proprietari diventano sempre più ricchi, mentre i piccoli (proprio a causa della loro povertà) sono sempre più vincolati ai primi dai debiti: una civiltà caratterizzata, quindi, dal fenomeno del patronato o del clientelismo.

LA FASE REPUBBLICANA : è caratterizzata dalla prima espansione militare, nonché dalla nascita dei primi commerci e dei primi eserciti di professione tutte attività che aiutano la plebe ad accrescere la propria ricchezza e il proprio prestigio politico e sociale: si passa quindi da una società chiusa, fondata sulle caste (nella quale conta essenzialmente la nascita), ad una più aperta, in quanto basata sulle classi (in cui anche la ricchezza, frutto del lavoro e dell'iniziativa privata, diviene una fonte di potere).

LA FASE IMPERIALE : è il periodo - che si estende dalla tarda Repubblica fino al'Impero in cui sorge e si afferma una concezione globale dello stato: lo stato inteso come complesso di regioni che intrattengono tra loro degli scambi commerciali (secondo una modalità capitalistica di tipo distributivo) e culturali.

In essa il latifondo diviene sempre più una - ma non la sola - fonte di ricchezza, poiché gli scambi commerciali costituiscono il complemento della ricchezza puramente agraria: essi pongono infatti in circolazione i prodotti della terra.

Pur fondamentali e potenti, i latifondisti non sono più la sola classe egemone: si affiancano a essi le classi affaristiche e finanziarie (equestri) ma anche la plebe agiata, che vive di commerci o svolgendo mansioni amministrative per l'Impero o infine arruolandosi negli eserciti. [Si ricordi a tale proposito la relazione di reciproco sostegno tra Stato e ceti medi, ovvero tra burocrazia ed eserciti e classi commerciali].

In questi anni si sviluppa un sistema integrato, nel quale le varie classi (fondiarie, finanziarie, commerciali e burocratiche-militari) collaborano al benessere collettivo, mantenendo inoltre i ceti più poveri (essenzialmente la plebe urbana) con le eccedenze della loro ricchezza.

Al vertice di una tale organizzazione, si trovano l'Imperatore e la sua corte il centro direttivo di questo vastissimo e complesso organismo politico (l'Imperatore è inoltre affiancato dalle più antiche istituzioni repubblicane, portatrici essenzialmente degli interessi della nobiltà e dei ceti più ricchi).

Tale situazione 'idilliaca' però (che si protrae approssimativamente dalla nascita dell'Impero fino al periodo di Traiano e Antonino Pio) si interromperà nel terzo secolo, quando una serie di fattori - riconducibili a un abbassamento della produttività (forse per la carenza di schiavi e per la crisi conseguente del sistema produttivo dei latifondi) e all'inizio delle invasioni barbariche su tutti o quasi i confini determineranno una rottura della precedente situazione di armonia sociale.

A questo punto, quell'alleanza tra i ceti che aveva caratterizzato e sostenuto il rigoglio dell'Impero comincia a vacillare: meno produttività significa infatti meno commercio, quindi più povertà, quindi ampliamento dei latifondi (divenuti il più sicuro rifugio alla miseria); mentre maggiori difese militari significano maggiori spese statali e maggiori tasse (quindi, di nuovo, un incremento della povertà…).

Inizia così una fase involutiva, nella quale i latifondi tendono a divenire realtà economiche autonome, isolate dal resto della società e tendenzialmente indipendenti rispetto al resto dello Stato; mentre quest'ultimo tende a considerare tali forze degli ostacoli per il proprio dominio (il che implica la rottura del precedente equilibrio tra città e campagne, elemento fondamentale per la stabilità e il benessere dell'Impero).

Ma, soprattutto, lo Stato è costretto sempre più spesso a difendere i propri confini dai barbari, e per fare ciò deve affidarsi 'anima e corpo' agli eserciti, aumentando inoltre il carico fiscale a danno dei privati cittadini.

Inizia a questo punto una fase ulteriore, segnata dallo strapotere dei soldati e delle truppe insediate stabilmente nelle varie regioni imperiali, nonché di conseguenza dalla tendenza di queste ultime al separatismo e all'irredentismo.

A una tale tendenza, Roma reagirà rafforzando il predominio istituzionale dell'autorità centrale dell'Imperatore, rinnegando tuttavia in tal modo anche quelle antiche tradizioni istituzionali, democratiche e pluralistiche, che avevano caratterizzato i periodi più felici della sua storia.

In questi anni l'Impero romano finisce perciò per perdere quei connotati che aveva avuto sin dalla propria nascita (con Ottaviano Augusto), cominciando ad assomigliare da un punto di vista politico al suo più tradizionale nemico: l'impero persiano.

Rafforzando l'autorità assoluta dell'Imperatore, lo Stato cerca di mantenere il controllo sui tanti particolarismi locali di carattere militare da cui è oramai minato. Tuttavia appare chiaro come una tale situazione in futuro sia destinata a degenerare, essendo le esigenze di difesa militare in costante crescita (e assieme a esse anche i poteri degli eserciti).

Inizia allora un'ultima fase - il cui esito finale sarà costituito dalla nascita dell'economia feudale - in cui lo Stato, indebolito e debilitato dalle contraddizioni che lo minano internamente (essenzialmente la crescita dei latifondi a spese delle città e una militarizzazione esasperata), si alleerà con la nascente Chiesa cristiana, la quale costituirà - soprattutto attraverso le proprie opere di assistenza sociale - un valido complemento e un aiuto per la sua missione civilizzatrice.

La Chiesa guiderà così l'Impero verso una nuova era: un'era che per la parte occidentale ed europea sarà di totale dissoluzione (con la nascita dei regni barbarici), mentre per quella asiatica sarà piuttosto di ristrutturazione, nel segno comunque di un'economia fondamentalmente agraria - seppure caratterizzata, rispetto a quella occidentale, da un numero maggiore di scambi commerciali e culturali.




Fonte:www .homolaicus.com
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MessaggioTitolo: Periodizzazione della storia romana   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:26 pm



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PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA ROMANA



  • La storia di Roma viene suddivisa dagli storici in tre periodi:

    • Monarchia, dalla fondazione (753 a.C.) alla cacciata del re di origine etrusca Tarquinio il superbo (509 a.C.);

    • Repubblica, sino alla fondazione dell'impero per opera di Augusto (30 a.C.);

    • Impero, sino alla caduta dell'ipero d'occidente (476 d.C.).


Roma non ebbe una fondazione precisa. La data del 753 a.C., che non si basa su alcun documento, fu fissata nel I sec a.C. La città ebbe probabilmente origine da poche capanne abitate da pastori, che col tempo si raggrupparono in un villaggio sul colle Palatino, non lontano dal Tevere. Quando Roma diventò la città più forte e ricca del suo tempo, si pretese che le sue origini fossero nobiliari: di qui il ricorso ai miti/leggende (Romolo figlio di Marte, dio della guerra, la madre, Silvia, sacerdotessa della dea Vesta, discendente dell'eroe troiano, Enea, scampato alla distruzione della sua città, poi approdato sulle rive del Lazio).

Durante la fase monarchica, i re di Roma -secondo la tradizione semileggendaria- sarebbero stati sette: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Ad essi la tradizione attribuisce l'organizzazione dello Stato e dell'esercito, del culto religioso, la fondazione del porto di Ostia, la costruzione di ponti, acquedotti ecc. Il nome Tarquinio sta ad indicare che per un certo periodo Roma fu dominata da genti di origine etrusca. Forse Tarquinio il superbo fu cacciato dalla città perché voleva imporre una monarchia assoluta ed ereditaria. Dopo di lui i romani proclamarono la repubblica.

Al tempo della monarchia, il re veniva eletto dal Senato (autorevole consiglio di anziani). Il re governava ed esercitava il potere politico, giudiziario, militare e religioso. La religione era politeistica e naturalistica (divinità dei campi, dei boschi, delle greggi).


  • Gli abitanti di Roma erano distinti in tre classi (guarda il diagramma della Costituzione)

    • patrizi (ricchi e potenti, si consideravano discendenti dei fondatori della città),

    • plebei (umili lavoratori, senza diritti politici: non potevano neppure contrarre matrimoni coi patrizi, né trattare affari);

    • schiavi (all'origine prigionieri di guerra, di proprietà dei padroni cui venivano assegnati; si chiamavano liberti se affrancati).

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Il primo periodo della repubblica si differenzia da quello monarchico sostanzialmente per un fatto: invece di un re in carica fino alla morte, il senato patrizio eleggeva ogni anno due consoli (repubblica aristocratica). Le prerogative religiose erano affidate a un sacerdote apposito. Il governo, anche qui, era in mano ai patrizi, i soli che ricoprivano cariche pubbliche e che erano membri di diritto del senato. Solo loro potevano fare le leggi.

I plebei, pur essendo costretti a partecipare alle guerre, con grave danno per i loro campi e per l'attività artigiana, non avevano il diritto di partecipare alla spartizione dei territori occupati. Sicché, ad ogni guerra il divario tra patrizi e plebei invece di diminuire, aumentava: il rischio maggiore era che, indebitandosi, i plebei finissero tra le fila degli schiavi.

La pretesa parificazione dei diritti con i patrizi, portò i plebei a condurre dure lotte sociali, civili e politiche. Alla fine i patrizi furono costretti a riconoscere due magistrati (tribuni della plebe) come rappresentanti dei plebei in senato. Essi potevano opporre il loro veto alle leggi ritenute anti-plebee.

Ma la più grande conquista dei plebei furono le Leggi delle XII tavole (incise nel 450 a.C. su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, la piazza più importante della città). Esse segnano il passaggio dal diritto orale a quello scritto: affermano il principio dell'uguaglianza davanti alla legge e la sovranità del popolo. Tuttavia, solo dopo circa un secolo e mezzo fu riconosciuto ai plebei il diritto di accedere a tutte le cariche pubbliche.

La concessione dei diritti ai plebei portò le classi e i ceti più agiati a scatenare diverse guerre di conquista contro i popoli vicini, per “recuperare”, per così dire, i privilegi perduti. Roma così poté affermare il suo predominio su Etruschi, Volsci, Equi, Sanniti... (Italia centrale), dopodiché si volse verso sud, impegnandosi nella guerra contro Taranto e altre colonie greche. Tra il V e il III sec a.C. praticamente i romani occuparono tutta la penisola. I popoli conquistati non vennero schiavizzati, ma furono costretti ad accettare le leggi romane, il latino come lingua, alcune divinità religiose ecc.

Fra il III e il II sec. a.C. i romani contadini e guerrieri, com'erano sempre stati, cominciarono ad interessarsi anche di commercio e di navigazione, soprattutto perché, conquistando le città etrusche e greche, erano venuti a contatto con civiltà che per molti aspetti erano superiori alla loro.

L'interesse per gli scambi commerciali portò Roma al conflitto con Cartagine (città fondata dai Fenici), che allora dominava tutto il Mediterraneo. Le “guerre puniche” (fenicie) durarono un secolo e mezzo. Roma rischiò di essere distrutta dalla memorabile impresa del generale Annibale, che dalla Spagna era giunto in Italia passando le Alpi. Tuttavia, Roma non solo occupò la Spagna e altre colonie cartaginesi, ma, non volendo alcun rivale nel Mediterraneo, rase al suolo la città di Cartagine, trasformandola in provincia romana. Nello stesso anno (146 a.C.), anche la Grecia divenne provincia romana.

  • Le idee direttive dell'organizzazione politico-amministrativa delle province:

    1. nessuna uguaglianza di diritti tra romani e popoli assoggettati;

    2. formale rispetto delle tradizioni locali;

    3. diversità di trattamento (divide et impera).


L'egemonia sul Mediterraneo concentrò nelle mani di poche classi agiate enormi ricchezze: in particolare i latifondisti acquistavano grandi proprietà che poi trasformavano in pascoli o che facevano lavorare gratuitamente dagli schiavi comperati a poco prezzo. I proprietari dei piccoli poderi, che coltivavano la terra direttamente, non potevano sostenere sul mercato la concorrenza dei latifondisti. Di qui la necessità di vendere i poderi, di lavorare come braccianti nei poderi altrui, d'indebitarsi, di emigrare...

Fu così che nacquero nuove lotte sociali tra patrizi e plebei. Fra i molti tribuni della plebe che cercarono di difendere gli interessi delle classi meno abbienti, spiccano i nomi di Tiberio e Caio Gracco, la cui riforma agraria prevedeva il frazionamento del latifondo e la distribuzione dei lotti a coloro che s'impegnavano a coltivarli direttamente. Tuttavia i latifondisti seppero opporre un'efficace resistenza.

La lotta sociale tra patrizi e plebei assunse, sul piano politico, la fisionomia di una lotta tra due partiti avversi: democratico (Caio Mario) e aristocratico (Cornelio Silla). Mario si era procurato il favore del popolo per aver immesso nell'esercito anche i cittadini sprovvisti di censo, trasformando l'esercito da cittadino in mercenario. Silla era invece appoggiato dal senato e, dopo aver sconfitto Mario (che non si arrischiò di fare delle riforme “troppo democratiche”), si proclamò dittatore a vita. Il gesto era senza precedenti, poiché la legge romana concedeva il titolo solo in caso di guerra e per non più di sei mesi. Silla tuttavia, due anni dopo, lascerà volontariamente il potere ritirandosi a vita privata, salvaguardando così l'autorità del senato.

Non molti anni dopo, a causa del riaccendersi delle ostilità fra i due partiti e per evitare lo scontro armato, si propose di affidare il potere a un triumvirato: Pompeo (per il prestigio militare), Crasso (per la ricchezza), Cesare (perché capo del partito democratico).

La pace ebbe breve durata a causa delle rivalità tra Cesare e Pompeo. La lotta politica si trasformò in guerra civile e Pompeo ebbe la peggio. La morte di Crasso nella guerra contro i Parti permise a Cesare di farsi conferire dal senato: potestà tribunizia (sua persona sacra e inviolabile, con potere di veto verso le delibere senatoriali), pontificato massimo (suprema carica religiosa), dittatura a vita (tutti i poteri civili e militari).

Cesare segnò il tramonto della potenza del senato e l'inizio del trapasso dalla repubblica all'impero (monarchia militare assoluta e divina). Egli aveva in mente un vasto piano di riforme (ad es. concedere alle province la cittadinanza per romanizzare l'impero), ma non poté realizzarle perché morì in una congiura organizzata dai pompeiani (44 a.C.).



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MessaggioTitolo: Atlante di storia romana    Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:29 pm


Atlante storico - IL MONDO ROMANO (VIII a.C.-V d.C.)

ATLANTE DI STORIA ROMANA,

Roma e l'Italia nel V secolo a.C.

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Le prima e la seconda guerra punica (Prima: 264-241 a.C.; Seconda: 219-202 a.C)

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Espansione di Roma nel mediterraneo tra il III e il I secolo a.C.

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La guerra civile tra Cesare e Pompeo (49-45 a.C.)

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L'impero romano ai tempi di Ottaviano Augusto (31 a.C. - 14 d.C.)


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Massima espansione dell'impero romano alla morte di Traiano (117 d.C.)

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Le vie commerciali e le strade dell'impero romano nel II secolo d.C.

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Diffusione del cristianesimo

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Diocleziano suddivide i territori dell'impero in quattro parti (tetrarchia) sul finire del III secolo d.C.

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Suddivisione definitiva dell'impero in due parti alla morte di Teodosio (395 d.C.): a Onorio l'Occidente, ad Arcadio l'Oriente

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Invasioni barbariche e caduta dell'impero romano d'occidente (476 d.C.)

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MessaggioTitolo: Elenco degli imperatori romani   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:31 pm



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Octavianus Augustus


    ELENCO DEGLI IMPERATORI ROMANI


    Principato

    Augusto (27 AC - 14)
    Tiberio (14 - 37)
    Caligola (37 - 41)
    Claudio (41 - 54)
    Nerone (54 - 68)
    Galba (68 - 69)
    Otone (69 - 69)
    Vitellio (69 - 69)



    Dinastia Flavia

    Vespasiano (69 - 79)
    Tito (79 - 81)
    Domiziano (81 - 96)



    Dinastia Nervano-Antoniniana

    Nerva (96 - 98)
    Traiano (98 - 117)
    Adriano (117 - 138)
    Antonino Pio (138 - 161)
    Marco Aurelio (161 - 180) (co-imperatore Lucio Vero 161 - 169)
    Commodo (180 - 193)



    Dinastia Severiana

    Pertinace (193) (riconosciuto come imperatore da Settimio Severo)
    Settimio Severo (193 - 211) (il trono fu reclamato anche da Didio Giuliano 193, Pescennio Nigro 193 - 194, e Clodio Albino 193 - 197)
    Caracalla (211 - 217)
    Macrino (217 - 218)
    Eliogabalo (218 - 222)
    Alessandro Severo (222 - 235)



    Regnanti durante la Crisi del terzo Secolo

    Massimino Trace (235 - 238)
    Gordiano I e Gordiano II (238)
    Pupieno e Balbino (238)
    Gordiano III (238-244)
    Filippo l'Arabo (244-249)
    Decio (249-251)
    Erennio l'Etrusco (251)
    Ostiliano (251)
    Treboniano Gallo (251-253)
    Emiliano (253)
    Valeriano I (253-260)
    Gallieno (260-268) (Trono reclamato anche da Aureolo 265)
    Claudio II il Gotico (268-270)
    Quintillo (270)
    Aureliano (270-275)
    Tacito (275-276)
    Floriano (276)
    Probo (276-282) (trono reclamato da Saturnino 280, Proculo 280, e Bonoso 280)
    Caro (282-283)
    Carino (283-284) (co-imperatore Numeriano; trono reclamato da M. Aurelio Juliano 283)



    Tetrarchia

    Diocleziano (284 - 305) (co-imperatore Massimiano 286 - 305)
    Costanzo Cloro (305-306) (co-imperatore Galerio 305 - 311)
    Costantino I (306 - 337) (co-imperatori Galerio, Licinio 308 - 324, e Massimino 308 - 313; trono reclamato da Massenzio 306 - 312, e Domizio Alessandro 308 - 309)



    Casa di Costantino

    Costanzo II (337 - 361) (assieme a Costantino II 337 - 340, e Costanzo 337 - 350; trono reclamato da Magnenzio 350 - 353)
    Giuliano (361 - 363). conosciuto anche come l'"Apostata"
    Giviano (363 - 364)



    Dinastia Valentiniana

    Valentiniano I (364 - 375) (co-imperatore Valente 364 - 378; trono reclamato da Procopio 364 - 365)
    Graziano (375 - 383) (co-imperatore Valentiniano II, 375-392; trono reclamato da Magno Massimo, 383 - 388)




    Casa di Teodosio

    Theodosio I (379 - 395; trono reclamato da Eugenio 392 - 394)


    Impero d'Occidente

    Onorio (395 - 423) (co-imperatore Costanzo III 421; trono reclamato da Prisco Attalo 409 - 410 e ancora in 414 - 415, Costantino III 409 - 411, e Giovino, 411 - 412)
    Valentiniano III (423 - 455) (trono reclamato anche da Giovanni 423 - 425)
    Petronio Massimo (455)
    Avito (456 - 457)
    Magioriano (457 - 461)
    Libio Severo (461) - 465)
    Antemio (467 - 472)
    Olibrio (472)
    Glicerio (473 - 474)
    Giulio Nepote - (474 - 475/480)
    Romolo Augustolo 'ultimo' imperatore d'Occidente (475 - 476)



    Impero d'Oriente

    Arcadio (395 - 408)
    Teodosio II (408 - 450)
    Marciano (450 - 457)
    Leone I (457 - 474)
    Leone II (474)
    Zenone (474 - 491)
    Basilisco (475 - 476)
    Zenone (restaurato) (476 - 491)


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MessaggioTitolo: Caio Giulio Cesare   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:33 pm


CAIO GIULIO CESARE

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Caio Giulio Cesare (in latino: Gaius Iulius Caesar; nelle epigrafi C·IVLIVS·C·F·CAESAR e DIVVS IVLIVS; in greco antico ?a?sa?).

Caius Iulius Caesar. Condottiero e statista romano (Roma 101-44 aC). Discendente di antica famiglia patrizia, parteggiò già da giovane per le correnti popolari, anche per l'influsso esercitato su di lui dalla personalità di Mario, che aveva sposato Giulia, sorella del padre. Manifestò clamorosamente i suoi orientamenti quando rifiutò di ripudiare la moglie Cornelia, figlia di Cinna, il nemico di Silla, il quale, per tale rifiuto, lo relegò in Asia (82-78 aC).

Liberatosi fortunosamente dai pirati che si erano impadroniti di lui, rientrò a Roma dove percorse a ritmo rapido, grazie alle sue liberalità verso la plebe e con il concorso finanziario di Crasso, il cursus honorum, fino a ottenere il pontificato massimo nel 63 e la pretura nel 62. Moralmente compromesso nella cospirazione di Catilina, seppe tuttavia estraniarsene in tempo, adoperandosi poi, ma invano, per salvare dalla morte i congiurati. Dopo aver governato con abilità, pur traendone allo stesso tempo larghi profitti, la Spagna Ulteriore, nel 60 si accordò, in quello che fu chiamato primo triumvirato, con Pompeo e Crasso per l'esercizio in comune della supremazia politica.

Questo accordo gli valse da una parte il consolato per il 59, che tenne promulgando importanti leggi di riforma (tra cui due agrarie a beneficio dei veterani di Pompeo e della plebe), e dall'altra l'attribuzione, dopo il consolato, del proconsolato nelle Gallie per un quinquennio, proconsolato che gli sarà poi prorogato per altri cinque anni nell'incontro dei triumviri avvenuto a Lucca nel 56, in cambio di analoghi poteri militari concessi in Spagna a Pompeo (al quale Cesare aveva intanto dato in sposa la figlia) e a Crasso in Siria.

In otto anni di dura guerra (58-51), con una triplice campagna, contro gli Elvezi, i Belgi e gli Aquitani, Cesare conquistò tutta la Gallia, assicurandola al dominio romano. Per consolidare l'autorità di Roma, combatté vittoriosamente contro le popolazioni germaniche stanziate al di là del Reno (55) e fece due spedizioni in Britannia nel 55 e 54, tentando di soggiogare quei popoli che negli anni precedenti avevano più volte inviato aiuti ai Galli. Sarebbe riuscito certamente anche in quest'ultima impresa se non avesse dovuto far fronte a una ribellione dei Galli, i quali, superate finalmente le divisioni interne, si erano uniti sotto la guida di Vercingetorige, capo degli Arverni, contro i Romani. Con la battaglia di Alesia (52) Cesare, debellata la rivolta, poté considerare conclusa la grande impresa che, mentre dava una nuova e vasta provincia al dominio romano, assicurava la sua personale ascesa politica.

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Vercingetorige getta le sue armi ai piedi di Cesare. Dipinto di Lionel Royer, 1899, Musée Crozatier a Le Puy



Tuttavia a Roma tanti successi furono sentiti come minaccia alla libertà repubblicana. Lo stesso Pompeo si allineò dalla parte dell'oligarchia senatoria. La rottura avvenne nel 49 quando si pretese da Cesare, quale condizione per porre la candidatura al secondo consolato promessogli a Lucca, la presenza a Roma come privato cittadino. Il conquistatore delle Gallie intuendo il pericolo di trovarsi alla mercé degli avversari, varcò in armi il Rubicone che segnava a nord il limite dell'Italia entro il quale non potevano sostare magistrati investiti di imperium provinciale.

Fu questo l'inizio della guerra civile che durò quattro anni. Preso alla sprovvista, Pompeo dovette fuggire in Grecia per raccogliervi un esercito, ma Cesare, dopo averne neutralizzato le altre forze dislocate in Spagna, lo sconfisse, nel 48, a Farsalo. Portatosi quindi in Egitto, dove punì gli uccisori di Pompeo, vi sostò qualche tempo presso Cleopatra che ripose sul trono dei Tolomei. Vinse poi nel 47 Farnace, re del Bosforo, a Zela (donde il famoso messaggio al Senato veni vidi vici), batté successivamente gli ultimi seguaci di Pompeo in Africa a Tapso (46) e in Spagna a Munda (45).

Ormai era padrone incontestato di Roma e del mondo mediterraneo. La dittatura, che nel 46 gli era stata concessa per dieci anni, gli venne ora data a vita. Ricevette inoltre la tribunicia potestas che rendeva inviolabile la sua persona. Come imperator disponeva di tutte le forze militari.


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Opera moderna in bronzo presso i Fori Imperiali - Limperatore appare nelle sue vesti stupende di somma guida di Roma e alla base del monumento campeggia le sigla SPQR, ovvero l'acronimo Senatus Populus Que Roamnus, a sottotitolare patrizi, plebe, perchè tutta l'intera Urbe amava Giulio Cesare.



Questa somma di poteri e prerogative, che il Senato, ormai del tutto prono, ingrandì con speciali leggi, consentì a Cesare di legiferare liberamente promovendo nel giro di pochi mesi una serie di riforme: allargò i quadri del Senato, aumentò il numero dei magistrati, riformò il calendario, riorganizzò, con la Lex Iulia Municipalis, i municipi e le colonie, fondò, tra tante altre colonie a favore dei suoi veterani, quelle di Cartagine e Corinto (le città distrutte dai Romani nel 146), difese i provinciali dagli abusi dei pubblicani, contenne gli eccessi del capitale fondiario e mobiliare, stabilì un imponibile di mano d'opera libera nelle grandi aziende agricole, ecc.

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La sua mira era quella di creare una grande unione politica della quale la sua persona fosse al centro, e perciò perdonò con magnanimità i suoi avversari, o addirittura li fece oggetto di benefici. Ma se in Roma esercitò il potere nel quadro delle tradizionali magistrature repubblicane, per l'Oriente reputò di dover lui stesso disporre di poteri regali, al di sopra dei re, e perciò predispose i suoi piani in tal senso. Si convinse anche che lo Stato dovesse essere modificato nelle sue strutture, con al vertice una nuova figura politica cui occorreva un fondamento di continuità, e perciò adottò il nipote Ottavio, il futuro Augusto, che mandò ad Apollonia, in Grecia, dove stava preparando la grande spedizione di rivincita contro i Parti, dalla quale, si diceva, sarebbe rientrato con l'aureola regale.

Queste innovazioni crearono disagio e timore negli esponenti dell'aristocrazia senatoria più legati alle antiche concezioni della libertà repubblicana. Anche le insegne esteriori di cui Cesare si circondò accentuarono l'avversione al suo regime personale e provocarono il formarsi di una congiura per la sua soppressione, congiura nella quale, accanto a nobili intenti, giocarono anche rivalità personali.

Il 15 marzo del 44 aC (Idi di marzo), mentre presiedeva a una seduta in Senato, Cesare fu colpito dai congiurati con 23 pugnalate, di cui una sola mortale, cadendo riverso ai piedi della statua di Pompeo.

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La morte di Giulio Cesare – Vincenzo Camuccini (1798)


Il momento più drammatico della congiura contro Cesare, quando il console cade trafitto ai piedi della statua di Pompeo, è rappresentato, secondo i principi della pittura neoclassica, in questa grande tela dipinta da Vincenzo Camuccini (Roma 1771-1844). Il dipinto è oggi conservato a Napoli, presso il Museo Nazionale di Capodimonte.



La figura di Cesare va giudicata come una tra le più geniali e prestigiose dell'antica Roma, così significativa che il suo cognome divenne titolo distintivo degli imperatori romani, sopravvivendo, come sinonimo di sovrano, fino ai tempi moderni in termini come Kaiser e Zar.

Cesare fu anche uno tra i massimi scrittori della latinità. La sua opera letteraria è strettamente legata con la sua attività politica e militare.

Educato da un illustre grammatico, nativo della Gallia, Marco Antonio Gnifone, e alla scuola del famoso retore Molone di Rodi, Cesare fu celebre come oratore dall'eloquenza concreta, precisa e limpida.

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OPERE
Tra le sue opere minori, di cui restano pochi frammenti, si ricordano la tragedia Oedipus, un trattatello di grammatica, De analogia, in cui sosteneva il purismo alessandrino, l'Anticato (46), libello polemico composto in risposta all'elogio di Catone Uticense scritto da Cicerone, l'Iter, un poemetto sul viaggio in Spagna.

Ci sono invece giunti completi i due capolavori di Cesare, i Commentarii de bello Gallico (Commentari della guerra gallica) e i Commentarii de bello civili (Commentari della guerra civile).

I primi sembra siano stati scritti alla fine delle vittoriose campagne in Gallia (52 o 51 aC), sulla scorta di appunti e dei rapporti via via inviati al Senato. Constano di sette libri, ognuno corrispondente a un anno di guerra (58-52). Un ottavo libro fu aggiunto da un devoto generale di Cesare, Aulo Irzio, che, narrando gli ultimi atti del governo di Cesare in Gallia nel 51 e 50, volle collegare quest'opera alla seguente, sulla guerra civile.

Anche i Commentarii de bello civili furono composti dall'autore quando ormai le operazioni militari erano concluse, nel 45, e con uno spiccato intento apologetico: quello di mostrare come egli fosse stato costretto a scendere in guerra dagli avversari, che lo avevano spogliato di ogni potere. Sono tre libri e narrano solo due anni di lotta, il 49 e il 48; la morte dell'autore ne impedì la conclusione e Aulo Irzio ancora vi aggiunse col Bellum Alexandrinum , in un libro, gli avvenimenti d'Egitto e altri, fino al 47; mentre poi gli anonimi Bellum Africanum e Bellum Hispaniense ci portano fino alla sconfitta definitiva dei Pompeiani, nel 45.

Due elementi contribuiscono al fascino di queste opere storiche di Cesare: la grandiosità delle gesta narrate e lo stile del narratore. Il De bello civili forse risente più palesemente di una necessità propagandistica, secondaria in effetti, ma pure non del tutto dimenticabile dall'autore stesso, che tratta una materia troppo incandescente, soggetta a dispute e determinante per gli sviluppi della sua politica successiva. Ma soprattutto il De Bello Gallico ci fa assistere, con una precisione di linguaggio assoluta, con una nitidezza di fantasia impressionante, con una concretezza rara di particolari, al progressivo svolgersi degli avvenimenti di una delle più grandi gesta militari di tutti i tempi. La personalità dell'artista domina il racconto con la medesima sicurezza con cui il condottiero aveva dominato i fatti in campo; lo stesso artificio di nascondersi sotto la terza persona, anziché narrare in prima persona, sottolinea l'oggettività e quindi accresce la persuasività dell'esposizione. Tanto più riescono efficaci, in queste pagine lucide, i momenti di più scoperta emozione: ma tutta l'opera, nella tensione stessa con cui la materia viene continuamente dominata, è profondamente emotiva. Né, accanto alle doti evidenti del capo, si manca di mettere in luce anche la devozione, gli eroismi e le capacità di tutti i soldati, protagonisti essi pure di questa vera epopea.


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MessaggioTitolo: Il Colosseo   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:37 pm


IL COLOSSEO - L'ANFITEATRO FLAVIO

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STORIA E ARCHITETTURA

“Quando stat colyseum stat et Roma et stat et mundus quando cadet colyseum cadet et Roma quando et Roma cadet et mundus”

Così il venerabile Beda, nel IX secolo definisce il Colosseo, ormai simbolo unico e incontrastato di Roma; la sua imponenza e bellezza sono responsabili di tale considerazione presso i romani e i visitatori che per secoli e da secoli rimangono affascinati da Roma e dalle vestigia romane e cristiane che ne hanno fatto la capitale della paganità e del cattolicesimo. Questo splendido monumento inserito nel centro della maglia urbana della città di Roma , risulta uno dei pochi monumenti che sono pervenuti nella civiltà contemporanea della antica Roma. Il Colosseo, come tutto il centro storico di Roma, è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall' UNESCO nel 1980.

La costruzione dell' Anfiteatro Flavio ebbe inizio nei primi anni del regno di Vespasiano, nella valle compresa tra Palatino, Esquilino e Celio, che in precedenza aveva costituito il centro della Domus Aurea. L'edificio sorse sul luogo dello stagno artificiale, opera di Nerone: anche in questo caso, emerge la politica demagogica di vespasiano, che restituisce al pubblico godimento le parti della città incluse da Nerone nella sua casa gigantesca (lo stesso avverrà con le Terme di Tito, che rimpiazzeranno forse quelle private della Domus Aurea, e con le statue, sottratte all'abitazione di Nerone ed esposte nel tempio della Pace). Il Colosseo, non ancora terminato, fu dedicato una prima volta da Vespasiano prima della morte. Tito portò a termine i lavori e procedette a una seconda grandiosa cerimonia dedicatoria nell'80, che durò cento giorni; l'opera fu rifinita da Domiziano, che condusse i lavori "fino agli scudi" che decoravano l'ultimo ordine esterno. E' probabile che solo sotto questo imperatore si siano creati i sotterranei in muratura dell'arena, altrimenti mal si comprenderebbe la notizia di naumachie (battaglie navali) date sotto Vespasiano e Domiziano; da allora infatti si parlò solo di giochi di gladiatori (munera) e cacce di animali (venationes).


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Pollice Verso il basso, un dipinto di Jean-Léon Gérôme del 1872

L'altezza dell'anello esterno è quasi di 50 m, il diametro maggiore dell'ellissi misura 188 m, il minore 156. Si è calcolato che il travertino impiegato oltrepassasse i 100.000 m³ e il ferro necessario per le grappe le trecento tonnellate. L'anello esterno comprende quattro piani sovrapposti: i primi tre costituiti da arcate inquadrate da semi colonne, tuscaniche quelle del primo piano, ioniche quelle del secondo, corinzie quelle del terzo. Un quarto piano cieco (una sorta di attico) è scompartito da lesene, anch'esse corinzie. Ogni due scomparti si apre una finestra quadrata; una serie di mensole (tre per partizione) sono inserite a due terzi della altezza , in corrispondenza di altrettanti fori nel cornicione (in tutto 240) : qui passavano i pali che servivano a sorreggare il grande velario a spicchi, destinato a riparare gli spettatori dal sole. Una squadra di marinai del porto militare di Miseno era addetta a manovrare il velario: essi avevano stanza in un'apposita caserma, nelle immediate vicinanze dell' anfiteatro (Castra Misenatium). Le arcate a pianterreno, 80 in tutto, davano accesso alle scalinate che portavano ai vari settori della cavea: un sistema complesso, simile a quello degli stadi moderni, che permetteva la rapida evacuazione degli spettatori. Sopra ognuno degli archi superstiti è ancora indicato il numero progressivo, che corrispondeva al numero di biglietto (tessera) di cui ogni spettatore era munito. I quattro ingressi posti in corrispondenza degli assi principali non avevano numero. L'unico di essi ancora conservato, quello settentrionale, mostra tracce evidenti di un portichetto, che lo doveva caratterizzare in modo particolare. Inoltre, sulla volta del corridoio corrispondente si notano ancora notevoli resti di stucchi figurati. era proprio questo l'ingresso d'onore che portava alla tribuna imperiale, collocata al centro del lato nord. Gli altri tre ingressi dovevano avere la stessa funzione per categorie privilegiate come i magistrati, le vestali. Quello che resta della cinta esterna è sostenuto da altissimi muraglioni costruiti nel 1820 per ordine di Pio VII. I numerosi fori tra i giunti dei blocchi furono praticati nel Medioevo per recuperare i perni di ferro. Quasi cinquant'anni fa si stabilì il sistema utilizzato per la costruzione. La presenza del bacino neroniano, una volta svuotato dall'acqua, permise di ridurre i lavori di scavo per le fondamenta. I muri radiali costruiti i blocchi di tufo al pianterreno, in mattoni al primo piano, non sono coerenti con i pilastri di travertino; ciò induce a pensare che essi siano di costruzione postweriore a quella dei pilastri. Si procedette dunque ad innalzare la gabbia portante. Fu così possibile operare contemporaneamente in basso e in alto. A causa delle diversità tecniche si può stabilire che lavorarono quattro cantieri diversi.



L'interno del Colosseo, semicrollato e spogliato delle gradinate, può dare solo una pallida idea dell'aspetto originario; a ciò contribuisce la mancanza del piano dell'arena, che mette allo scoperto i sotterranei di servizio.Questi sotterranei avevano la funzione di ospitare tutti quei servizi che erano indispensabili per lo svolgimento dei giochi. All'interno dell'anfiteatro sono visibili grandiosi piani inclinati in blocchi di tufo, destinati a far emergere qualsiasi tipo di scenario: gli scrittori contemporanei ricordano con ammirazione l'improvvisa apparizione di colline e foreste. L'arena era coperta da un grande tavolato ligneo; ciò spiega la violenza del fuoco nel 217, quando l'incendio ebbe inizio proprio da lì. Tra essa e il corridoio veniva fissata al momento degli spettacoli, una pesante e robustissima rete di protezione sostenuta da antenne; queste erano incastrate tra due mensole, collocate più in basso. In alto, la rete, che ci è descritta da uno scrittore antico, era dotata di denti di elefanti, a mo' di spunzoni, e di rulli di avorio ruotanti orizzontalmente, che impedivano la presa alle fiere che avessero tentato di scavalcarla. per ogni evenienza, comunque, nel corridoio che correva tra la cavea e la rete doveva essere in permanenza una squadra di arcieri, che prendevano posto forse all' interno delle nicchie aperte nel podio.


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L'Ave, Caesar, morituri te salutant indirizzato dai gladiatori a Vitellio, nella visione artistica di Jean-Léon Gérôme (1859)

La cavea era divisa in cinque settori sovrapposti: dopo un gruppo di pochi gradini, immediatamente successivi alla recinzione, seguivano tre settori (maeniana), mentre un quarto, con gradinate di legno, era colooccato alla sommità dell' anfiteatro, al di sotto di un colonnato (maenianum summum in ligneis). Anche allora, come adesso, esistevano varie categorie di posti. Per accedervi non vi era alcuna differenza nella somma pagata: infatti l'ingresso era gratuito. Qui emerge chiaramente la struttura rigorosamente classista della società romana: ogni categoria della popolazione poteva accedere solo ai posti ad essa riservati. Leggi inproposito erano state promulgate fin dall' età repubblicana. In particolare, i posti più vicini all' arena erano riservati alla classe senatoria; i quattordici gradini successivi (il primo meniano, quindi) ai cavalieri, e poi via via scendendo nelle gerarchie sociali. Un settore di posti nel maenianum summum , quello di legno, considerato il peggiore, era destinato alle donne, da quando il Divo Augusto, per ragioni morali aveva considerato opportuno porre termine alla promiscuità nei luoghi di spettacolo (i quali, come ricorda Ovidio nell' Arte Amatoria, erano particolarmente indicati per fare qualche piacevole conoscenza). Un documento prezioso, a questo riguardo, è costituito dai gradini superstiti: su di essi sono incise iscrizioni che precisano la destinazione dei posti. Ad esempio: equitibus romanis (per i cavalieri romani), pedagogis puerorum (per i maestri elementari), hospitibus publicis (per gli ospiti pubblici), clientibus (per i clientes, cioè, in età imperiale la plebe cittadina), Gaditanorum (degli abitanti di Cadice) ecc. Come si vede si tratta sempre di posti non individulai, ma destinati ad intere categorie di persone. Ciò risulta tra l'altro da una celebre iscrizione, databile alol'anno stesso (l'80) in cui fu inaugurato l'anfiteatro, e nella quale si riporta un decreto con cui si concedono alla corporazione sacerdotale degli Arvali (12 persone in tutto) un discreto numero di posti (per una lunghezza di 129 piedi circa, cioè più di 38 metri) per gli Arvali stessi, le loro famiglie, i loro araldi, ecc.; ben inteso, in vari punti dell'anfiteatro, a seconda del rango sociale. L'unica eccezione a questa regola è costituita proprio dalle gradinate riservate all' ordine senatorio, che erano costruite interamente di marmo (e non di mattoni, con la sola inserzione del blocco marmoreo per l'iscrizione, come nel resto della cavea). In effetti, su questi gradini sono incisi i singoli nomi, che furono sostituiti più volte e mostrano quindi cancellature e rifacimenti. I nomi che ci sono rimastri sono quindi quelli più recenti; uno studio recente di queste iscrizioni ci ha permesso di conscere il nome di 195 senatori dell'epoca di Odoacre.

L'edificio, colpito da incendi e terremoti, fu restaurato varie volte; ci risultano lavori di Nerva, di Antonino Pio, di Elagabalo, di Alessandro Severo e forse di Gordiano. Questi disastri si intrecciano con varie limitazioni agli spettacoli, dovute all'intervento degli imperatori cristiani: all'inizio del V secolo, Onorio abolisce i giochi gladiatori. Ristabiliti all'inizio del regno di Valentiniano III, essi furono definitivamente proibiti dallo stesso imperatore nel 438. Rimasero solo le venationes, che però dovevano subire la concorrenza delle corse dei carri nel circo. L'uso dell'anfiteatro cessò con il regno di Teodorico; l'ultimo spettacolo di cui abbiamo notizia ci è ricordato da una lettera di Teodorico al console designato per il 523, Massimo, il quale chiedeva di poter festeggiare l' assunzione della carica con una venatio. Dal VI all'XI secolo, quando sarà occupato dalla famiglia Frangipane, che ne farà un castello, sulle gradinate deserte e nell'arena vuota del Colosseo scenderà il silenzio. Accanto al Colosseo, tra questo e la via dei Fori Imperiali, è visibile sulla pavimentazione stradale il disegno di un grande quadrato, ottenuto con pietre di colore diverso. Qui era la base della statua bronzea colossale di Nerone, i cui resti furono vandalicamente demoliti per l'apertura della via dei Fori Imperiali, nel 1936. Questa statua fu eseguita su modello del Colosso di Rodi; ma quello di Roma superava i 35 metri al contrario di quello di Rodi che raggiungeva solo i 32. La statua, un ritratto di Nerone identificato con Helios, era in origine al centro dell'atrio della Domus Aurea, nel luogo dove più tardi Adriano fece costruire il tempio di Venere. Alla fine del regno di Nerone, per damnatio memoriae, alla statua furono cambiati i tratti, in modo da trasformarla in una statua di Helios. Più tardi Commodo ne farà un Ercole dandole ancora i propri tratti: ma dopo la sua morte di nuovo la statua recuperò la sembianze di Helios. Il nome di "Colosseo", attribuito all'anfiteatro per la èprima volta nell'VIII secolo, deriva non dalle proporzioni di questo, bensì dalla vicinanza della statua colossale.





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MessaggioTitolo: I Gladiatori   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:38 pm


I GLADIATORI

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Molti Romani per svagarsi andavano ad assistere agli spettacoli pubblici, molto successo avevano le lotte tra gladiatori, che si svolgevano in edifici appositamente costruiti: gli "anfiteatri", un esempio è il Colosseo. Con il termine "gladiatore" si indica un particolare tipo di lottatore: il nome deriva da "gladio", una piccola spada corta usata molto spesso nei combattimenti, anche dai soldati.



I gladiatori erano reclutati fra gli schiavi o i prigionieri di guerra, ma c'erano anche uomini liberi molto robusti che, per povertà, decidevano di affrontare i rischi di questo mestiere pericoloso. Molto popolari e acclamati erano riuniti in compagnie e addestrati in apposite palestre da un allenatore detto "lanista", che era anche il loro padrone. Ve ne erano di diverse categorie, a seconda del luogo d'origine o dalle armi utilizzate per combattere.

Tipi di Gladiatori e Familiae

Vi erano diverse specializzazioni (familiae) di gladiatori, che si distinguevano dal costume, dalle armi impiegate e dalla diversa armatura. Le principali tipologie di gladiatori erano:

Il TRAEX (Trace)
Il “Traex” apparteneva alla categoria dei gladiatori "Parmularii”. Si proteggeva con un piccolo scudo rettangolare o circolare (parma) e per l’attacco impugnava una corta spada curva chiamata “Sica”. Le protezioni per il corpo erano composte da due schinieri che arrivavano fino al ginocchio (cnemides) e da cosciali fatti da strisce di cuoio o metallo, sovrapposte che proteggevano la parte superiore della gamba fino all’inguine (questa parte del corpo poteva anche essere protetta solamente da imbottiture, in questo caso si utilizzavano anche degli schinieri che sopra il ginocchio avevano un’ulteriore placca metallica).
Ben protetto era anche il braccio armato: tale protezione (manica) poteva essere di metallo, di cuoio, o semplicemente si utilizzava solo l’imbottitura. Il parabraccio aveva, tra l’altro varie lunghezze: poteva proteggere solo la parte anteriore o poteva arrivare sino alla spalla e oltre. Per la testa, il gladiatore trace, indossava un elmo (galea) dall’ampia visiera e che proteggeva anche il volto. L’elmo era inoltre sormontato da un lophos metallico che terminava sul davanti con una protome a testa di grifone, animale mitologico dal corpo di leone e dalla testa di uccello rapace a cui il traex si ispirava quando combatteva nell’arena; quindi il gladiatore eseguiva, probabilmente, movimenti veloci, scattanti, accompagnati anche da salti che dovevano apparire molto spettacolari e avvincenti.

Il MURMILLO (Mirmillone)
Il “Murmillo” apparteneva alla categoria dei gladiatori "Scutati”. Si proteggeva con un grande scudo rettangolare (scutum) che copriva completamente il corpo dalla spalla fin sotto il ginocchio. Per l’attacco impugnava la corta spada romana (gladium). Le protezioni per il corpo erano limitate ad un solo schiniere nella gamba sinistra ma a differenza del trace questo, solitamente, proteggeva soltanto la tibia ed era quindi di dimensioni più piccole (ocrea); anche in questo caso la gamba poteva essere protetta solamente da imbottiture, comunque presenti anche nel primo caso. Sempre protetto era anche il braccio armato: tale protezione (manica), come per tutti gli altri gladiatori, poteva essere di metallo, di cuoio, o semplicemente si utilizzava solo l’imbottitura. Anche in questo caso il parabraccio aveva varie lunghezze. Per la testa, il mirmillone, indossava un elmo (galea) dall’ampia visiera e che proteggeva anche il volto. L’elmo era inoltre sormontato, almeno in origine, da un lophos metallico a forma di pesce, myrmoros (in greco) o murma (pesce di mare), animale che sembra dare il nome a questa categoria che infatti, probabilmente, combatteva ispirandosi a tali animali: il grande scudo poteva fungere da scoglio, grazie al quale ci si poteva sia rifugiare, per evitare gli attacchi nemici, ma anche uscire con rapidi attacchi per poi ripararsi nuovamente dietro di esso.

Il RETIARIUS (Reziario)
Il “Retiarius” apparteneva alla categoria dei gladiatori considerati “leggeri” e di cui sicuramente ne era l’esempio più rappresentativo visto la quasi totale mancanza di protezioni per il corpo. Tale gladiatore infatti non portava nessun tipo di elmo né alcun tipo di protezione per le gambe. Le uniche cose utilizzate per la difesa erano un parabraccio (manica) e una placca metallica (galerus) atti a difendere la parte sinistra del corpo compresa la spalla e la faccia. Tale armamento permetteva però al reziario di essere agile, estremamente libero nei movimenti e di godere tra l’altro di una visuale che gli altri gladiatori, dotati di elmo, non avevano.
Come arma offensiva primaria portava un tridente (tridens o fuscina) ma aveva anche un piccolo pugnale (pugio) che portava inserito nella cintura (balteus) o che teneva nella mano sinistra.

Completava l’armamento una rete (iaculum, di circa tre metri di diametro e con dei pesi all’estremità, con cui il reziario cercava di intrappolare l’avversario complicandogli i movimenti. Molto spesso i reziari vengono rappresentati con delle fasciature (fascia) alle caviglie o anche sotto le ginocchia, in questa zona erano presenti in alternativa delle frange a “denti di lupo” che abbellivano il gladiatore.

Le stesse decorazioni venivano portate anche dai murmillones e dai secutores nella gamba destra (non armata).

Il SECUTOR
Il “secutor” apparteneva alla categoria dei gladiatori “Scutati” così come i murmillones da cui probabilmente deriva visto che l’armamento utilizzato è pressoché identico. Come l’altro gladiatore infatti anche il secutor si proteggeva con lo scutum e utilizzava per l’attacco il gladius, portava elmo (galea), manica, e l’ocrea alla gamba sinistra.

A differenza del mirmillone però questo gladiatore combatteva solamente contro il reziario e perciò alcune parti del suo armamento difensivo furono “specializzate” per tale scontro così da rendere più difficoltosa la lotta all’avversario.

La prima e più importante di queste differenze stava nel tipo di elmo indossato: questo era completamente liscio e con forme tondeggianti. La soluzione adottata impediva così alla rete (iaculum) di trovare appigli e quindi era più facile che scivolasse via soprattutto se il reziario, una volta lanciata, la strattonava per cercare di far perdere l’equilibrio al secutor.

Altro accorgimento utilizzato era quello di imbracciare uno scudo con forma tondeggiante nella parte superiore, trovata questa che impediva alla rete di incastrarsi negli spigoli che si trovano in uno scutum “normale” di forma rettangolare. L’elmo aveva inoltre solo due piccoli fori per gli occhi, che rendevano quasi impossibile al tridente di colpire il volto.

Alcuni secutores portavano anche delle particolari gorgere per avere una maggiore protezione al collo. Come i reziari e i mirmilloni anche questi gladiatori avevano delle fasciature nella caviglia e/o sotto il ginocchio della gamba non protetta (la destra).

Lo stile di combattimento del secutor doveva essere improntato nel cercare di chiudere la misura all’avversario di modo che quest’ultimo, utilizzando un’arma in asta ed essendo poco protetto, potesse essere poco efficace nel combattimento corpo a corpo. Tra l’altro lo stesso nome di questa tipologia di gladiatore, che significa “colui che insegue”, ci informa sul suo modus pugnandi.


L'HOPLOMACUS (Oplomaco)
In origine erano i Sanniti, ma con la riforma di Augusto, il loro nome fu cambiato in Oplomachi. Apparteneva alla categoria dei gladiatori considerati “Scutati”. Questi gladiatori prendevano il loro nome dall’armatura, Oplòmachos, voce greca che significava combattente con arma pesante. Vestivano alla vita uno stretto balteus variamente colorato frangiato al bordo basso per coprire il sospensorio, portavano sul capo un elmo pesante dagli ampi paragnati e spiovente paranuca con alto pettine sulla calotta. Il braccio destro era coperto da una manica di cuoio rinforzato per parare i colpi degli avversari. Brandivano una lancia (in alcuni casi anche il gladio) e con la mano sinistra impugnavano uno scudo solitamente rotondo. Le protezioni per il corpo erano composte da due schinieri che arrivavano fino al ginocchio (cnemides) e da cosciali fatti da strisce di cuoio o metallo, sovrapposte che proteggevano la parte superiore della gamba fino all’inguine (questa parte del corpo poteva anche essere protetta solamente da imbottiture, in questo caso si utilizzavano anche degli schinieri che sopra il ginocchio avevano un’ulteriore placca metallica).


IL DIMACHERIUS (Dimacherio)
Questi gladiatori apparteneva alla categoria dei gladiatori “leggeri" e prendevano il loro nome dalla parola Di-màcheros, cioè chi nell’arena duellava con due corte spade (i macharai, da cui deriva il nome, o due siche). Sul loro vestiario ci sono pareri discordanti e le scarsissime fonti iconografiche non aiutano come in altri casi. Una delle ipotesi è che potevano vestire una semplice tunica senza portare alcun altra protezione (né elmo né armatura) e solo le loro braccia potevano essere coperte da maniche di cuoio rinforzato o ricoperte di cotta di maglia. In altra ipotesi (suffragata questa dal bassorilievo a lato) il gladiatore indossa una tunica (che forse è una lorica hamata), ha un elmo avvolgente e le gambe protette da gambali.

Queste due ipotesi, se analizzate da un punto di vista di logiche di combattimento, lasciano molto perplessi (sono troppo poco protetti: nel primo caso a testa e corpo, nel secondo alle braccia), a meno che questi gladiatori combattessero solo fra di loro (come i Provocatores) dove qualsiasi tipo di protezione non favoriva o sfavoriva l'avversario.

I PROVOCATORES
Questi gladiatori prendevano il nome dal verbo latino provocare, che nel linguaggio militare (sermo castrensis) indicava i legionari armati alla leggera (velites) che aprivano il combattimento, provocando il nemico in battaglia.

Erano quelli che "riscaldavano" il pubblico, erano proposti all'inizio dei combattimenti.

Il loro armamento ricordava proprio i legionari: erano dotati di gladio, grosso scudo trapezioidale curvo, elmo da legionario (con l'aggiunta di protezioni al viso), protezione al braccio armato e schiniere alla sola gamba sinistra.


TIPOLOGIE MINORI

Col passare del tempo, il desiderio di novità del pubblico portò all’avvento di nuove specialità. La maggior parte dei duelli e degli spettacoli vedevano comunque sempre affrontarsi Traci e Mirmilloni o Retiarii e Oplomachi.

ANDABATI: questi gladiatori combattevano a cavallo come spiega la parola greca. Gli Andabati cercavano alla cieca di raggiungere l’avversario guidandosi sul rumore della sabbia e sul tintinnio delle armi poiché un elmo a tutta calotta, senza buchi toglieva ad essi la vista. L’introduzione di tale specialità sviliva la qualità del combattimento riducendo il tutto ad una buffonata tra ciechi, anche se gli spettatori ne apprezzavano la goffaggine.


ESSEDARII: questi gladiatori prendevano il nome dalla voce essedum, il carro da guerra gallico. Gli Essedarii combattevano da carri trainati da un tiro di cavalli a due e guidati da un auriga. L’abilità del combattimento a piedi si univa in questi all’abilità del combattimento dei carri.


VENTILATORI: questi gladiatori prendevano il nome dalla voce latina ventilare, ovvero menare colpi contro avversari inesistenti. Le loro esibizioni con il tempo diventarono solo uno spettacolo da giocolieri e perdevano le caratteristiche dei veri gladiatori.


SESTERTIARII: il loro nome derivava della parola sestertium e indicava il loro basso premio d’ingaggio, perché inesperti nell’uso delle armi o spesso perché anziani dal fisico debilitato.


TERTIARII: questi gladiatori prendevano nome dal numero tres, perché la legge dell’arena li obbligava a prendere il posto del gladiatore fuori combattimento per proseguire il duello con il vincitore.

Interessante il fatto che essendo unicamente delle “riserve”potevano essere di qualsiasi specialità.


POSTULATICII: questi prendevano il nome dalla voce postulare, chiedere, poiché scendevano nell’arena a gran richiesta del pubblico e col permesso dell’imperatore.


CATERVARII: questi prendevano il nome dalla voce latina caterva, ovvero confusa massa d’uomini. I catervarii in gruppo scendevano nell’arena e in massa duellavano in mischia e confusione per dar spettacolo di un combattimento tumultuario nel quale non valeva la perizia e poca importanza aveva la fortuna.


MERIDIANI: questi prendevano il nome dall’ora nella quale scendevano nell’arena per riempire il vuoto tra un’esibizione e l’altra, durante l’ora del pranzo.


LAQUEATORES: questi prendevano il nome dalla voce latina laqueum, il laccio. Armati di lungo laccio cercavano di bloccare con esso l’avversario armato di lunga lancia, per atterrarlo e finirlo con un colpo di pugnale (sica).


CATAFRATTI: questi prendevano il nome dalla corazzatura, catàphragma, che li copriva dalla testa ai piedi. La particolare corazzatura li poneva nella categoria dei gladiatori pesanti, più indicati alla difesa che all’attacco.


RUDIARII: questi prendevano il nome dalla piccola spada di legno, rudis, che veniva loro donata all’atto del congedo dall’anfiteatro per le vittorie. Mandati in congedo questi gladiatori non potevano essere costretti a rientrare nell’arena.


CUBICULARII: questi prendevano il nome dalla voce latina ficus, che indicava il tesoro privato degli imperatori. Specialiste nelle diverse categorie formavano la truppa (famiglia) dell’imperatore e godevano di grande fama presso il pubblico.

CAESARIANI: questi prendevano il nome dalla voce latina Caesar, passata ad indicare lo stesso imperatore. I caesariani erano i gladiatori della truppa imperiale o i gladiatori che provenivano dalla caserma cesariana di Capua.

AULICI: questi prendevano il nome dalla voce latina aula, che per sineddoche indicava la corte imperiale. Essi avevano a che fare con la corte come i gladiatori appartenenti alla truppa dell’imperatore.

PEGMARII: questi prendevano il nome dalla parola greca pegma, che indicava una qualunque costruzione solida. Nell’anfiteatro essa indicava la torre che gli inservienti (calones) alzavano nell’arena e che sui merli portava scudi e armi. I Pegmarii posti di fronte alla torre e divisi in schiere attaccavano o difendevano al torre simulando realmente la manovra ossidionale che spingeva gli uni ad impadronirsene, gli altri a difenderla da chi voleva conquistarla.


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Queste nuove specialità soddisfacevano il desiderio di novità del pubblico, ma toglievano spazio a quei maestri d’arme che lealmente e con perizia si affrontavano in campo. I duelli col tempo diventarono sempre più rari e per soddisfare l’esigente pubblico furono coniati altri nuovi nomi per i gladiatori e nuovi equipaggiamenti.

Tra questi :

PAEGNIARIA: questi prendevano il nome dalla voce greca paignion, gioco e solo a scopo di sollazzo scendevano in campo. Erano gladiatori da burla, avevano piccole spade, piccoli elmi e finivano per fare una triste imitazione dei veri gladiatori che un tempo sulla sabbia dell’arena rischiavano la vita, magari per acquistarsi la libertà.

NOBILES: spinti dai potenti di turno e senza alcun onore arrivò anche il tempo in cui, anche i patrizi dovettero scendere in campo a combattere. Questo gesto non faceva che segnare l’inarrestabile declino dei mores maiorum ed il decadimento di una società romana priva di ideali scomparsi persino nei ludi.

FOEMINAE: queste erano donne che abbandonando l’abito delle matrone entravano nelle truppe gladiatorie e scendevano a duellare nell'arena per dimostrare di cosa fossero capaci queste virago anche di fronte i maschi. Le donne-gladiatore segnavano la fine della femminilità ed il declino della famiglia romana unita nel culto dei Lares e dei Penates.


I combattimenti fra gladiatori duravano finchè uno dei due gladiatori era reso innoffensivo e poi era la folla, o l'imperatore stesso, a decidere le sorti dello sconfitto.
Alle volte i gladiatori affrontavano delle belve feroci, selvagge e per nulla addomesticate, ad esempio leoni, tigri, orsi, elefanti e coccodrilli, che arrivavano a Roma dalle province più lontane. In questi casi le scenografie degli spettacoli erano accuratissime: venivano appositamente ricostruiti boschetti, oasi e anche corsi d'acqua.

Fonti: miste


Ultima modifica di Leo il Sab Ott 20, 2012 2:28 am - modificato 1 volta.
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MessaggioTitolo: Opere Romane   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:41 pm



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ROMA - CITTA' IMPERIALE


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Sopra: Il Monumento a Vittorio Emanuele II, disegnato dal Sacconi, sorto per celebrare l'indipendenza italiana.


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Sopra: Foro di Traiano, fatto costruire per celebrare le sue vittorie sui Daci; il Foro di Traiano fu affidato al grande architetto Apollodoro di Damasco, che lo realizzò splendido e grandioso. Le sue dimensioni originarie erano di 300 per 185 m e per la sua realizzazione, visto l'esiguo spazio rimasto tra il Foro di Augusto e la piccola collina che univa il Campidoglio al Quirinale, fu necessario eliminare quest'ultima mediante poderose opere di sbancamento. Inaugurato nel 112 d.C. per celebrare il trionfo di Traiano nelle due campagne di guerra contro la Dacia (attuale Romania), fu costruito impiegando il bottino di guerra e gli schiavi catturati. L'ingresso era posto sul lato settentrionale del Foro di augusto attraverso un arco onorario che immetteva nella piazza quadrangolare, al cui centro era la colossale statua equiestre di Traiano, in bronzo d'orato.Il lato Nord, opposto all'entrata, era delimitato dalla Basilica Ulpia, la più grande mai costruita a Roma un'enorme aula rettangolare a cinque navate disposte trasversalmente rispetto all'entrata, con i lati brevi absidati, due piani di altezza sulle navate perimetrali e un grande ambiente centrale coperto. La Basilica era sede di attività giudiziarie e commerciali e vi si svolgevano gli atti pubblici di liberazione degli schiavi.


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Sopra: il complesso del Foro di Traiano nel cuore dell'Urbe


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Sopra: pianta complessiva del Foro di Traiano, il più grande della Roma imperiale.


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Sopra: Ricostruzione della veduta interna dell'ampio colonnato orientale della piazza, con l'emicidio a destra.


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Sopra: ricostruzione dell'interno della Biblioteca occidentale del Foro di Traiano, verso Ovest; era costituita da due edifici: uno riservato agli autori greci, l'altro a quelli latini.


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Sopra: ricostruzione generale della piazza del Foro di traiano cpme era anticamente, vsta da sud-ovest.


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Sopra: Foro di Traiano - il grande edificio a più piani che ospitava i Mercati traianei. Rivestito da una cortina di laterizio, si distingueva dagli altri edifici che, presentavano facciate in marmo.


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La colonna Traiana.- Fu inaugurata nel 113 d.C. e fu molto probabilmente costruita anch'essa da Apollodoro. La sua funzione principale fu quella di accogliere le ceneri di dell'imperatore Traiano. Nel basamento della colonna venne ricavato un ambiente, al centro del quale è un bancone marmoreo su cui fu collocata l'urna d'oro con le ceneri poi trafugata duranti saccheggi barbarici.


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Sopra: Statua marmorea di Traiano a [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link], odierna [Devi essere iscritto e connesso per vedere questo link]; con Traiano si ebbe la massima estensione dell'impero romano.


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Sopra: Ricostruzione del Colosseo.

Sotto: Il Colosseo oggi.


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L'Anfiteatro Flavio, detto Colosseo per la vicinanza del "Colosso di Nerone" iniziato da Vespasiano nel 72 d.C. e terminato da suo figlio Tito nell'80 d.C.. Furono impiegati nella sua costruzione schiavi Ebrei. Il Colosseo è divenuto il simbolo di Roma per le pagine di storia scritte. In esso morirono migliaia di Cristiani in difesa della loro Fede e si svolsero, i Ludi Circenses, spettacoli del Circo tra i gladiatori e tra loro e le fiere; i giuochi furono inventati alla fine della repubblica per rinvigorire lo spirito conquistatore dei Romani. Migliaia di fiere, furono uccise nei giuochi spesso per celebrare le vittorie di Roma come la onquista della Dacia di Traiano: questo incessante massacro, condotto nei secoli, impoverì di animali il Nord Africa.


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Sopra:La Basilica di S.Maria D'Aracoeli e il Campidoglio.

Sotto: Interno della Basilica.

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S.Maria d'Aracoeli sorge nel punto più alto del Campidoglio, dove era l'ARCE, o cittadella di Roma.


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Sopra: Arco di Costantino, fu eretto dal Senato e dal popolo romano all'estremo limite del Foro sulla Via Sacra, in ricordo della vittoria su Massenzio al Ponte Milvio nel 312.


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Sopra: Ponte Sublicio, in prossimità dell'Isola Tiberina, dove nel sec.X, sul posto del Tempio del Dio Esculapio, in rovina, Ottone III fece erigere la chiesa di S.Bartolomeo.


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La Bocca della Verità è un antico mascherone in marmo pavonazzetto, murato nella parete del pronao della chiesa di Santa Maria in Cosmedin di Roma dal 1632.La scultura, databile attorno al I secolo, ha un diametro di 1,75 m e un peso calcolato di circa 1300 Kg. Rappresenta un volto maschile barbato nel quale occhi, naso e bocca sono forati e cavi. Il volto è stato interpretato nel tempo come raffigurazione di vari soggetti: Giove Ammone, il dio Oceano, un oracolo o un fauno.Nel medioevo si fa strada la leggenda che fu Virgilio mago a costruire la Bocca della Verità, ad uso dei mariti e delle mogli che avessero dubitato della fedeltà del coniuge.


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Foro di Cesare - Il foro di Cesare fu il primo dei fori imperiali costruiti, nel primo secolo aC, i fori repubblicani non potevano più soddisfare le necessità di una popolazione in aumento. Restano tre colonne ed il podio di un tempio dedicato a Venere Genitrice, ordinato da Giulio Cesare.




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La costruzione del Tempio di Saturno iniziò nel periodo regio ma fu inaugurato soltanto nei primi anni della Repubblica, probabilmente nel 498 a.C. L'edificio fu interamente ricostruito a partire dal 42 a.C. da Lucio Munazio Planco con il bottino della guerra di Siria e restaurato dopo l'incendio del 283 d.C a cura del Senato: proprio a questo ultimo restauro appartiene quanto rimane del tempio, ossia le otto colonne di granito grigio con capitelli ionici di marmo bianco, l'architrave ornato sulla faccia interna da un motivo di palmette in rilievo ed il frontone principale, in gran parte costruito con materiale di recupero. L'iscrizione che corre sul fregio ricorda proprio un restauro eseguito in seguito ad un incendio: SENATUS POPULUSQUE ROMANUS INCENDIO CONSUMPTUM RESTITUIT, ossia "Il Senato e il Popolo Romano restituirono (il tempio) rovinato dall'incendio". Il grandioso podio rivestito di travertino appartiene invece al restauro di Munazio Planco, dinanzi al quale un avancorpo (oggi in gran parte crollato), internamente vuoto, custodiva l'Erario, ovvero il Tesoro dello Stato Romano. Sulla facciata orientale del podio sono visibili numerosi fori disposti ordinatamente in modo da formare un pannello rettangolare, sul quale venivano esposti i documenti pubblici. Nel giorno di dedica del tempio, il 17 dicembre, si celebrava, con scatenata libertà, la festa di fine anno, i Saturnali.



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La costruzione dell'Arco di Settimio Severo risale al 203 d.C., come si ricava dall'iscrizione, per celebrare i primi 10 anni del suo impero. I rilievi, molto erosi, celebrano le vittorie dell'imperatore in Partia (attuali Iraq e Iran) ed in Arabia. Si tratta di un arco a tre fornici, alto metri 20,88, largo 23,27 e profondo 11,20. Ai fornici laterali si accedeva tramite brevi scalinate, mentre il passaggio centrale era forse attraversato da una strada, ora scomparsa, che correva a livello più alto di quella attuale, di età augustea. Entrambi i lati dell'attico (all'interno del quale vi sono quattro vani), riportano la medesima iscrizione con la dedica a Settimio Severo e a Caracalla: "All'Imperatore Cesare Lucio Settimio Severo, figlio di Marco, Pio, Pertinace, Augusto, padre della patria, Partico, Arabico e Partico Adiabenico, Pontefice Massimo, rivestito della potestà tribunizia per l'undicesima volta, acclamato imperatore per l'undicesima volta, console per la terza volta, proconsole; e all'Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino, figlio di Lucio, Augusto, Pio, Felice, rivestito della potestà tribunizia per la sesta volta, console, proconsole, padre della patria, di ottimi e fortissimi principi, per aver salvato lo stato e ampliato il dominio del popolo romano e per le loro insigni virtù, in patria e all'estero, il Senato e il Popolo Romano". La quarta riga mostra chiaramente tracce di rielaborazione: si nota infatti che una serie di fori, destinati a sostenere le lettere di bronzo, non coincidono con le lettere attuali. Al posto della scritta OPTIMIS FORTISSIMISQUE PRINCIPIBUS (di ottimi e fortissimi principi) è stato così possibile leggere P. Septimio Getae nob. Caesari, cioè la dedica all'altro figlio di Settimio Severo, Geta: originariamente l'iscrizione era dedicata a Settimio ed ai suoi due figli, Caracalla e Geta, ma, dopo la morte di Settimio, Caracalla fece assassinare Geta e cancellare il suo nome da tutti i monumenti pubblici. L'arco, di travertino e mattoni, è interamente rivestito di marmo. La superficie è animata da quattro colonne composite per facciata, poggianti su alte basi. La decorazione, ricchissima, comprende: due figure di Marte nelle chiavi del fornice centrale; sopra l'archivolto Vittorie con trofei (anche queste visibili nella foto in basso), ai piedi delle quali vi sono le personificazioni delle quattro stagioni; quattro divinità, due maschili e due femminili, nelle chiavi dei fornici minori, anche se solo quella di Ercole è oggi ancora identificabile; divinità fluviali sopra l'archivolto degli stessi archi, al di sopra dei quali corre un piccolo fregio con la rappresentazione del trionfo degli imperatori. Sulle basi delle colonne, sui tre lati liberi, sono raffigurati soldati romani con prigionieri Parti. Ma la parte più importante ed originale della decorazione è costituita da quattro grandiosi pannelli di m 3,92 x 4,72 posti sopra i fornici minori, dove vi sono rappresentati i momenti salienti delle due campagne contro i Parti. Al di sopra dell'arco, come appare da una moneta del 204 che lo rappresenta, era una quadriga di bronzo con gli imperatori. Durante il Medioevo il fornice centrale, mezzo sepolto e in rovina, fu utilizzato come negozio di barbiere. Nello stesso periodo, era stata addossata all'arco una torre di proprietà dei nobili Bracci o Brachis (tanto che il luogo fu anche denominato "Le Brache"), ma facente parte di quel sistema difensivo realizzato dai Frangipane talmente ricco di torri da far assumere alla zona la denominazione di Campo Torrecchiano. Nel 1803, grazie all'intervento di Pio VII, si provvide al dissotterramento dell'arco, anche se occorreranno diversi anni per vedere completati i lavori di sterro: l'arco fu completamente liberato nel 1898.

Particolare dell'archivolto

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La Casa delle Vestali era la residenza e la sede ufficiale delle Vestali, le sei sacerdotesse incaricate della sorveglianza del fuoco e di altri riti, tutti strettamente connessi con la generalizzazione del culto domestico. Quest'incarico fu affidato originariamente alle figlie del re, ma in seguito passò alle Vestali, le quali, tratte in giovane età (tra i 6 e i 10 anni) da famiglie patrizie, dovevano restare nel sacerdozio per un periodo di 30 anni, conservando la verginità. La pena che attendeva la vestale che veniva meno a questa regola era la morte: essa veniva in tal caso seppellita viva (il sangue della vestale non poteva essere versato) in una stanzetta sotterranea dell' aggere serviano, in prossimità della porta Collina, in un luogo denominato "Campo Scellerato". Quanto al complice, la pena era la morte per fustigazione nel Comizio. In cambio, la vestale godeva di grandi privilegi: non era più soggetta alla potestà del padre, godeva di mezzi finanziari e di prestigio immensi, aveva posti riservati negli spettacoli ed anche una tomba all'interno delle mura urbane. Nella fase più antica, probabilmente di età repubblicana, il complesso denominato Atrium Vestae, costituito dalla Casa delle Vestali e dal tempio di Vesta, era assai più piccolo dell'attuale, ad un livello più basso ed orientato diversamente; quello che oggi possiamo ammirare si riferisce alla ricostruzione successiva all'incendio neroniano del 64 d.C., poi rifatta in età adrianea e restaurata sotto Settimio Severo.


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Il tempietto circolare, interamente costruito in mattoni, coperto a cupola e preceduto da una facciata accentuatamente concava nella quale si aprono quattro nicchie destinate ad altrettante statue è il cosiddetto Tempio di Romolo, ma sappiamo con precisione che questi non è dedicato né al famoso fondatore di Roma né tantomeno a quel Romolo figlio di Massenzio: l'ipotesi più accreditata, fino a poco tempo fa, era che si trattasse del Tempio dei Penati, ma recentemente gli esperti sembrano più propendere verso l'identificazione dell'edificio con il tempio di Giove Statore, fondato, secondo la leggenda, da Romolo e dove i Romani, inseguiti dai Sabini dopo il famoso Ratto delle Sabine, avrebbero opposto la prima, valida resistenza.


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Il tempio di Vesta, uno dei più antichi e importanti santuari di Roma, ospitava il "fuoco sacro", simbolo della comunità e dello Stato ed era strettamente connesso con la Casa delle Vestali, insieme alla quale costituiva un complesso unitario denominato Atrium Vestae. Il tempio fu eretto nel IV secolo d.C. ed era costituito da un podio in opera cementizia rivestito di marmo, al quale si addossavano le basi che sostenevano un anello di 20 colonne corinzie scanalate che racchiudevano la cella, anch'essa circolare, all'interno della quale era custodito il "fuoco sacro" continuamente acceso: il tetto, conico, aveva un'apertura centrale per permettere la fuoriuscita del fumo. Va segnalato che nessun simulacro della dea era qui custodito, mentre invece si presume che una statua della divinità fosse contenuta nell'edicola situata all'ingresso della Casa delle Vestali. Nella cavità trapezoidale che si apriva nel podio, ed alla quale si accedeva soltanto dalla cella, probabilmente si deve riconoscere il penus Vestae, il sito proibito alla vista di tutti tranne che alle Vestali, dove erano conservati i pignora civitatis, gli oggetti sacri ai destini di Roma e "pegno" delle sue fortune, che Enea, secondo la leggenda, avrebbe trasportato da Troia: tra tutti il più importante era il Palladio, un simulacro arcaico di Minerva. Quando l'incendio neroniano del 64 d.C. distrusse, con gran parte della città, anche il tempio e la Casa delle Vestali, le due costruzioni vennero sostituite, ad un livello più alto, dagli edifici attualmente visibili. Il tempio, pur attraverso numerose modifiche, conservò la forma e le dimensioni allora stabilite, insieme al nuovo orientamento, basato su quello prevalente del Foro Romano. Dopo la fase neroniana vi fu un totale rifacimento nel periodo di Traiano e poi un successivo restauro attribuibile alla moglie di Settimio Severo, Giulia Domna, in seguito all'incendio del 191 d.C., molto probabilmente mantenendo la stessa forma conferitagli dalla ricostruzione neroniana del 64 d.C. L'aspetto attuale è dovuto alla ristrutturazione del 1930, durante la quale furono utilizzati numerosi frammenti originali, completati da restauri in travertino.


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Cesare , Gaio Giulio (Roma, 100-44 a.C.), condottiero e uomo politico romano. Assurge alla carica di dittatore nel 45 a.C. Di nobile famiglia, occupa nella sua carriera politica tutte le più importanti cariche; nel 60 a.C. stipula un accordo segreto con Pompeo (v.) e Crasso (v.), il primo triumvirato. Ottiene il consolato nel 59, con l'incarico di governatore della Spagna e della Gallia cisalpina; nel 58 intraprende una spedizione militare al di là delle Alpi e, in sette anni, estende il dominio romano su tutta la Gallia (v.), compiendo memorabili imprese militari da lui narrate nel De bello gallico. Di ritorno dalla Gallia, scopre che i suoi nemici hanno assunto il predominio politico in senato; decide di marciare in armi verso Roma e di sfidare apertamente Pompeo. Vince a Farsalo (v.) nel 48 a.C., a Tapso (v.) nel 46 a.C. e a Munda nel 45 a.C. diventando unico titolare del potere. Divenuto dittatore, riordina la legislazione soddisfacendo le aspirazioni dei suoi veterani e concedendo la civitas a diverse province. Nel 44 viene assassinato in senato da un gruppo di congiurati repubblicani, tra i quali il figlio adottivo Marco Giunio Bruto (v.). C. fu raffinato autore di opere poetiche, filologiche, epistole e discorsi andati perduti. La sua fama letteraria è legata alle due opere storiografiche (Commentarii) sulla spedizione in Gallia (De bello gallico, in 7 libri) e sulla guerra civile contro Pompeo (De bello civile, in 3 libri), scritti in terza persona e con uno stile conciso e asciutto.




Fonte: miste

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MessaggioTitolo: Il Circo Massimo   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:42 pm


IL CIRCO MASSIMO

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Circo Massimo, Roma (ricostruzione ideale)

• Il circo, che serviva per le corse dei carri, aveva una pianta ovale molto allungata: un'estremità si chiudeva a semicerchio, mentre l'altra era leggermente ricurva.

• Nella prima si apriva la porta triumphalis, quella principale; nella seconda si trovavano le stalle dei cavalli.

• L'arena era divisa in due parti da un muro (spina) abbellito da statue, colonne e fontane.

• Il muro terminava con due colonnine circolari o piramidali (mete) che indicavano il punto di arrivo o di partenza.

IL Circo Massimo è un antico circo romano, dedicato alle corse di cavalli, costruito a Roma.

Situato nella valle tra il Palatino e l'Aventino, è ricordato come sede di giochi sin dagli inizi della storia della città: nella valle sarebbe avvenuto il mitico episodio del ratto delle Sabine, in occasione dei giochi indetti da Romolo in onore del dio Consus. Di certo l'ampio spazio pianeggiante e la sua prossimità all'approdo del Tevere dove dall'antichità più remota si svolgevano gli scambi commerciali, fecero sì che il luogo costituisse fin dalla fondazione della città lo spazio elettivo in cui condurre attività di mercato e di scambi con altre popolazioni, e di conseguenza anche le connesse attività rituali (si pensi all'Ara massima di Ercole) e di socializzazione, come giochi e gare.


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Le prime installazioni in legno, probabilmente in gran parte mobili, risalgono all'epoca dei Tarquini (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo) nella seconda metà del VI secolo a.C. Le prime strutture in muratura, soprattutto legate alle attrezzature per le gare, si ebbero probabilmente solo nel II secolo a.C. e fu Gaio Giulio Cesare a costruire i primi sedili in muratura e a dare la forma definitiva all'edificio, a partire dal 46 a.C.

Il monumento venne restaurato dopo un incendio e probabilmente completato da Augusto, che vi aggiunse anche un obelisco di Ramses II portato dall'Egitto (spostato nel XVI secolo da Papa Sisto V in Piazza del Popolo). Altri restauri avvennero sotto gli imperatori Tiberio e Nerone e un arco venne eretto a Tito nell'81 al centro del lato corto curvilineo: si trattava di un passaggio monumentale integrato nelle strutture del circo.

Dopo un grave incendio sotto Domiziano, la ricostruzione, probabilmente già iniziata sotto questo imperatore, venne completata da Traiano nel 103: a quest'epoca risalgono la maggior parte dei resti giunti fino a noi. Sono ricordati ancora restauri sotto Antonino Pio, Caracalla e Costantino I.

In antichità la spina era decorata con un obelisco, l'obelisco flaminio oggi a piazza del Popolo, come testimoniato anche da una moneta di Caracalla. Nel 357, un secondo obelisco fu portato a Roma per volere dell'imperatore Costanzo II ed eretto dal praefectus urbi Memmio Vitrasio Orfito sulla spina; oggi questo obelisco si trova davanti San Giovanni in Laterano.

Il circo rimase in efficienza fino alle ultime gare organizzate da Totila nel 549.

Le dimensioni del circo erano eccezionali: lungo 621 m e largo 118 poteva ospitare circa 250.000 spettatori.

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La facciata esterna aveva tre ordini: solo quello inferiore, di altezza doppia, era ad arcate. La cavea poggiava su strutture in muratura, che ospitavano i passaggi e le scale per raggiungere i diversi settori dei sedili, ambienti di servizio interni e botteghe aperte verso l'esterno. L'arena era in origine circondata da un euripo (canale) largo quasi 3 m, più tardi eliminato per aggiungere altri posti a sedere.

Sul lato sud si trova attualmente una torretta medioevale detta "della Moletta" appartenuta ai Frangipane.

Nell'arena, si svolgevano le corse dei carri, con dodici quadrighe (cocchi a quattro cavalli) che compivano sette giri intorno alla spina centrale tra le due mete. La spina era riccamente decorata da statue, edicole e tempietti e vi si trovavano sette uova e sette delfini da cui sgorgava l'acqua, utilizzati per contare i giri della corsa.

Vi si svolgevano, inoltre, le naumachiae (battaglie navali): l'arena del Circo Massimo veniva inondata con le acque del Tevere e venivano simulati combattimenti navali (navalia proelia) durante i quali due opposte squadre (composte da gladiatori o da prigionieri di guerra condannati a morte) si affrontavano riportando alla memoria indimenticabili battaglie avvenute per mare.

I dodici carceres, la struttura di partenza che si trovava sul lato corto rettilineo verso il Tevere, disposti obliquamente per permettere l'allineamento alla partenza, erano dotati di un meccanismo che ne permetteva l'apertura simultanea.

Fonte:www.it.wikipedia.org
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MessaggioTitolo: Il Foro Romano   Roma Caput Mundi - La città Imperiale EmptyLun Ott 15, 2012 6:45 pm



IL FORO ROMANO - FORUM MAGNUM



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FORO ROMANO


1. La Curia 6. Tempio di Saturno 12. Tempio di Castore e Polluce 17. Tempio di Venere e Roma
2. Arco di Settimio Severo7. Colonna di Foca 13. S. Maria Antiqua 18. Casa delle Vestali
3. I Rostri 8. Basilica Giulia 14. Tempio di Augusto 19. Basilica di Masenzio
4. Tempio di Vespasiano 9. Basilica Emilia 15. Tempio di Antonino e Faustina  20. Colosseo
5. Via Sacra 10. Tempio di Giulio Cesare 16. Tempio Rotondo di Romolo 21. Arco di Tito
- 11. Tempio di Vesta - 22. Palatino

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IL Foro Romano (Forum Romanum, sebbene i Romani si riferissero ad esso più spesso come Forum Magnum o semplicemente Forum) era situato nella valle compresa tra il Palatino ed il Campidoglio e costituì il centro commerciale, religioso e politico della città di Roma.

La valle del Foro, paludosa e inospitale, venne utilizzata tra X e VII secolo a.C. come necropoli dei primi villaggi stanziati sulle colline circostanti. Secondo lo storico Tacito la piana del Foro come pure il vicino colle del Campidoglio furono aggiunti alla Roma quadrata (Palatino) di Romolo da Tito Tazio. Solamente verso il 600 a.C., ad opera del re etrusco Tarquinio Prisco, venne drenata con la costruzione della Cloaca Massima e ricevette una pavimentazione in tufo; la piazza di forma rettangolare nacque come luogo di mercato oltre che per lo svolgimento della vita politica e giudiziaria, in un punto centrale della città verso cui convergevano molte importanti strade, la più importante delle quali era la Via Sacra, che correva dalle pendici del Campidoglio fino all'Arco di Tito.

Alla seconda metà del VI secolo a.C. appartengono i monumenti arcaici del Comizio, la più antica sede dell'attività politica di Roma. Il Comizio costituiva uno spazio ritualmente orientato secondo i punti cardinali. Nei pressi di questo complesso, un'area pavimentata in pietra scura, il Lapis niger, era secondo la leggenda legata al luogo della morte di Romolo: qui è stata rinvenuta la più antica iscrizione latina conosciuta. Sul lato a ovest del Comizio verso le pendici del Campidoglio, in prossimità del cosiddetto Umbilicus Urbis, si trovava il Volcanale, un antichissimo santuario dedicato al dio Vulcano, fondato secondo la leggenda da Tito Tazio.

Sempre al VI secolo risalirebbero la Regia, il luogo in cui il Rex sacrorum e il pontefice massimo esercitavano la loro funzione sacrale, la Curia detta Hostilia (costruita secondo la tradizione dal re Tullo Ostilio), il tempio di Vesta a pianta circolare ed altri importanti santuari. I resti attualmente visibili di questi edifici, appartengono però tutti a delle ricostruzioni successive.

Agli inizi del V secolo a.C. sono da ricondurre l'inaugurazione del tempio di Saturno, con l'annessa sede dell'erario (il tesoro di Roma), ed il tempio dei Càstori (484), dedicato ai Dioscuri, Castore e Polluce. Sempre nel V secolo (445) avvenne la consacrazione del Lacus Curtius ad opera del Console Gaio Curzio Filone.

Nel IV secolo a.C. fu costruito, sul lato verso il Campidoglio, il tempio della Concordia, in occasione dell'accordo tra patriziato e plebe, e la tribuna del Comizio fu abbellita con i Rostra, i rostri delle navi catturate alla flotta della città di Anzio (Antium).

Una rinnovata spinta edilizia trasformò il Foro a partire dal II secolo a.C.: Silla regolarizzò lo sfondo verso il Campidoglio costruendo sul colle il Tabularium e intorno alla piazza si ebbe la costruzione delle quattro basiliche, destinate all'amministrazione della giustizia ed allo svolgimento degli affari (Porcia, Emilia, Sempronia, Opimia); delle quattro basiliche la Basilica Emilia è giunta fino a noi attraverso numerosi rifacimenti, mentre la Porcia e la Sempronia furono sostituite dalla Basilica Giulia, costruita per ordine di Cesare e terminata sotto Augusto. Inoltre sotto Cesare si ebbe un radicale spostamento della Curia Giulia, che al posto dell'antico rituale orientamento secondo i punti cardinali, venne orientata secondo gli assi del contiguo Foro di Cesare. Contemporaneamente la tribuna dei Rostra venne spostata verso il Campidoglio.

La sistemazione definitiva dei Fori, avviata da Cesare, venne completata sotto Augusto: la piazza assunse una maggiore regolarità con la costruzione delle due grandi basiliche (Emilia e Giulia) sui lati lunghi, i nuovi Rostra sul lato della piazza in direzione del Campidoglio e il nuovo tempio del Divo Giulio, dedicato nel 29 a.C. da Augusto dopo la morte e la divinizzazione di Cesare. Il lato breve a sud-ovest si trovò ad essere sistemato col tempio dei Divo Giulio incorniciato dall'Arco partico di Augusto e dal portichetto dell'Arco di Gaio e Lucio Cesari, escludendo alla vista i venerandi monumenti della Regia e del tempio di Vesta. Questa scelta va inquadrata nel periodo "cesariano" della politica di Augusto, prima della più prudente fase della restaurazione conservatrice.

A questa nuova fase edilizia imperiale sono da ricondurre anche le ricostruzioni dei templi della Concordia, rifatto da Tiberio nel 10 a.C. quasi a voler cancellare i segni della passata stagione delle guerre civili, e dei Castori (7 a.C.), di dimensioni grandiose e da mettere in relazioni coi fratelli Tiberio e Druso in parallelo coi mitici fratelli Dioscuri. Al 2 d.C. risale l'iscrizione dedicatoria per Lucio Cesare, figlio ed erede designato di Augusto, posta ad una estremità della Basilica Emilia: i portici antistanti la basilica stessa erano infatti stati dedicati a Lucio e al fratello Gaio Cesare.

Alla fine la piazza ricostruita traboccava di edifici legati, nel nome o nella simbologia o nel sovvenzionamento dei restauri, alla Gens Iulia.

Di epoca flavia è la costruzione del Tempio di Vespasiano, vicino a quello della Concordia. Al di fuori dell'area del Foro propriamente detta fu contemporaneamente edificato l'arco di Tito, sulla Via Sacra verso la Velia, probabilmente voluto da Domiziano, Nella stessa area, davanti alla successiva basilica di Massenzio sono gli Horrea Vespasiani, i magazzini voluti dall'imperatore Vespasiano, di cui rimangono solo alcuni resti.

Del II secolo sono le costruzioni del Tempio di Antonino e Faustina, poi inglobato dalla chiesa di San Lorenzo in Miranda. Il Tempio di Venere e Roma, costruito da Adriano, si affaccia verso la valle del Colosseo.

Agli inizi del III secolo fu eretto sul percorso della via Sacra l'arco di Settimio Severo.

Sotto Diocleziano ai numerosi monumenti che allora dovevano ingombrare l'area della piazza, si aggiunsero cinque colonne su alti basamenti in muratura, che dovevano celebrare la Tetrarchia. Nel IV secolo fu costruita la basilica di Massenzio, terminata da Costantino I. Sotto Massenzio venne riadattato un ingresso rotondo per il Tempio della Pace, che doveva già essere in via di abbandono, per farne il tempio del Divo Romolo, dedicato al figlio, Valerio Romolo, morto prematuramente. A seguito della sconfitta dell'usurpatore Magnenzio (352), il praefectus urbi Nerazio Cereale dedicò una statua all'imperatore Costanzo II, la cui base è ancor oggi visibile a fianco dell'arco di Settimio Severo, in direzione della Curia.

Di epoca flavia, ma restaurato nel 367, è il portico degli Dei Consenti, a ridosso del Campidoglio, interessante testimonianza dell'ultimo paganesimo insieme all'ultima ricostruzione del tempio di Saturno.

Nel V secolo la facciata dei Rostra fu prolungata verso nord-est: la parte nuova venne costruita in mattoni assai rozzamente, ed anche questa ornata di rostra, per fissare i quali furono praticati dei buchi ancora osservabili. Una epigrafe, su di una sola riga, riporta la costruzione da parte del praefectus urbi, Giunio Valentino, sotto gli imperatori Leone I ed Antemio (circa 470), in occasione di una vittoria navale contro i Vandali, da cui la struttura prende il nome di Rostri vandalici.

Al 608 risale l'ultimo monumento eretto nei Fori: si tratta della Colonna di Foca, posta per ordine del Senato romano allo scopo di onorare l'imperatore Foca.


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Quello che vado a presentarvi è un VIRTUAL TOUR che serve per conoscere meglio l'ambiente urbano dell'antica Roma. Aprendo questo Video virtuale trovere in basso (centro sx) le freccette < / > (avanti , e torna a..), provate a cliccarle: passerete immediatamente ai V.T successivi dove potrete conoscere meglio la nostra splendida capitale.

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